Prima dell’alba dell’Unità d’Italia la partecipazione politica era stata rappresentata più che in altre forme dall’idea Mazziniana. Ma Mazzini non aveva in mente una forma partito, bensì una rete di strutture legate dagli ideali di unità, dal proselitismo rispetto agli obiettivi e da una alterna vocazione all’insurrezione. E’ evidente che con l’Italia da fare (ma anche un’Europa) non ci fosse particolare spazio per partiti come li intendiamo ora. Più che di partiti dobbiamo parlare di idee e di contaminazioni.
Nel frattempo all’interno delle istituzioni, accanto alla destra storica, rappresentata dalla classe dirigente che aveva “fatto l’Italia”, si era formata una “sinistra storica”, non…
Prima dell’alba dell’Unità d’Italia la partecipazione politica era stata rappresentata più che in altre forme dall’idea Mazziniana. Ma Mazzini non aveva in mente una forma partito, bensì una rete di strutture legate dagli ideali di unità, dal proselitismo rispetto agli obiettivi e da una alterna vocazione all’insurrezione. E’ evidente che con l’Italia da fare (ma anche un’Europa) non ci fosse particolare spazio per partiti come li intendiamo ora. Più che di partiti dobbiamo parlare di idee e di contaminazioni.
Nel frattempo all’interno delle istituzioni, accanto alla destra storica, rappresentata dalla classe dirigente che aveva “fatto l’Italia”, si era formata una “sinistra storica”, non meno elitaria della prima ma più disponibile alle aperture alle istanze dei ceti esclusi. Alle estreme sorsero, o andarono formandosi i partiti ispirati dal mazzinianesimo.
Fatta l’Italia, e risolta la questione romana nel 1870, si andarono a formare i primi nuclei di partito propriamente detti, con al centro un struttura organizzativa, leader di riferimento e ideali. Nel solco delle iniziative mazziniane di qualche decennio prima si costituirono, e in parte radicarono, 3 diversi gruppi: i socialisti, i repubblicani e i radicali.
Mentre i repubblicani dovettero risolvere il conflitto interno fra astensionismo e partecipazione parlamentare, scegliendo poi la seconda opzione, i radicali individuarono nel progetto di “democrazia avanzata” il perno della loro azione. Sono gli anni quelli del suffragio per censo e dell’analfabetismo, e i radicali, inizialmente guidati Agostino Beltrani e Felice Cavallotti, ispirati dall’esperienza francese, avevano come cavalli di battaglia il suffragio universale maschile e l’istruzione primaria gratuita.
Il Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna prima e d’Italia poi raccolse invece le istanze dell’Estrema tentando di veicolare quelle del Partito Operaio. Il leader era Andrea Costa.
Diffondere le teorie di Marx era impresa ardua fra una popolazione in larga parte analfabeta e di estrazione contadina. I socialisti si organizzarono dunque in circoli dove all’associazionismo assistenziale si affiancava l’indottrinamento. Quella dei circoli fu una strategia che pagò anche negli anni a venire e rimase una caratteristica della sinistra marxista.
Filippo Turati, un brillante avvocato brianzolo di idee marxiste, aveva fondato la Lega Socialista Milanese e la rivista Critica Sociale insieme alla sua compagna Anna Kulishoff. Al congresso di Genova del 1892 fondò il Partito dei Lavoratori Italiani, diventato l’anno dopo il Partito Socialista dei Lavoratoti Italiani. Emersero due anime: una massimalista che mirava alla instaurazione del socialismo e una progressista moderata che mirava alle riforme sociali. Alle elezioni del 1895 il nuovo partito era rappresentato in parlamento da 15 deputati.
Ma in un democrazia giovane e fragile la tenuta delle Istituzioni è sovente a rischio. Dopo l’avventurismo coloniale di Crispi la destra storica vedeva con sospetto la nascente egemonia del parlamento. NEL 1897 uscì sulla Nuova Antologia un articolo senza firma intitolato Torniamo alla Statuto. In esso si indicava un pericolo, rappresentato dal socialismo e dal clericalismo, un malfunzionamento dello Stato rappresentato dalla deriva parlamentare, e un auspicio, che il potere esecutivo tornasse nelle mani della corona e fosse sottratto alle maggioranze parlamentari.
A questa nostalgia si aggiunsero i tumulti del 1898 determinati dall’aumento del prezzo del pane. Alle rivolte, cui parteciparono i leader socialisti, il governo rispose con mano dura. Turati e Costa furono arrestati e le organizzazioni socialiste e sindacali sciolte. Era un tentativo di svolta autoritaria, com’è evidente, accompagnato da una limitazione della libertà di stampa e di associazione.
Radicali e socialisti iniziarono una campagna informativa contro l’autoritarismo del governo Pelloux.
Ma non erano solo le estreme di sinistra a protestare. Anche la sinistra liberale di Giolitti e Zanardelli si posizionò su un programma liberale e riformista. Pelloux si dimise e a quasi certificare lo stato di tensione fu il regicidio del 29 luglio 1900: Gaetano Bresci, un anarchico migrato negli Stati Uniti, tornò in Italia con lo scopo di uccidere Umberto I per vendicare i morti di Milano.
Nel frattempo Turati aveva ricevuto un’amnistia per i fatti di Milano e si era avvicinato alle posizioni di governo. Il suo era un programma minimo, ovvero un programma di riforme graduali eventualmente da fare anche attraverso una partecipazione ai ministeri. L’ala massimalista, impersonata principalmente da Labriola e Ferri.
Al congresso del 1904 i massimalisti vinsero e Turati messo in minoranza.
Dopo la parentesi congressuale del 1908 i gradualisti di Turati furono di nuovo e definitivamente sconfitti durante il congresso del 1912 dall’ala massimalista che nel frattempo era diventata rivoluzionaria ed aveva un nuovo protagonista: Benito Mussolini.
Vennero gli anni della Grande Guerra e della divisione fra interventismo e neutralismo che causò l’espulsione di Mussolini dal Partito Socialista. Furono anche gli anni della rivoluzione d’Ottobre e dei 21 punti di Lenin a cui Turati non voleva aderire.
All’interno di quella sinistra Turati era ormai isolato e nel 1926, salito al potere il fascismo, riparerà in Francia.
Quelli furono anni difficili per i socialisti. Nel tumultuoso biennio 1921-1922 ci fu:
- L’adesione all’internazionale socialista;
- Il congresso di Livorno e la nascita del Partito Comunista;
- Il XIX congresso con l’espulsione dei riformisti di Turati.
Nonostante le profonde divisioni Turati credeva ancora, o forse sarebbe meglio dire sperava, in un partito socialista unico; unitario. Nell’ammettere la separazione inevitabile l’auspicio fu espresso attraverso le parole Viva il Socialismo!
Il giorno dopo fondava il Partito Socialista Unitario con segretario il giovane Giacomo Matteotti.
La scissione, o meglio l’espulsione, fu tuttavia anche un modo per chiarire le diverse anime di quella sinistra: il socialismo riformista, disposto a farsi forza di governo, Il PSI che guardava alla costruzione di una società socialista al di fuori dei dettami del Comintern. I comunisti di Gramsci Bordiga e Terracini, organici all’internazionale per una rivoluzione bolscevica.
L’avvento di Mussolini e del fascismo interromperà questo processo per un ventennio e tutti questi partiti entreranno in clandestinità.