Gli anni 80, come abbiamo visto nella puntata numero 12, erano stati gli anni del Craxismo e del Partito Socialista.
Il protagonismo di Craxi aveva introdotto nel sistema politico una nuova grammatica della comunicazione che era stata indubbiamente premiata dall’elettorato, ma che non aveva prodotto quel ricambio a cui probabilmente aspirava. Lo “sfondamento”, ovvero l’elevare il PSI a partito centrale del sistema come lo era stata la Democrazia Cristiana, e superare a sinistra i consensi di un Partito Comunista Italiano pur in crisi, non era avvenuto.
Il sorpasso a sinistra era probabilmente nei desideri e forse anche nei progetti di Craxi, tanto che nel 1990 lanciò l’idea di Un Partito…
Gli anni 80, come abbiamo visto nella puntata numero 12, erano stati gli anni del Craxismo e del Partito Socialista.
Il protagonismo di Craxi aveva introdotto nel sistema politico una nuova grammatica della comunicazione che era stata indubbiamente premiata dall’elettorato, ma che non aveva prodotto quel ricambio a cui probabilmente aspirava. Lo “sfondamento”, ovvero l’elevare il PSI a partito centrale del sistema come lo era stata la Democrazia Cristiana, e superare a sinistra i consensi di un Partito Comunista Italiano pur in crisi, non era avvenuto.
Il sorpasso a sinistra era probabilmente nei desideri e forse anche nei progetti di Craxi, tanto che nel 1990 lanciò l’idea di Un Partito di Unità Socialista che avrebbe dovuto nelle intenzioni riunificare la sinistra sotto la propria ala. Ma Craxi non era uomo di compromessi e soprattutto non era uomo di mediazioni. Il malmesso Partito Comunista di Occhetto aveva una storia e una tradizione che mal si conciliava con l’arrogante decisionismo craxiano. E’ vero che alcuni esponenti politici comunisti-riformisti passarono nel PSI, ma l’unità socialista non avvenne mai.
L’onda del riformismo referendario di Mario Segni aveva visto in Craxi, che invitava gli italiani ad andare al mare invece che alle urne in occasione del referendum del 1991, aveva prevalso. L’emersione di una corruzione diffusa, tollerata e persino incoraggiata dal partito aveva fatto il resto.
L’Italia dei primi anni 90 era un Paese al bivio e il PSI non aveva risposte da dare. Sul piano internazionale c’era l’accelerazione verso l’integrazione europea che passava necessariamente attraverso la messa in ordine del bilancio pubblico. E gli anni di Craxi e del pentapartito erano stati gli anni dell’esplosione del debito pubblico.
Sul piano interno, oltre a quanto già detto di Tangentopoli, la sfida lanciata dalle stragi mafiose non poteva non avere ripercussioni sull’assetto partitico, e se la DC era la prima indiziata di aver quantomeno chiuso gli occhi rispetto alla collusione di pezzi dello Stato con la mafia, il PSI non poteva essere visto come un’alternativa credibile al malaffare.
Riuniti introno alla figura dell’ingombrante leader cui solo apparentemente si presentavano come offerte alternative, si formarono due correnti: una di stretta fede governativa capeggiata da Gianni De Michelis, e una più movimentista rappresentata dal giovane delfino di Craxi Claudio Martelli.
Questa centralità del leader, che toccò persino punte di culto della personalità, risultò fatale quando Craxi fu travolto dalle inchieste e divenne egli stesso il simbolo negativo di tangentopoli.
Quando la decima leglislatura si avviava verso la chiusura anticipata il PSI pensava ancora di riuscire a sottrarsi al destino che l’attendeva. Secondo gli accordi del CAF a guidare il nuovo governo sarebbe stato ancora Bettino Craxi e il voto, preannuciato dall’esito delle amministrative che avevano visto tutto sommato una tenuta dei consensi, pur se con un arretramento evidente nelle roccaforti socialiste, non risvegliò timori rispetto alla tempesta che si stava avvicinando.
Si votò il 5 aprile del 1992, abbastanza presto perché Craxi potesse ancora presentarsi come leader, ma anche abbastanza tardi perché il suo coinvolgimento nell’inchiesta Mani Pulite non fosse scontato.
Dalle urne uscì ovviamente molto indebolita la Democrazia Cristiana, che perse quasi 5 punti rispetto alle elezioni del 1987. Il Partito socialista si fermò al 13,6% (rispetto al 14,3% delle elezioni precedenti) nonostante il crollo verticale del PCI diventato nel frattempo PDS (partito democratico di sinistra).
Il crollo della DC fece venire meno gli accordi del CAF e Craxi fu costretto ad un passo indietro.
I numeri per un accordo di governo erano ancora dalla parte del pentapartito ma il presdiente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro, non poteva affidare l’incarico ad Andreotti per i sospetti di vicinanza alla mafia, né a Craxi ormai coinvolto pienamente nelle inchieste su tangenti e finanziamento illecito.
I vertici del PSI presentarono una rosa di 3 nomi: Amato, De Michelis e Martelli. Giuliano Amato aveva sia la figura del politico, era vicesegretario del PSI, che quella del tecnico, era professore ordinario di dititto costiutzionale comparato all’università Sapienza.
A lui fu affidato il difficile compito di formare un governo che avrebbe dovuto rimettere i conti pubblici in ordine dopo un decennio di debito pubblico e metter mano alla spesa pensionistica avviando così l’Italia verso un risanamento propedeutico all’ingresso nell’Unione europea e nell’area della moneta unica.
Dalla tradizionale maggioranza si sfilò il Partito Repubblicano di La Malfa rendendolo ancora più debole. Ulteriore fattore di debolezza per il governo amato fu il formarsi di una sorta di maggioranza parallela formata dai democristiani fuoriusciti dalla DC e confluiti nella Rete di Orlando e nel Patto di Segni.
Il governo Amato, dopo aver varato la più grande e pesante manovra finanziaria del dopoguerra, cadde all’inizio della primavera del 1993 quando presentò un decreto legge che declassava il reato di finanziamento illecito ai partiti in reato amministrativo.
Il capo dello Stato rifiutò di firmare quel decreto, temendo che l’ondata di sdegno popolare per il colpo di spugna travolgesse le istituzioni e ad Amato non restò altra scelta che quella delle dimissioni. Commentando quei momenti Amato disse “non è stato versato ancora sufficiente sangue nella corrida”
Intanto a Craxi, il cui nome era stato fatto dal faccendiere Silvano Larini, erano arrivati i primi avvisi di garanzia che non avevano risparmiato neanche Claudio Martelli, coinvolto in un affare di bancarotta fraudolenta e poi per un conto estero. Della dirigenza PSI Martelli era forse il voto più spendibile e carismatico, ma questi fatti, uniti all’atteggiamento di Craxi scontro frontale con la magistratura al costo di dissolvere l’intero partito, ne decretarono la fine politica.
Il PSI tentò allora la strada di un rinnovamento con personaggi che non avevavno avuto un ruolo diretto nella gestione del partito ma che erano passati attraverso l’esperienza sindacale, come Giorgio Benvenuto e Ottaviano Del Turco ma il “muoia Sansone con tutti i filistei” prevalse sul tentativo di una rinascita socialista.
Alla fine, travolto dalle inchieste, assediato dalle folle che gli riversarono una piggia di monetine al grido di ladro all’uscita dall’hotel Raphael, e incapace di sottoporsi ad un giudizio, anche quello autocritico, Craxi riparò ad Hammamet finendo i suoi giorni da latitante.
In vario modo i superstiti della dissoluzione del PSI tentarono di riciclarsi; molti all’interno della nuova formazione di sinistra riunita da Achille Occhetto e che prenderà il nome di coalizione l’Ulivo, altri nelle fila del partito di Silvio Berlusconi.
Due dirigenti del vecchio PSI fino a quel momento restati ai margini, Enrico Boselli e Roberto Villetti, tentarono anche una ricostituzione del partito sotto il nome di SDI Socialisti Democratici Italiani ma la nuova formazione non andò mai oltre un ruolo marginale di breve durata.
Qualche anno più tardi fu fatto un nuovo tentativo di ricostituzione del Nuovo PSI per opera Gianni De Michelis e Margherita Boniver del Partito Socialista e di Claudio Martelli e Bobo Craxi, uno dei figli di Bettino, della Lega Socialista.
Anche questo tentativo non portò ad alcun risultato. Nonostante la frammentazione partitica l’Italia era ormai diventata un Paese caratterizzato da un forte bipolarismo e per il partito socialista, simbolo di quell’epoca, non c’era più spazio.