Livorno, 1921
“Occorre, dunque, risolvere pregiudizialmente una questione: «Se il proletariato quest'oggi deve conquistare il potere». Occorre vedere se la situazione attuale internazionale è tale per cui la classe proletaria deve andare verso la direzione della cosa pubblica e sociale.
Se noi risolviamo questo problema noi avremo risolto anche il secondo, cioè se occorre creare il partito specifico per la conquista del potere.”
Così parlava Umberto Terracini nella sua relazione a Livorno durante il diciassettesimo Congresso del partito socialista
“Voi temete oggi di costruire per la borghesia. Preferite lasciar crollare la casa comune al conquistarla per voi. Fate vostro il «tanto peggio…
Livorno, 1921
“Occorre, dunque, risolvere pregiudizialmente una questione: «Se il proletariato quest'oggi deve conquistare il potere». Occorre vedere se la situazione attuale internazionale è tale per cui la classe proletaria deve andare verso la direzione della cosa pubblica e sociale.
Se noi risolviamo questo problema noi avremo risolto anche il secondo, cioè se occorre creare il partito specifico per la conquista del potere.”
Così parlava Umberto Terracini nella sua relazione a Livorno durante il diciassettesimo Congresso del partito socialista
“Voi temete oggi di costruire per la borghesia. Preferite lasciar crollare la casa comune al conquistarla per voi. Fate vostro il «tanto peggio tanto meglio» degli anarchici. Credete o sperate che dalla miseria crescente possa nascere la rivendicazione sociale: non nascono che le guardie regie e il fascismo, la miseria, l’ignoranza, lo sfacelo.”
Idealmente gli rispondeva Filippo Turati Livorno Congresso XVII del partito socialista
Leggendo questi due passaggi si coglie perfettamente quale fu la differenza fra il socialismo rivoluzionario di Terracini e quello gradualista di Turati. Entrambi avevano l’obiettivo della conquista del potere da parte delle classi operaie contro la borghesia; erano le strade ad essere diverse. Turati veniva accusato da massimalisti e comunisti di essere disponibile a collaborare con la borghesia. A posteriori si potrebbe dire che la storia ha dato torto al primo e ragione al secondo:
Il comunismo rivoluzionario, quello di Lenin e del Comintern, in Italia non è mai andato al potere; il socialismo riformista si. La previsione di Turati “dalla miseria nasce il fascismo” si rivelò tragicamente corretta. L’Italia sarebbe diventata fascista anche se non ci fosse stato un partito comunista e forse, lo vedremo fra poco, fu proprio il biennio rosso a dare forza, appoggi e risorse finanziarie ai fasci da combattimento. Ma sarebbe una lettura parziale decontestualizzata dal contesto storico. Contesto storico che è imprescindibile per comprendere perché ci fu un biennio rosso e perché nacque il fascismo.
Ma cosa fu il biennio rosso?
L’Italia esce a pezzi dalla guerra. L’economia fu in recessione quasi ininterrottamente dal 1914 al 1921. L’inflazione toccò punte del 40%; nulla in confronto a quella che colpì in Germania ma comunque sufficiente ad alimentare malcontento.
Il successo della rivoluzione d’ottobre in Russia alimentò le speranze delle classi contadine e giovani intellettuali appassionati come Gramsci fondano la rivista Ordine Nuovo. Nella prima pagina della rivista, poco sotto il sottotitolo Rassegna di cultura socialista, si può leggere il triplice invito:
«Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza»
A Torino, patria della nascente industria automobilistica e vertice del triangolo industriale, Ordine Nuovo sancì la nascita di consigli di fabbrica con lo scopo di gestire autonomamente le fabbriche.
Scioperi e proteste si verificarono in tutto il Paese ma in particolare nel centro nord. Alcune agitazioni avevano sicuramente il carattere dello spontaneismo dovuto alle peggiorate condizioni di vita; altri furono veicolati altrettanto sicuramente da quell’ondata di socialismo che vedeva nella creazione di una repubblica ispirata al successo sovietico il naturale punto di sbocco. Il presidente del consiglio Nitti adottò una strategia di parziale apertura verso le istanze salariali ma di repressione verso quelle socialiste, accusate, non a torto, di rappresentare il bolscevismo italiano.
Nel luglio 1919 i socialisti proclamarono uno sciopero generale. Nel gennaio del 1920 Nicola Bombacci, dopo un viaggio a Mosca, propose la creazione dei Soviet italiani.
Le occupazioni delle fabbriche si moltiplicarono e la borghesia imprenditoriale iniziò a finanziare le squadracce fasciste in chiave antibolscevica e socialista.
Bologna 21 novembre 1920.
A Palazzo D’Accursio si tiene un consiglio guidato dalla giunta socialista di Enio Gnudi che aveva vinto le elezioni. Nelle settimane precedenti i fascisti, arrivati anche da Milano, avevano tentato di impedirne i lavori.
Nel pomeriggio, dopo che Gnudi si era affacciato al balcone, applaudito dai manifestanti socialisti e insultato da quelli fascisti, partirono i primi colpi di arma da fuoco.
restarono a terra senza vita 11 militanti socialisti.
Non fu mai accertato da quale parte partirono i primi colpi ma è certo che quella fu la prima e più inquietante manifestazione di ciò che sarebbe successo un anni dopo con la salita al potere di Mussolini e del Partito Nazionale Fascista.
Questo dunque era il clima nell’Italia dell’epoca: da una parte le spinte della sinistra per una costruzione di un Paese socialista; dall’altro una borghesia grande e piccola che, preoccupata della prospettiva rossa, non esitò a “lasciar fare” il lavoro sporco ai fasci.
Ma torniamo a Livorno e al congresso del 1921.
Ai massimalisti di Giacinto Menotti Serrati andarono 98.000 voti.
Ai riformisti di Turati 14.000 voti.
Ai comunisti di Terracini Bordiga e Gramsci 58.000 voti. Questi allora abbandonarono i lavori e si trasferirono al Teatro San Marco dove costituirono il Partito Comunista d’Italia.
La forma fu quella del partito di avanguardia rivoluzionaria modellato sull’esperienza del partito bolscevico leninista.
Da lì a poco, con l’avvento del fascismo entrò in clandestinità ma la struttura del partito comunista restò solida adattandosi meglio di altre all’impatto del fascismo.
Dopo l’8 settembre 1943 un gran numero di militanti abbracciò la causa partigiana dando un grande apporto alla resistenza essendosi formata alle armi durante la guerra civile di Spagna.
Nel 1943 cambiò anche nome in Partito Comunista Italiano a seguito dello scioglimento dell’Internazionale Socialista.
Nel frattempo erano anche mutati gli obiettivi. Se il primo PCI aveva come fine ultimo quello di portare la rivoluzione bolscevica anche nel nostro Paese, il PCI di Palmiro Togliatti, d’accordo con Stalin, rimandava la questione socialista alla fine della guerra privilegiando in quella fase l’unità del Paese: per la cosiddetta Svolta di Salerno.
Mutava anche la forma, privilegiando il radicamento sul territorio al partito di quadri dirigenti.
Il socialismo reale restava l’obiettivo ma la via per arrivarci era ora progressiva, ci si sarebbe arrivato per gradi.
Questa nuova prospettiva fu anche alla base della collaborazione dei comunisti con altre forze all’interno del Comitato di liberazione nazionale.