Storia e Evoluzione
All’indomani dell’Unità d’Italia i cattolici si trovarono di fronte allo scontro fra nuovo Stato Nazionale e Stato della Chiesa. L’ostilità della Curia romana si manifestò con la disposizione “non expedit” tramite la quale si riteneva non conveniente per i cattolici partecipare alle elezioni in quanto non veniva riconosciuta la legittimità del Regno.
Abbiamo però già visto come la presenza dei cattolici nella vita del Paese veniva esercitata nella forma dell’associazionismo e delle Opere.
Dentro queste associazioni iniziarono dunque a farsi largo correnti di pensiero che vedevano la partecipazione alla politica come una necessità, o per contrastare il “pericolo rosso”…
Storia e Evoluzione
All’indomani dell’Unità d’Italia i cattolici si trovarono di fronte allo scontro fra nuovo Stato Nazionale e Stato della Chiesa. L’ostilità della Curia romana si manifestò con la disposizione “non expedit” tramite la quale si riteneva non conveniente per i cattolici partecipare alle elezioni in quanto non veniva riconosciuta la legittimità del Regno.
Abbiamo però già visto come la presenza dei cattolici nella vita del Paese veniva esercitata nella forma dell’associazionismo e delle Opere.
Dentro queste associazioni iniziarono dunque a farsi largo correnti di pensiero che vedevano la partecipazione alla politica come una necessità, o per contrastare il “pericolo rosso” rappresentato dai socialisti o per innervare della dottrina cattolica il mondo liberale. Il clerico-moderatismo, così fu definito, vedeva i cattolici partecipare alla vita politica appoggiando quegli esponenti della destra liberale più sensibili che avevano superato la strategia delle “due parallele” (Stato e Chiesa).
Fra i protagonisti di questa fase ci fu Romolo Murri, un presbitero marchigiano che vedeva nell’impegno politico un dovere morale e che riteneva che l’impegno dei cattolici in politica dovesse essere autonomo pur privilegiando il dialogo con i socialisti. Lo scontro fra la Curia e Murri divenne durissimo. Nel 1905 Murri fondò la Lega Democratica Nazionale, fu sospeso a divinis nel 1907 e infine scomunicato dopo l’elezione al parlamento nel 1909.
Ma il proposito cattolico di non partecipare alle elezioni venne meno definitivamente con il cosiddetto Patto Gentiloni del 1913. Il Patto, non scritto e persino negato da Giolitti, prendeva il nome da Vincenzo Ottorino Gentiloni, presidente dell’Unione Elettorale Cattolica Italiana. Stipulato in chiave fondamentalmente antisocialista, concedeva alcune garanzie ai cattolici (inviolabilità delle scuole private con insegnamento della religione, centralità della famiglia, esclusione del divorzio).
Dal punto di vista dei risultati il Patto fu un successo: il liberali di Giolitti ottennero il 47% dei consensi ed elessero ben 228 candidati che avevano sottoscritto il Patto. Fu anche il momento più alto dell’esperienza giolittiana a cui seguì la caduta.
Come Murri anche Don Luigi Sturzo era convinto della necessità di una presenza cattolica autonoma nella scena politica.
Il posizionamento politico di Sturzo è ben espresso nelle parole che pronunciò durante la fase fondativa del suo Partito Popolare: “io credo necessario un contenuto democratico del programma dei cattolici nella formazione di un partito nazionale, specificatamente diverso dai liberali e dai socialisti”.
Sturzo, a differenza di Murri, non si mise in posizione di scontro nei confronti della Chesa, anzi fondò il partito solo dopo esplicita approvazione del Papa Benedetto XV.
L’atto fondativo ci fu nel 1919 e Sturzo ne fu il segretario fino al 1923.
Il Manifesto del Partito
Il manifesto del PPI, noto come "Appello ai liberi e forti", rivendicava la necessità di partecipazione secondo i principi di solidarietà sociale, giustizia e libertà. Il partito si proponeva di difendere i diritti dei lavoratori e di promuovere riforme sociali ed economiche in linea con la dottrina sociale della Chiesa.
Attivo nella Confederazione italiana dei lavoratori e forte della presenza di altre organizzazioni di matrice cattolica, il Partito Popolare raggiunse rapidamente il numero di 300.000 iscritti.
Le Elezioni del 1919
Le gravi tensioni che percorrevano il Paese all’indomani della fine della grande guerra mostrarono l’incapacità del vecchio notabilato liberale di intercettare le istanze della popolazione.
Francesco Saverio Nitti sciolse la camera dopo aver abolito il sistema maggioritario uninominale. Nel novembre 1919 si votò con un sistema proporzionale con scrutinio di lista. Nelle previsioni di Nitti il nuovo sistema elettorale, unito all’allargamento del suffragio avrebbe condotto ad un successo delle forze politiche dell’ordine contro quelle massimaliste delle proteste di piazza.
Le previsioni di Nitti furono clamorosamente smentite dall’esito del voto.
I socialisti, che nel 1913 si erano fermati ad un 17%, salirono al 32% pari 1.800.000 voti pari a 156 seggi. Il frammentato mondo liberale scese dai 383 seggi del 1913 ai 216 seggi di questa tornata.
il PPI ottenne un successo significativo, conquistando 100 seggi su 508 alla Camera dei Deputati e diventando così il secondo partito del paese. Questo risultato evidenziò la crescente influenza dei cattolici nella politica italiana e la capacità del partito di mobilitare una vasta base elettorale.
Il Periodo Fascista
Dopo la marcia su Roma, quando ancora non era chiaro il progetto eversivo fascista, il Partito popolare appoggiò la nascita del governo Mussolini nonostante le perplessità e l’opposizione di Don Sturzo. Al congresso del 1923 le due anime del Partito si scontrarono e Sturzo lasciò la segreteria, anche per effetto degli attacchi via via più potenti che arrivavano da Mussolini. Una parte del partito addirittura continuò a collaborare con il governo e la quasi totalità degli eletti votò la Legge Acerbo.
Nel 1924 Sturzo lasciò l’Italia per rifugiarsi prima a Londra poi a Parigi e infine a New York.
La Dissoluzione del Partito
Nel 1926, il regime fascista decretò lo scioglimento di tutti i partiti politici non fascisti, inclusi il PPI. La maggior parte dei leader e dei membri del PPI fu costretta a ritirarsi dalla vita politica o a entrare in clandestinità. Nonostante la dissoluzione ufficiale del partito, molti dei suoi principi e ideali continuarono a influenzare la resistenza antifascista e la vita politica italiana.
Sturzo rientrò in Italia solo nel 1946 a guerra finita e dopo il referendum. Non entrò mai nella Democrazia cristiana sebbene ebbe con De Gasperi frequenti e proficui confronti.
Il motivo per cui non aderì al partito che potrebbe definirsi la naturale continuazione dell’esperienza popolare sta forse nella visione del ruolo dello Stato secondo Sturzo. Al rientro in Italia scrisse alcuni articoli nei quali denunciava lo statalismo e lo spreco di denaro pubblico. Per Sturzo la proprietà privata era inviolabile e l’intervento dello Stato nell’economia necessario solo ai fini regolatori perché un intervento massiccio avrebbe compromesso e minato la libera iniziativa.
Il Partito Popolare risorgerà, almeno nel nome, dopo la dissoluzione della Democrazia Cristina conseguente a Tangentopoli, per iniziativa del suo ultimo segretario Mino Martinazzoli.