Questo è il giornale dell’uomo qualunque, stufo di tutti, il cui solo, ardente desiderio, è che nessuno gli rompa le scatole.
Mentre nell’Italia postbellica si andava delineando la Repubblica dei Partiti, con buona parte di questi partiti protagonisti di una stagione politica che durerà quasi 50 anni, nasceva un giornale che raccoglierà una prematura disillusione per la politica e intercetterà, seppur per un periodo molto breve, il malcontento verso una transizione da Paese Totalitario a Paese Democratico.
il Fronte dell’Uomo Qualunque non sarà un partito post-fascista, sarà piuttosto il partito della disillusione, dell’insofferenza, espressione più di uno stato mentale che non di…
Questo è il giornale dell’uomo qualunque, stufo di tutti, il cui solo, ardente desiderio, è che nessuno gli rompa le scatole.
Mentre nell’Italia postbellica si andava delineando la Repubblica dei Partiti, con buona parte di questi partiti protagonisti di una stagione politica che durerà quasi 50 anni, nasceva un giornale che raccoglierà una prematura disillusione per la politica e intercetterà, seppur per un periodo molto breve, il malcontento verso una transizione da Paese Totalitario a Paese Democratico.
il Fronte dell’Uomo Qualunque non sarà un partito post-fascista, sarà piuttosto il partito della disillusione, dell’insofferenza, espressione più di uno stato mentale che non di un’offerta politica.
Guglielmo Giannini nacque a Napoli, figlio di Federico, giornalista, e come il padre si avviò alla carriera della scrittura, passando dal giornalismo alla commedia. Era un uomo esuberante, dotato di una spiccata vena satirica, di provenienza borghese ma di quella borghesia napoletana e meridionale che si era formata nella diffidenza verso l’Italia unitaria e che dall’Italia liberata dagli angloamericani guardava con sospetto il vento del Nord del Comitato di Liberazione.
Quando nel 1944 fonda la rivista L’uomo Qualunque esprime un disprezzo profondo per la politica e le sue dinamiche, esprime in particolare un odio verso i capi , rappresentanti teoricamente del popolo ma che del popolo se ne infischiano e il cui consenso semmai usano per fini che col popolo c’entrano nulla. Per loro Giannini inventa una sigla u-pi-pi (uomini politici di professione) che sentiremo usare spesso nei decenni a venire e anche ai nostri giorni. Scopo degli u-pi-pi è vivere sulle spalle della gente non avendo alcuna qualità che non quella di essere fannulloni e impostori.
Nel 1945 pubblica un libro La Folla, seimila anni di lotta contro la tirannide di cui vanno esaurite in breve tempo 3 ristampe, che diventerà una sorta di manifesto dei principi del Partito dell’Uomo Qualunque.
L'uomo qualunque che sta pagando da seimila anni le colpe e gli errori dei suoi capi, diffida di tutti i Capi, passati, presenti e futuri. È stato trascinato, contro la sua volontà, in guerre inutili e stupide, in agitazioni sociali animose e improduttive; e tutto e solo per l'idiozia, l'egoismo, l'arrivismo dei Capi, Sottocapi e Aspiranti Capi in lotta fra loro per decidere chi dovesse tosare il gregge e vendersi la lana»
La Folla, che Giannini non chiama Popolo, è costituita da uomini comuni, dediti al loro lavoro, di buon senso e di buon cuore, contrapposti agli uomini di potere dediti allo sfruttamento delle risorse prodotte dai primi. E’ una lotta continua fra il bene (la Folla) e il male (i Capi).
Se dunque la struttura di rappresentanza incarna il male, l’unica via per la Folla di ottenere ciò che vuole è una forma di autogoverno, un prototipo di democrazia diretta. Ma anche la democrazia diretta ha bisogno di una figura che faccia da sintesi, che se ne faccia interprete; alla Folla non serve un capo, serve un “ragioniere” scelto attraverso sorteggio e che resti in carica un anno senza possibilità di conferma perché altrimenti quel ragioniere diventerebbe elite e procurerebbe alla Folla solo danni.
In questo organigramma-non organigramma quale ruolo ha Giannini? Quello del Fondatore, come si farà chiamare, un uomo normale, appena più normale degli altri, chiamato non a guidare la folla bensì a divulgare la dottrina.
Le invettive di Giannini non sono solo contro la classe politica, sono anche contro le istituzioni. Le elezioni sono un rito inutilmente dispendioso. Che senso ha mettere in piedi una macchina elettorale in cui i cittadini si esprimono senza sapere realmente per chi voteranno? Che senso ha consentire a 10.000 u-pi-pi di accaparrarsi il potere e lottare strenuamente per difendere la loro posizione di privilegio nei confronti di 40 milioni di cittadini. Meglio dunque il sorteggio. Con il sorteggio si pone fine alle nefandezze degli uomini politici di professione.
Quanto alle competenze non servono, giacché basta il buon senso (una forma primigenia dell’uno vale uno del grillismo)
Questa ribellione contro la politica in senso stretto si esprime anche attraverso un linguaggio semplice, diretto, corrosivo. La neolingua populista è fatta di espressioni come “noi vogliamo vivere tranquilli”, “non rompeteci i coglioni”, “i politici di professione sono vermi che vogliono mangiarsi l’un l’altro”.
Nel dicembre 1945 Giannini incoraggiato dal successo della sua rivista e del suo libro scioglie gli indugi e fonda il partito.
Non era semplice spiegare la fondazione di un partito dopo aver detto e scritto tutto il male possibile della forma partito. Ovviamente l’escamotage è che quella è una transizione necessaria, che il Fondatore non vede l’ora di farsi da parte una volta realizzato un congresso, che la formazione politica avrà caratteristiche opposte a quelle degli altri partiti: processi ultrademocratici, nessuno spazio alle burocrazie interne.
Non manca nel Fronte dell’Uomo Qualunque il giustizialismo. Dalle pagine del nuovo quotidiano edito nel dicembre 1945 il cui nome è anche un manifesto di programma, il Buonsenso, lancia l’appello alla magistratura di intervenire contro la corruzione. L’assunto è semplice: se la classe politica è intrinsecamente corrotta, non necessariamente per via di episodi di malversazioni, bensì perché la natura corruttiva degli uomini di potere si estrinseca nell’essere di per sé detentori del potere, ecco che serve una forza moralizzatrice che in nome della Folla spazzi via i corrotti.
Le elezioni del 1946 per la Costituente sono un successo. Il Fronte dell’Uomo Qualunque ottiene il 5,3% dei voti ed elegge 30 parlamentari. Vanno ancora meglio le amministrative dello stesso anno quando il Partito di Giannini diventa primo per consensi in alcune città del Meridione. Sembra un’onda inarrestabile, o almeno così la vede il Fondatore, che però non coglie che in quel momento si sta profilando una battaglia di posizione fra le due grandi anime del Paese: quella cattolica-atlantista e quella comunista. Il motto di Giannini per le amministrative è “né destra né sinistra ma avanti”.
Lo stile di Giannini si fa ancor più graffiante e l’uso dello sberleffo, o dell’offesa, costante. Il Partito Comunista diventa Partito Concimista, il CLN Comitato di diffamazione nazionale, il Partito d’Azione Partito più ridicolo d’Italia dopo Federico Barbarossa. Giannini ne ha ovviamente anche per i leader politici, così Togliatti viene chiamato Cosacco Onorario e Nenni Benito Tascabile.
Durante i lavori della Costituente minaccia azioni dissacranti come far cantare canzoni ai suoi eletti e alle elezioni per la presidenza della repubblica indica per il voto una “donna qualunque” Ottavia Buscemi Penna.
Nella sua rapidissima e tumultuosa costruzione L’uomo Qualunque aveva però imbarcato anche sensibilità diverse. Essendo apertamente contro i processi democratici e ferocemente contro la classe politica nascente, era ovvio che attirasse esponenti della destra postfascista in cerca di una collocazione politica. Allo stesso tempo uomini portati in parlamento dal mito dell’antipolitica avevano assaporato il potere che la politica concedeva e non erano disposti a farsi da parte una volta terminato il mandato. Così quando ci fu la sfiducia socialdemocratica al Governo De Gasperi e Giannini si rifiutò di fare da stampella al governo, molti parlamentari qualunquisti passarono sotto altre bandiere di partito. Fra il 1946 e il 1948 il malcontento verso il dirigismo del Fondatore si fa evidente e l’obliquità delle scelte politiche di Giannini alimentano lo sconcerto. Giannini prima si avvicina alla DC, poi, con un’inversione di rotta clamorosa inizia dialoghi epistolari con Togliatti che solo un anno prima aveva etichettato come verme e farabutto.
Alle elezioni del 1948 il Fronte dell’Uomo Qualunque si presenta insieme ai liberali nel cosiddetto Blocco Nazionale ottenendo un misero 3,8%. Tanto più misero ove si pensa che la somma algebrica di PLI e Uomo Qualunque alle precedenti elezioni era stata superiore al 12%.
Il Fronte dell’Uomo Qualunque, il primo partito populista della storia d’Italia, i scioglie dopo quelle elezioni. Giannini resta in politica tentando prima di candidarsi con la Democrazia Cristiana e poi avvicinandosi al Movimento Sociale Italiano e al Partito Monarchico.
Termina il suo percorso politico fatto di intransigenza e repentine giravolte presentandosi alle elezioni politiche del 1958 nelle liste di un altro campione del populismo, il comandante Achille Lauro.