La caduta del regime fascista e poco dopo della Monarchia non poteva non lasciare in Italia spinte nostalgiche ed eredità politiche. Soprattutto, il vasto consenso di cui aveva goduto il fascismo non poteva essere del tutto cancellato con una, tutto sommato, breve fase storica di resistenza. Uomini che, prima durante il ventennio e poi durante l’esperienza della Repubblica di Salò, avevano percorso le strade della politica non potevano sparire.
Pur con tutti i distinguo dovuti alla storia dei partiti politici clandestini, una buona parte di italiani erano stati fascisti e monarchici, e se, per quanto riguarda questi ultimi la fuga del re aveva minato la fiducia nella casa Savoia, il…
La caduta del regime fascista e poco dopo della Monarchia non poteva non lasciare in Italia spinte nostalgiche ed eredità politiche. Soprattutto, il vasto consenso di cui aveva goduto il fascismo non poteva essere del tutto cancellato con una, tutto sommato, breve fase storica di resistenza. Uomini che, prima durante il ventennio e poi durante l’esperienza della Repubblica di Salò, avevano percorso le strade della politica non potevano sparire.
Pur con tutti i distinguo dovuti alla storia dei partiti politici clandestini, una buona parte di italiani erano stati fascisti e monarchici, e se, per quanto riguarda questi ultimi la fuga del re aveva minato la fiducia nella casa Savoia, il fascismo, pur depurato degli eccessi di Mussolini e della guerra, aveva ancora principi da poter esser spesi.
Soprattutto al meridione, come vedremo, simpatie monarchiche e di destra trovarono terreno fertile, aggiungendo dicotomia politica ad altre differenze con il Nord.
In occasione del referendum istituzionale fiorirono numerose sigle monarchiche che alla fine si raccolsero intorno al Partito Nazionale Monarchico il cui segretario fu Alfredo Covelli.
Ufficiale dell’aereonautica militare durante la seconda guerra mondiale, Covelli fondò il PNM nel 1946 e riuscì a farsi eleggere deputato della Costituente. Fu poi successivamente eletto alle elezioni politiche del 1948 e rimase a Montecitorio fino al 1976 passando, dopo l’unificazione con il Partito Monarchico Popolare di Achille Lauro, al Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale.
Achille Lauro era un armatore napoletano che aveva fatto fortuna grazie anche ai buoni rapporti con le gerarchie fasciste. Iscritto al PNF, dopo le 4 giornate di Napoli fu arrestato dagli angloamericani e trasferito nel carcere di Padula dove restò 2 anni.
Dopo il proscioglimento si avvicinò prima all’Uomo Qualunque, poi alla Democrazia Cristiana e infine al partito monarchico di Covelli. Lasciò il PNM nel 1954 per fondare il Partito Monarchico Popolare.
Durante quegli anni governò Napoli, forte di un vasto consenso popolare acquisito anche con pratiche poco ortodosse o al limite dell’illecito, e la sua figura è ricordata principalmente come sindaco. I suoi fedelissimi lo chiamavano “viceré”.
Nel 1959 si riunì con Covelli fondando con lui il Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica.
Come Covelli terminò la sua carriera politica nelle file del Movimento Sociale.
Il Movimento Sociale Italiano nasce fra la fine del 1946 e l’inizio del 1947 ispirandosi chiaramente all’ultimo fascismo, quello di Salò, anticomunista e anticapitalista. Presente soprattutto al sud ma forte anche in alcune zone del nord scontente della riforma agraria cui l’MSI promette sollievo e riscatto, tenta di accreditarsi come argine all’avanzare del socialismo sovietico assumendo di volta in volta posizioni di critica o di sostegno alla Democrazia Cristiana.
Nei confronti del Fascismo la posizione da adottare, indicata al congresso di Napoli del 1948 da Augusto De Marsanich, è riassunta nello slogan “non rinnegare e non restaurare”.
Alle elezioni del 1948 raggiunge a malapena il 2% dei voti ma a quelle successive del 1953 si attesta su un significativo 5,8% che unito al 6,1% del Partito Nazionale Monarchico indica chiaramente che il sentimento benevolo del Paese nei confronti della destra era ancora ben radicato.
Il segretario del Partito è uno dei fondatori, Giorgio Almirante, di convinta fede fascista che mai rinnegherà nella sua vita, e aderente alla repubblica di Salò dove aveva avuto il ruolo di capomanipolo.
Un soggetto politico nato da queste radici deve stare attento a non incorrere nelle prescrizioni sancite nelle disposizioni transitorie della Costituzione repubblicana e nella Legge Scelba del 1952 che vieta la ricostituzione di un partito fascista. E’ forse anche per questo motivo che l’MSI si chiamerà Movimento e non partito ed è questo uno dei motivi che porteranno alla segreteria prima De Marsanich nel 1950 e poi Augusto Michelini nel 1954. Per quest’ultimo verrà coniato l’appellativo di “fascista in doppio petto” in contrapposizione al nucleo fondativo del movimento composto da esponenti che avevano indossato le divise repubblichine.
La segreteria Michelini durò fino al 1969 portando l’MSI su posizioni filoatlantiche.
Oltra alla corrente di Almirante, nel Movimento Sociale, c’era anche una componente evoliana e spiritualista identificata da Pino Rauti. Rauti insieme ad altri dirigenti diede vita al Centro Studi Ordine Nuovo che verrà trasformato sulla fine degli anni 60 nel Movimento Politico Ordine Nuovo; sciolto a seguito di una sentenza di condanna in base alla Legge Scelba nel 1973.
Morto Michelini, che nonostante le sue aperture atlantiste non era riuscito a portare il Movimento all’interno del cosiddetto arco costituzionale, la segreteria fu assunta ancora una volta Giorgio Almirante.
Durante i primi anni 70 la strategia di Almirante fu quella di non cancellare il parlamentarismo di Michelini ma di affiancarlo con un movimentismo più evidente in modo da attirare le istanze degli scontenti della situazione politica-istituzionale ed economica e gli spaventati dall’avvicinamento della DC alla sinistra. Sintomatico fu l’aver capeggiato la rivolta di Reggio Calabria quando il governo decise di spostare il capoluogo di regione a Catanzaro.
Le elezioni del 1972 sembrarono ripagare la strategia di Almirante. Il MSI, cui era stata aggiunta la sigla Destra Nazionale dopo l’unificazione con i monarchici, prese l’8,7% e in molte aree del sud si avvicinò al 20%.
Ma l’ondata missina si muove su un terreno scivoloso. Alcuni personaggi che ne sono protagonisti, come Ciccio Franco tribuno e animatore dei fatti di Reggio Calabria, Sandro Saccucci, accusato di omicidio e facente parte del fallito tentativo di colpo di Stato di Junio Valerio Borghese, le nuove forme di squadrismo e il terrorismo nero di quegli anni, ruppero la costruzione di Almirante di un partito, sì ispirato dalla tradizione fascista ma ormai inserito a pieno nei processi democratici e lontano anche per questioni temporali da un’ipotesi di ritorno all’autoritarismo.
Le elezioni del 1976 furono deludenti. Il Movimento sociale, in un’Italia squassata dalle tensioni e dal terrorismo, prese il 6,1%, molto lontano dall’8,7% della precedente tornata elettorale. Il suo principale oppositore interno, Pino rauti, iniziò ad ipotizzare una confluenza delle estreme, destra e sinistra, in funzione anticapitalista, antipartitica, antiatlantista e rivoluzionaria e terzomondista.
Nell’Italia degli anni 80 la posizione di Almirante sarà invece quella di un leader di partito perfettamente integrato nei processi democratici ma immune dai vizi della partitocrazia, della spartizione del potere e della corruzione. Un percorso, iniziato con chiara ispirazione repubblichina, passato per il riconoscimento della figura politica di Enrico Berlinguer, a cui Almirante renderà omaggio nel 1984, e che terminerà invece nella trasformazione del Movimento Sociale in partito moderato ad opera del suo delfino Gianfranco Fini, protagonista della svolta di Fiuggi e nella costituzione del partito Alleanza Nazionale.