Secondo il rapporto Eurobarometro nel 2010 la sfiducia dei cittadini nei partiti politici era in Unione Europea all’80%. In Italia al 77%, In Gran Bretagna l’83%, in Francia 85%.
Nella puntata precedente avevamo visto quale è il terreno di coltura per i partiti populisti; un terreno di coltura che abbiamo detto essere rappresentato da un moto di sfiducia e rabbia che parte dal basso e muove verso l’alto, dove l’alto è rappresentato dalle classi politiche, dirigenziali, dalle elite burocratiche, dai tecnocrati. Avevamo anche visto che i partiti politici, tradizionalmente veicolo e mediazione delle istanze dei cittadini tendono ad uniformare le scelte di policy una volta giunti al potere e perciò a confondersi essi stessi con il potere. Confondendosi con le elite i partiti tradizionali, specie quelli che occupano stabilmente posizioni di governo, vengono individuati dai populisti come nemici del popolo, come simbolo di una classe dirigente da sostituire attraverso la via democratica oppure, in alcuni casi, attraverso forme alternative di democrazia (abbiamo fatto l’esempio dei referendum, delle leggi di iniziativa popolare e della democrazia partecipata e diretta).
Nel 2010 queste condizioni c’erano tutte e a queste condizioni si erano aggiunte quelle determinate dalla grave crisi che, partendo dal sistema bancario e finanziario (altro nemico giurato dei populismi) aveva contagiato le economie del vecchio continente. In questo senso c’era anche la tempesta perfetta, l’esempio plastico della voracità delle elite finanziarie in danno della povera popolazione affamata e stremata dalla crisi; l’esempio sotto gli occhi di tutti era la Grecia.
Naturalmente nel caso della Grecia le cose sono andate diversamente da come sono state raccontate (per la storia della crisi greca rimando ai video che su Liberi Oltre abbiamo prodotto fra il 2018 e il 2020), ma è indubbio che un Paese con basso reddito, che aveva deciso di rinunciare alla propria moneta, la dracma, in favore dell’euro, che era soggiogato dai debiti internazionali ed era costretta a tagli di bilancio era il laboratorio perfetto per essere issato a vessillo della rivolta popolare contro il potere.
D’altra parte l’Italia si trovava in una situazione per certi versi paragonabile: classe politica scadente, burocrazia invasiva, alto debito, valuta comunitaria e necessità di rimettere a posto i conti pubblici.
Un mix esplosivo ed esaustivo che creava quello che Marco Tarchi ha definito già nel 2008 “paradiso populista”.
In questo paradiso nessun partito era immune al populismo, né al governo, né all’opposizione. La Lega di Umberto Bossi, potenziale campione di questo turbamento populista che aveva attraversato il Paese fin dagli anni 90 e per tutta la prima parte degli anni 2000, non solo era diventata ancillare al centralismo di Berlusconi, ma era stata pure travolta dall’uso spregiudicato e personalistico dei fondi elettorali.
Mancava un movimento, ossia una forma di rappresentanza politica che fosse diversa dalla tradizionale forma partito e che rappresentasse, anche nell’immaginario, una proposta di rottura violenta del quadro istituzionale.
Ricordate il complesso di Cenerentola? Un partito, o un movimento populista, deve potersi adattare a qualunque definizione ma non coincidere mai perfettamente con alcuna di essa.
Nell’Italia dell’inizio del secondo decennio del secolo i “nemici” del popolo c’erano tutti; mancava una Cenerentola.
I miei amici Marco Canestrari e Nicola Biondo hanno raccontato nascita, crescita, dinamiche interne, formazione delle istanze politiche del Movimento 5 Stelle nei libri Supernova, Il Sistema Casaleggio e nel podcast Il Virus a cui rimando; e al bel libro di Jacopo Iacoboni L’esperimento.
Per non sovrappormi ai loro pregevoli lavori, tenterò dunque di aggiungere elementi di scienza della politica ad una storia che è fatta di episodi, ampiamente raccontati, che seguono, o sembrano seguire, un ben preciso disegno logico elaborato dai protagonisti: Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo.
Il populismo, abbiamo detto, ha bisogno di un leader, di una persona che abbia sufficiente carisma per incarnare rappresentativamente il popolo deluso e incazzato. Deve essere esterno al sistema di potere, estraneo alla classe dirigente politica e finanziaria, deve saper usare un linguaggio incendiario, deve avere la sensibilità di raccogliere i punti nevralgici della rabbia e dell’indignazione e deve veicolare, spesso suggerire, quella rabbia dal basso verso l’alto.
Beppe Grillo era l’uomo giusto al momento giusto. Comico dalla verve corrosiva, era stato allontanato dalla RAI per i suoi attacchi al Partito Socialista di Bettino Craxi ben prima che Tangentopoli rivelasse il sistema di collusione-corruzione con l’economia.
Nei tour teatrali attaccava non solo la politica tout court ma anche il magmatico, e inafferrabile, sistema di potere che condiziona le scelte dei consumatori, le cure mediche, la predazione delle risorse finanziarie.
Si era fatto azionista di Telecom Italia, dando l’immagine del sacrificio personale, per lanciare nel 2007 una sfida al management e promuovere una OPA alla genovese dei piccoli azionisti per controllo della società di telecomunicazioni.
Aveva un blog molto seguito in cui attaccava il sistema, teorizzava meravigliosi mondi alternativi, promuoveva un riscatto umanistico contro la spersonalizzazione delle massaie e dei popolino privato dei più elementari diritti: il buon cibo, il tempo libero, l’ozio.
Per rivelare il grande complotto non esitava a cavalcare le più surreali bufale.
A titolo d’esempio cito la palla magica contro l’industria dei detersivi, la biowashball; una palla di plastica colorata, del costo di pochi euro, contenente pallini di ceramica che avrebbe spazzato via l’industria chimica colpevole di inquinare e tenuta nascosta al popolo proprio dalla malefica lobby industriale.
Lanciò una campagna contro l’olio di oliva importato. L’Italia, disse, è il primo produttore di olio di oliva del mondo (affermazione falsa) e ci costringono ad usare olio di merda.
Fino al caso Xylella, spacciato per truffa, inventato per far abbandonare gli uliveti agli agricoltori pugliesi e favorire il grande capitale e l’industria dei prodotti chimici.
Se avete seguito la puntata 22 troverete tante analogie con i movimenti populisti del secolo scorso e in particolare con la figura di Pierre Poujade.
Gli ingredienti per un successo politico del Movimento nato intorno alla figura di Grillo all’inizio del decennio c’erano quasi tutti: la retorica violenta, i nemici del popolo, le lobby industriali e finanziare, la politica corrotta, il linguaggio simbolico e antiscientifico.
Manca un ultimo tassello, di non poco conto: la strategia politica.
Se c’era un popolo deluso e arrabbiato di cui raccogliere le istanze moralizzatrici, e c’era un leader sufficientemente carismatico capace di rappresentarle con violenta passione, mancava un progetto politico.
Ad elaborarlo fu un esperto di comunicazione, visionario e schivo (il perfetto uomo nell’ombra) che aveva già maturato una significativa esperienza di comunicazione politica con l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro: Gianroberto Casaleggio.
La democrazia è corrotta, il parlamento non fa gli interessi dei cittadini e non li rappresenta. Per dar voce ai cittadini bisogna chiedere direttamente a loro cosa vogliono. Nasce, anzi si perfeziona, così l’idea della democrazia diretta, dei meet-up, della partecipazione attiva e della decisione democratica.
Nulla che possa essere spontaneo in realtà perché le decisioni, la via da seguire, è tracciata dal Capo Carismatico, dal Guru che apre gli occhi di un popolo ipovedente e gli ridona la vista.
Ma l’illusione funziona, è potente, salvifica.
Nell’autunno del 2012 si vota per le amministrative in Sicilia. Beppe Grillo parte per la conquista dell’isola attraversando a nuoto lo Stretto di Messina.
Approdato sulle coste siciliane dopo i 3 chilometri che separano Messina dal Continente dichiara:
È il terzo sbarco. Prima quello dei Savoia, poi gli americani che han portato la mafia e oggi io col Movimento 5 Stelle. E nessuno di loro è venuto a nuoto
Il 28 ottobre si vota e il Movimento 5 Stelle prende 285 mila voti, pari a quasi il 15%. Il suo candidato alla presidenza della regione, Giancarlo Cancellieri 368 mila, pari al 18%
Il Movimento 5 Stelle può ora partire alla conquista di Roma e dell’Italia.
Le elezioni politiche del 2013 si tengono il 24 e 25 febbraio. Il Movimento 5 Stelle si presenta per la prima volta a livello nazionale; Grillo ne è il capo politico ma non si candida: come Poujade è l’ispiratore, il condottiero, il deus ma non intende sporcarsi le mani con il potere. Questa decisione, a giudizio di chi vi parla ha una diversa valenza e poco ha a che fare con un bisogno di purezza.
Entrare nei luoghi del potere politico ed esercitarlo istituzionalizza gli eletti, li induce al compromesso, talvolta alla collusione; il potere politico è infido e seducente e potrebbe corrompere gli animi deboli degli eletti portandoli o ad uno scontro con la leadership o addirittura ad un cambiamento della missione del Movimento. Da qui il controllo esterno, il limite del doppio mandato, le rigide regole che portano alle epurazioni dei candidati eterodossi e alle salate multe comminate a chi non si uniforma alla disciplina imposta da Grillo e Casaleggio. Pagella politica ha calcolato che al 2021 i parlamentari espulsi dal Movimento 5 stelle nel 2018 sono il 28%, quasi 1 su tre.
I candidati al parlamento vengono indicati tramite le parlamentarie, consultazioni on line che si tengono sulla piattaforma Rousseau di proprietà della Casaleggio e Associati.
Gli eletti non saranno “onorevoli”, saranno “cittadini portavoce”, contravvenendo dunque al presidio costituzionale contenuto nell’articolo 67 sull’assenza di vincolo di mandato; il segretario non è un segretario ma un capo politico; a guidare il movimento non c’è una segreteria politica ma ci sarà, quando il Movimento si istituzionalizzerà, un direttorio rappresentativo di tutte le differenti anime (divide et impera); il congresso non sarà un Congresso ma Stati Generali (richiamo alla rivoluzione Francese e alla Comune di Parigi).
L’esito del voto è straordinario: il Movimento raccoglie più di 8 milioni e mezzo di voti pari al 25,56% e porta alla Camera 109 cittadini portavoce.
Quelle elezioni videro la “non vittoria” del centrosinistra guidato da Bersani. Il Partito democratico fu ad un’incollatura secondo partito italiano dietro proprio al movimento 5 stelle.
Il 27 marzo 2013 Bersani offrì al Movimento di far parte del governo aprendo alle istanze di Grillo e riconoscendogli il successo elettorale. Le consultazioni, su pretesa di Grillo in nome della trasparenza, per la prima volta nella storia della repubblica, vennero trasmesse in streaming. Per il Movimento parteciparono Roberta Lombardo e Vito Crimi. All’invito di Bersani di prendersi un pezzo di responsabilità Lombardo rispose che le sembrava di stare a Ballarò e che loro, il Movimento, non sentivano le parti sociali perché loro erano le parti sociali. Parlò anche di un progetto a 30 anni e si ripromettevano di riprendersi la sovranità del Paese.
Le consultazioni furono un’umiliazione per Bersani e per Enrico Letta che poi assumerà l’incarico di formare un governo di coalizione dopo il fallito tentativo di Bersani.
Il Movimento andò al governo dopo le successive elezioni del 2018, ma dove si schierava il suo elettorato e in quali politiche si riconosceva?
In un sondaggio realizzato da Demos e pubblicato su Repubblica nell’ottobre 2016 l’elettore del Movimento 5 stelle si sentiva vicino alla Lega Nord al 20%, a Sinistra Italiana al 15%, a Fratelli d’Italia al 12%, a Forza Italia al 10%, al PD al 7%.
Ilvo Diamanti scrisse:
il 45% dei suoi elettori si dichiara "esterno" ed "estraneo" alla distinzione fra destra e sinistra. Mentre gli altri si distribuiscono, senza troppi squilibri, nello spazio politico. E gravitano, dunque, "mediamente" al centro. Così si spiega la reticenza dei leader del M5s a "esporsi", esprimendo posizioni apertamente schierate. Perché al M5s si dice vicino circa uno su 4 fra gli elettori della Lega, di FI, della Destra-FdI e, sul versante opposto, di Sinistra Italiana. Ma suscita interesse, per quanto in misura minore, anche fra gli elettori del PD e dei Centristi. Perché "deluderli"?
Un partito senza identità precisa dunque, senza ideologia; vicino tanto alla destra che alla sinistra. Come scrisse il già citato Taggart il populismo non ha ideologie, è una mentalità.
Alle elezioni 2018 la crescita del Movimento non si arrestò. Fu votato da 10,7 milioni di italiani superando il 32% dei voti, di gran lunga il primo partito italiano, abbastanza per ricevere l’incarico di formare un governo, nella figura di Luigi Di Maio diventato nel frattempo capo politico, ma non abbastanza da avere una maggioranza.
Si aprì dunque il solito balletto delle consultazioni in una delle più drammatiche crisi post elettorali della storia della Repubblica. Per 89 giorni, il tempo più lungo mai registrato senza l’Italia restò in bilico fra governo tecnico (il tentativo di Cottarelli subito bollato come golpe bianco dal partito uscito vincitore dalle elezioni) e ritorno alle urne.
L’empasse fu superato dalla firma del contratto per il governo del cambiamento con la Lega di Matteo Salvini, quella stessa Lega con la quale si sentiva affine un elettore su 5 qualche anno prima.
Firmare un contratto fra opposti populismi tuttavia non era sufficiente a garantire stabilità. Il populismo è in sé messianico, ogni populismo è retto dalla certezza di avere il popolo dalla propria esclusiva parte; e non possono esserci contemporaneamete due messia.
Tanto Di Maio quanto Salvini pretendevano l’incarico di presidente del Consiglio e la formula di compromesso fu trovata nell’indicare al presidente della Repubblica un nome nuovo, sconosciuto, in quota 5 stelle ma comunque esterno: Giuseppe Conte. Quanto ai due galli nel pollaio, furono indicati come vice presidenti del consiglio, con potere di controllo e di veto su Conte, e titolari dei dicasteri dello Sviluppo Economico e Lavoro e Politiche sociali Di Maio, degli Interni, con forte accento anti immigrazione, Salvini.
Ribaltando una celeberrima affermazione di Giulio Andreotti, il potere logora chi non ce l’ha, possiamo ex post dire che il potere, l’esperienza di governo, ha logorato tanto la Lega quanto il Movimento 5 stelle.
Una volta assaggiato il sapore del potere, i cittadini portavoce si sono sentiti onorevoli, con i loro privilegi, con le auto blu, con le garanzie riservate al ceto politico, con l’autoconservazione delle proprie carriere.
Sono stati messi in discussione via via tutti i capisaldi voluti da Grillo, dal limite del doppio mandato al cumulo degli incarichi, dalla democrazia diretta alla restituzione di parte degli emolumenti; è stata messa in discussione la figura del garante e l’uso del blog, con il quale Grillo si garantiva 300.000 euro l’anno di entrate, e quello della piattaforma Rousseau dei Casaleggio.
Lo sconosciuto avvocato del popolo, la cui abilità probabilmente era stata sottovalutata sia da Di Maio che da Grillo, riuscirà nel dicembre 2024 a prendersi il partito, diventandone di fatto il padrone, e ad estromettere Grillo anche dal ruolo di garante dei principi originari.
Ho detto partito. Del Movimento non è rimasto nulla, se non le 5 stelle, un po’ sbiadite, e il populismo.