La gravità dei problemi del paese, le minacce sempre incombenti di avventure reazionarie e la necessità di aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico, di rinnovamento sociale e di progresso democratico rendono sempre più urgente e maturo che si giunga a quello che può essere definito il nuovo grande "compromesso storico" tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano.
E. Berlinguer, 1973
Fattori interni e fattori internazionali avevano portato Berlinguer a ipotizzare e delineare questo grande compromesso fra le due principali forze politiche del Paese, da sempre schierate su posizioni opposte, dicotomiche, avversarie.
Il PCI si era guadagnato il diritto a partecipare alla costituente e al primo governo repubblicano in virtù della partecipazione attiva, e in alcune zone egemonica, al comitato nazionale di liberazione; ma il filo diretto, che col tempo era diventato una vera e propria dipendenza, con il PCUS di Mosca l’aveva relegato nella conventio ad excludendum ad un ruolo di eterna opposizione. E se i fatti del 1956 in Ungheria avevano solo timidamente scalfito l’immagine dell’URSS fra i comunisti italiani, la primavera di Praga del 1968 suscitò non pochi ripensamenti e fu fra i fattori che diedero il là ad una dottrina che iniziava a non escludere un allontanamento da Mosca.
La nascita sul finire degli anni ’60 dei movimenti studenteschi, l’intensificarsi dei presidi nelle fabbriche e, soprattutto, l’emersione delle varie forme di lotta armata per il comunismo rivoluzionario (che in alcuni casi, come quello delle Brigate Rosse diceva di ispirarsi apertamente alla rivoluzione partigiana) aveva messo in crisi l’antica dottrina del nessun nemico a sinistra e portato il PCI a ripensare il suo ruolo non più come avanguardia della rivoluzione socialista, bensì come interprete di una nuova forma di comunismo, a metà fra quello tradizionale e massimalista della rivoluzione d’ottobre e le forme di socialdemocrazia nordeuropea. Gli storici politici definiranno quello di Berlinguer eurocomunismo.
Staccarsi in modo netto da Mosca e dalla sua influenza non era né possibile né attuabile, ma avvicinarsi ad alcuni punti chiave della dottrina sociale cattolica lo era.
La stagione dei governi di centrosinistra andava esaurendosi e gli esponenti della sinistra DC, in particolare Fanfani e Moro, avevano bisogno di una prospettiva nuova che andasse oltre le precedenti esperienze. Già nel 1968 Moro aveva parlato, a proposito dei rapporti con il PCI, di strategia dell’attenzione.
Mentre il nemico interno (il terrorismo, sia quello di sinistra che quello di destra) tentava di mettere a rischio le istituzioni democratiche che anche il PCI aveva contribuito a costruire, sul fronte internazionale lo scenario mutava velocemente.
Agli inizi degli anni ’70 cominciò ad avviarsi, pur con cautela e sospetti, un primo disgelo nei rapporti fra URSS e Stati Uniti che nel 1972 avviarono negoziati per un primo, parziale, smantellamento dell’arsenale nucleare.
Un anno prima il presidente americano aveva denunciato gli accordi di Bretton Woods dando il via al sistema di cambi flessibili.
Nel 1973 due eventi apparentemente fra loro distanti avevano avuto ripercussioni sugli equilibri internazionali. In Cile il generale Augusto Pinochet con un colpo di Stato aveva deposto il presidente Salvador Allende; i Paesi dell’OPEC, come ritorsione alla guerra del KIPPUR, ridussero le esportazioni di petrolio verso i Paesi sostenitori di Israele generando una crisi per le economie industriali occidentali come non si vedeva dai tempi della grande guerra.
L’Italia, esposta più di altri, subì una spirale inflazionistica che ebbe gravi ripercussioni sull’economia per i decenni a venire.
Un possibile terreno di scontro con i cattolici era rappresentato dal referendum abrogativo sulla legge sul divorzio. Il PCI, pur essendo per il NO, evitò lo scontro aperto con la Democrazia Cristiana per la quale scese direttamente in campo il Vaticano. Il Partito comunista, che era già stato decisivo nell’approvazione dell’art.7 della Costituzione sui Patti Lateranensi, comprendendo e accettando la base cattolica della società italiana, si sottrasse abilmente a questo potenziale terreno di battaglia lasciando che la coalizione di governo, composta da DC PSI PSDI e PRI si lacerasse al suo interno.
Il referendum sul divorzio rappresentò una sonora sconfitta per la democrazia cristiana, lasciata sul fronte del si da tutti i partiti ad eccezione dei missini.
Nelle elezioni amministrative del 1975 il Partito Comunista ottenne un successo clamoroso portando i suoi voti al 33,5%, mentre la Democrazia Cristiana si fermò al 35,3%. Meno di due punti separavano il partito cardine del sistema politico italiano dal suo storico e principale avversario. Messi ipoteticamente insieme i due partiti rappresentavano più del 70% degli elettori.
La legislatura che andava a concludersi aveva anche messo più che mai in luce la debolezza della politica; ben 5 governi si erano alternati nel periodo e lo stesso PCI era tutt’altro che monolitico nella sua strategia. Da una parte c’era l’ipotesi del compromesso con la Democrazia Cristiana, dall’altra la tentazione di dare la spallata decisiva ad un sistema che andava manifestando non solo le sue strutturali debolezze ma anche fenomeni corruttivi.
L’espansione dello Stato nell’economia, con l’occupazione da parte dei partiti dell’informazione, dell’industria, della finanza, dei servizi secondo addirittura un rigido manuale di spartizione delle posizioni di potere, il cd. Manuale Cencelli, aveva generato un primo prototipo di sistema della corruzione che porterà la Prima Repubblica alla sua fine. E’ in quel periodo che emergono lo scandalo petroli, l’affare Lockheed, il fallimento del Banco Ambrosiano, gli intrecci fa parte della DC e la mafia.
Consapevole del pericolo di un sorpasso da parte del PCI, la Democrazia Cristiana reagì con la legge sul finanziamento dei partiti e con l’elezione alla segreteria di Benigno Zaccagnini, considerato il volto onesto del partito. In cerca dei consensi perduti decise poi di giocarsi ancora una volta la carta dell’anticomunismo con l’appello al voto utile.
La strategia funzionò. Il voto utile, condensato nella metafora del voto turandosi il naso pronunciata da Indro Montanelli, arrestò la caduta di voti e riportò alle politiche 1976 la Democrazia Cristiana ai numeri del 1972. Crebbe anche il PCI, di un altro punto, ma il sorpasso tanto temuto fu scongiurato.
Ma le elezioni del 1976 non daranno vita ad un governo di coalizione. Il PSI, che aveva dichiarato morto il centrosinistra, subì una pesante sconfitta elettorale. Il PLI rischiò addirittura di sparire fermandosi ad un mortificante 1,3%; PRI e PSDI subirono altrettante perdite.
La strada per il compromesso storico sembrava spianata ma Moro, per scongiurare una nuova tornata elettorale in un clima di sfiducia e con una situazione economica compromessa, riuscì a convincere la Democrazia Cristiana a tentare un governo monocolore della non sfiducia guidato da Andreotti. Con l’eccezione del Movimento Sociale, tutti i partiti, PCI compreso, si astennero.
L’idea di Moro era che, al di là delle convergenze ideologiche o programmatiche, la grave situazione interna al Paese, con un quadro macroeconomico indebolito, le pressioni all’interno delle fabbriche, l’attacco al cuore dello Stato portato avanti dal terrorismo di sinistra, solo un accordo con il Partito Comunista, e quindi la sua presa sui sindacati, avrebbe potuto consentire di varare quelle riforme necessarie che lo stato emergenziale richiedeva. L’ingresso del PCI nell’area di governo poteva essere graduale, passando per la presidenza di una delle Camere e attraverso la concessione di posti apicali nella televisione di Stato.
Questo processo, che vedeva in Andreotti un esecutore non particolarmente convinto, venne interrotto il 16 marzo 1978. Quel Giorno Andreotti doveva presentare al Parlamento il suo IV governo con il voto favorevole, per la prima volta dal 1946, del Partito Comunista. Poco dopo le 9 del mattino un commando di brigatisti rossi aprì il fuoco uccidendo i cinque uomini della scorta di Aldo Moro e rapirono il presidente della Democrazia Cristiana.
Sull’onda dell’emozione il monocolore DC ottenne la fiducia di tutti i partiti ad eccezione di MSI, PLI Radicali e Democrazia Proletaria. Ma il compromesso storico, quando appariva realizzato, era nei fatti morto.