Il sistema politico che abbiamo descritto sin qui stava per implodere sotto i colpi delle inchieste giudiziarie, ma che fosse un sistema avviato comunque al termine della sua storia lo si poteva intuire dai problemi strutturali evidenziatisi in maniera prepotente per tutti gli anni 80, dai profondi stravolgimenti internazionali che portarono alla caduta repentina e per certi versi imprevedibile di uno dei due blocchi che avevano tenuto il Paese sul confine della guerra fredda.
Le elezioni del 1987 videro una tenuta della Democrazia Cristiana e una caduta del Partito comunista alla cui segreteria sedeva Alessandro Natta dopo la morte di Enrico Berlinguer.
Il PSI, pur rafforzato dopo gli…
Il sistema politico che abbiamo descritto sin qui stava per implodere sotto i colpi delle inchieste giudiziarie, ma che fosse un sistema avviato comunque al termine della sua storia lo si poteva intuire dai problemi strutturali evidenziatisi in maniera prepotente per tutti gli anni 80, dai profondi stravolgimenti internazionali che portarono alla caduta repentina e per certi versi imprevedibile di uno dei due blocchi che avevano tenuto il Paese sul confine della guerra fredda.
Le elezioni del 1987 videro una tenuta della Democrazia Cristiana e una caduta del Partito comunista alla cui segreteria sedeva Alessandro Natta dopo la morte di Enrico Berlinguer.
Il PSI, pur rafforzato dopo gli anni dei governi Craxi, non sfondava il muro del 15%, dimostrando che il sistema politico era sostanzialmente improntato a quello che Giovanni Sartori aveva definito bipolarismo imperfetto.
Un bipolarismo composito e irrisolto con da una parte partiti di area governativa più o meno automatica, e un’opposizione che mai sarebbe diventata governo.
Di questo bipolarismo restava protagonista la democrazia cristiana di Forlani e De Mita, all’interno della quale si svilupparono le condizioni interne per un vero e proprio stravolgimento.
Il sindaco DC di Palermo Leoluca Orlando nel 1989 fondò La Rete, un movimento politico che andava oltre la liturgia democristiana.
Mario Segni, figlio dell’ex presidente della Repubblica Antonio, intercettò i crescenti desideri di cambiamento dell’opinione pubblica e fondò il Movimento per la riforma elettorale. L’obiettivo era raccogliere le firme per un referendum che attraverso l’abrogazione di una serie di norme trasformasse la legge elettorale in senso maggioritario e uninominale.
Si votò per uno dei quesiti, quello sull’abrogazione della preferenza plurima, il 9 giugno 1991 e il risultato fu innanzitutto politico. Partecipò al voto il 60% degli aventi diritto e si espresse per il si il 95% dei votanti.
Craxi, che aveva invitato gli elettori all’astensione andando al mare, ne uscì fragorosamente sconfitto.
Il Paese con quel voto esprimeva tutta la sua indignazione per una classe politica autoreferenziale e consociativa e chiedeva un profondo rinnovamento per la guida del Paese.
Il terzo elemento di rottura fu la presidenza Cossiga. Dopo il crollo del muro di Berlino il presidente della repubblica, uomo di solida struttura partitica, iniziò a picconare le istituzioni del Paese che lui stesso aveva servito.
Il colpo di grazia per la classe politica, generosamente apparecchiato da tutti questi eventi, arrivò poco dopo, quando un pool di magistrati di Milano scoperchiò il sistema attraverso il quale la politica si finanziava.
Il 17 febbraio 1992 il presidente in quota socialista del Pio Albergo Trivulzio Mario Chiesa venne arrestato mentre riceveva dall’imprenditore Luca Magni 7 milioni di lire come tangente per assicurargli l’appalto per le pulizie della struttura sanitaria. Era stato lo stesso Magni a denunciare le pressioni di Chiesa e le richieste sempre più ingenti.
L’arresto di Mario Chiesa, etichettato sbrigativamente da Craxi come “mariuolo”, scoperchiò il vaso di pandora di una corruzione diffusa e sistematica del sistema politico. Non era la prima volta che si scoprivano fenomeni corruttivi e concussivi, l’ultimo dei quali era stato lo scandalo delle carceri d’oro nel 1988.
Mario Chiesa, esponente di spicco del PSI milanese, in un primo momento riluttante alla confessione, iniziò a rivelare la natura sistemica del meccanismo tangentizio tanto che al primo filone d’inchiesta milanese si affiancarono per tutto il 1992 altri filoni che portarono agli arresti di molti altri imprenditori collusi col sistema politico.
Craxi continuò a negare il coinvolgimento del partito e iniziò ad attaccare attraverso gli editoriali sull’Avanti il pool di Milano, in particolare il pubblico ministero Antonio Di Pietro.
Intanto poco dopo l’estate si ebbero le prime vittime. I politici Renato Amorese e Sergio Moroni e l’imprenditore Mario Majocchi si suicidarono dopo le confessioni. In particolare Moroni, molto vicino a Craxi, ammise la sistematicità della corruzione ai fini del finanziamento di tutti i partiti.
Mentre le inchieste aperte in tutt’Italia rivelavano la pervasività bulimica dei partiti, Moody’s declassava il debito italiano, cresciuto di oltre 30 punti nel decennio e l’OCSE emetteva un pesantissimo report nel quale indicava l’Italia come Paese a rischio default.
Disse Guido Carli nel 1991 “paghiamo anni di follia”;
Norberto Bobbio in un editoriale per la Stampa di Torino che poi si preferì non pubblicare perché considerato troppo pessimistico, scriveva “Se questa prima repubblica è alla fine, finisce male, malissimo. La gestazione della seconda repubblica, se nascerà, nascerà con gli stessi uomini che non solo sono falliti, ma sono anche inconsapevoli del loro fallimento e dunque non potrà che nascere male, malissimo, come male, malissimo è finita la prima”
Le elezioni politiche del 1992 si tennero in un clima di grande tensione con Craxi che tentò di spostare l’attenzione verso la magistratura che attaccava il potere politico per sostituirvisi e dall’altra parte l’opinione pubblica che accusava Craxi di voler mettere la giustizia sotto il controllo del potere politico.
Sulla carta la coalizione di governo aveva ancora la maggioranza, 53%, ma gli stravolgimenti erano talmente gravi che il progetto di Craxi di tornare a Palazzo Chigi e quello di Andreotti di andare al Quirinale crollarono. Il primo per via dello sgretolamento del CAF, il secondo travolto da sospetti di vicinanza al mondo mafioso siciliano a seguito dell’uccisione per mano di Cosa Nostra del suo signore delle tessere Salvo Lima.
Colpito da un primo avviso di garanzia Craxi dovette rinunciare alla presidenza del consiglio e l’incarico andò al suo vicesegretario Giuliano Amato, cui spettò il pesante compito di rimettere in sesto le casse dello Stato.
Nel solo primo anno di legislatura arrivarono 385 richiesta di autorizzazione a procedere alla Camera e 155 al Senato. Erano coinvolti e indagati politici di piccolo, medio e alto calibro e persino ministri. Non solo socialisti: democristiani, socialdemocratici, repubblicani, liberali; le inchieste colpirono anche l’opposizione comunista, sebbene con minore portata.
Fra le inchieste più importanti ci fu quella ricordata come maxitangente Enimont, un finanziamento illecito di 150 miliardi di lire che il gruppo Ferruzzi aveva elargito per facilitare la fusione fra l’azienda a controllo pubblico EniChem e la Montedison.
Furono condannati per quella tangente praticamente tutti i principali esponenti dei partiti della Prima Repubblica e anche qualcuno della cosiddetta seconda come ad esempio Umberto Bossi della Lega Nord.
Il Governo Amato tentò di porre un freno alla valanga giudiziaria approvando il decreto Conso, con il quale il finanziamento illecito veniva tramutato da reato penale in reato amministrativo. L’opinione pubblica, ormai schierata apertamente con i magistrati di Milano, definiti in certi casi eroi, indusse il presidente della Repubblica Scalfaro a non firmare i decreti attuativi.
Travolto dalle inchieste e dagli scandali il governo Amato ricevette il colpo di grazia dal secondo referendum elettorale promosso da Mario Segni.
Il 17 e il 18 aprile 1993 l’80% degli italiani andò a votare per l’abrogazione della quota proporzionale al Senato.
Quanto a Craxi, duramente contestato il 30 aprile del 1993 con un lancio di monetine all’uscita dall’hotel Raphael e condannato a 3 anni, il 21 luglio 1995 fu dichiarato latitante per essersi sottratto alla giustizia e aver riparato ad Hammamet in Tunisia.
Come aveva scritto Bobbio la prima repubblica era finita male, malissimo. Iniziava la seconda, sotto cattivi auspici.