Questa storia non inizia il 26 gennaio 1994, il giorno in cui Silvio Berlusconi annunciò sulle tv nazionali la sua discesa in campo. Ci arriveremo. Inizia 10 anni prima, nell’ottobre del 1984.
Tra il 13 e il 16 ottobre i pretori di Roma Torino e Pescara ordinarono la sospensione dell’interconnessione di antenne che Fininvest, il gruppo editoriale e televisivo di Silvio Berlusconi, aveva organizzato per aggirare il dispositivo dell’art.195 DPR 156 del 1973. L’articolo così recita:
- Chiunque installa od esercita un impianto di telecomunicazione senza aver ottenuto la relativa concessione o autorizzazione è punito, se il fatto non costituisce reato, con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire 500.000 a lire 20.000.000.
- Se il fatto riguarda impianti radioelettrici, si applica la pena dell'arresto da tre a sei mesi.
- Se il fatto riguarda impianti di radiodiffusione sonora o televisiva, si applica la pena della reclusione da uno a tre anni. La pena è ridotta alla metà se trattasi di impianti per la radiodiffusione sonora o televisiva in ambito locale.
- Chiunque realizza trasmissioni, anche simultanee o parallele, contravvenendo ai limiti territoriali o temporali previsti dalla concessione, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
Non potendo per legge trasmettere su tutto il territorio nazionale, Berlusconi, proprietario di Canale 5, Italia 1 e Rete 4 si era inventato questo sistema: le produzioni televisive venivano registrate su videocassette che poi venivano distribuite ad emittenti locali che le mandavano in onda contemporaneamente eludendo il divieto di trasmissione interregionale.
Berlusconi era un imprenditore brillante, sicuramente scaltro e ben dentro le dinamiche politiche. Viveva e aveva fatto fortuna nella Milano vivace e brillante degli anni 70 e 80; la Milano da bere, la locomotiva d’Italia, la Milano delle audaci imprese immobiliari e del dorato mondo della moda. Un simbolo per tanti ma soprattutto per Craxi che sull’Italia potenza mondiale aveva creato parte della sua narrazione e a Milano aveva piazzato suoi luogotenenti a cominciare dal cognato Pillitteri. Craxi era stato padrino di battesimo di Barbara Berlusconi, terza figlia del cavaliere, e nel 1990 proprio insieme a Pillitteri sarà testimone alle nozze di Silvio con Veronica Lario..
Quando i pretori staccarono le antenne con le quali Fininvest trasmetteva, il governo Craxi emanò un primo decreto, il 694 del 20 ottobre 1984, con il quale si consentiva a tutti le emittenti private di trasmettere su tutto il territorio nazionale; quel decreto non fu convertito e allora due mesi dopo il governo ne preparò un secondo e poi ancora un terzo, sui quali mise la questione di fiducia. Quei decreti erano evidentemente decreti ad personam. Nel gergo giornalistico verranno ricordati come Decreti Berlusconi.
La valanga che aveva travolto i partiti della prima repubblica, l’abbiamo raccontata nella puntata numero 15 di questa serie, e che aveva indotto Craxi e quasi tutto il gruppo dirigente di PSI e Democrazia Cristiana a ritirarsi dalla vita politica, aveva lasciato il campo proprio a quelle formazioni politiche che nel 1984 e negli anni a seguire avevano fatto ostruzionismo ai decreti Berlusconi.
In altre parole il cavaliere del lavoro Silvio Berlusconi si trovava di colpo senza avere protezione e sponde politiche, in un Paese che tradizionalmente aveva vissuto la continua commistione fra affari e potere.
Nell’estate del 1993 Berlusconi, circondatosi di consiglieri, molti dei quali venivano dai partiti di governo, e sondaggisti della società Diakron, progettò la nascita di un proprio partito. Il voto per le politiche era previsto per la primavera successiva: un tempo minimo per realizzare una macchina partitica in grado di competere. Ma aveva anche due vantaggi: si rivolgeva ad un elettorato che era rimasto improvvisamente orfano di punti di riferimento politico; aveva dalla propria parte l’enorme potenza mediatica garantita dalle sue televisioni e dai personaggi televisivi più popolari.
IL 23 novembre 1993, in occasione dell’inaugurazione di un centro commerciale a Bologna, annunciò il proprio ingresso in politica. Nello stesso giorno dichiarò il sostegno a Gianfranco Fini per la corsa al campidoglio, gettando quindi le basi delle future alleanze elettorali.
Veniamo ora finalmente a quel 26 gennaio 1994. Alle 17.30 le tv iniziarono a trasmettere l’annuncio. Leggiamone alcuni passi.
L'Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare. Per poter compiere questa nuova scelta di vita, ho rassegnato oggi stesso le mie dimissioni da ogni carica sociale nel gruppo che ho fondato.
Rinuncio dunque al mio ruolo di editore e di imprenditore per mettere la mia esperienza e tutto il mio impegno a disposizione di una battaglia in cui credo con assoluta convinzione e con la più grande fermezza. So quel che non voglio e, insieme con i molti italiani che mi hanno dato la loro fiducia in tutti questi anni, so anche quel che voglio. E ho anche la ragionevole speranza di riuscire a realizzarlo, in sincera e leale alleanza con tutte le forze liberali e democratiche che sentono il dovere civile di offrire al Paese una alternativa credibile al governo delle sinistre e dei comunisti.
Era un Berlusconi inquadrato nel suo studio, con alle spalle una libreria e le foto dei suoi tre figli Marina Piersilvio e Barbara. Fu un discorso patriottico ma non eccessivamente retorico, che sottolineava i suoi successi di imprenditore e metteva in guardia, disse Berlusconi, da uomini politici del passato che avevano una visione del mondo retrograda e illiberale. Berlusconi immaginava un’Italia del fare, del lavoro e delle libertà. Un’italia propositiva che mirava ad un nuovo miracolo, impossibile da realizzare se non con la buona volontà, con la competenza e con l’esperienza di chi già l’aveva realizzato nel privato.
Naturalmente le cose non stavano esattamente così. Berlusconi aveva sì creato un impero economico, ma alcune delle sue aziende, in particolare Fininvest ed Edilnord. Erano fortemente appesantite dai debiti tanto che si mormorava di possibile fallimento.
Ma un partito politico non ha bisogno solo di un leader carismatico che trasmette i propri valori e i propri successi, ha bisogno anche di radicamento territoriale e di programmi.
L’assenza di radicamento territoriale e di personale politico fu superata attivando la rete di agenti finanziari di Programma Italia. In tutt’Italia, in quasi tutti i comuni aprirono club di Forza Italia, organizzati secondo un ben preciso modello elaborato da uno dei bracci destro di Berlusconi, Galliani, e animato da attivisti politici nuovi e provenienti dai vecchi partiti. Alla vigilia delle elezioni i club contavano già più di 1 milione di iscritti. Ai volontari che volevano aprire un club bastava trovare 10 iscritti e avrebbero ricevuto il kit del perfetto forzista: cravatta, bandiera, distintivo e manuale operativo.
Il programma fu assegnato a 3 liberali doc: Antonio Martino, Antonio Marzano e Giuliano Urbani, che lo illustravano punto per punto attraverso appuntamenti televisivi quotidiani. Era un programma di rottura, che mirava alla riduzione della spesa pubblica, sull’ammodernamento della burocrazia e su un poderoso taglio delle tasse. Niente di tutto questo verrà mai realizzato ma allora pochi o nessuno se ne rendeva conto.
Veniva affrontato anche il tema della giustizia e su questo punto il programma era netto, chiarissimo: la magistratura aveva fatto pesanti ingerenza sulla politica esondando dal suo ruolo e aveva spesso attuato una vera e propria persecuzione nei confronti di una parte politica.
Nelle maglie dell’inchiesta Tangentopoli era finito anche il fratello minore di Silvio Berlusconi, Paolo. L’11 febbraio, quindi solo pochi giorni dopo la discesa in campo di Silvio, fu arrestato con l’accusa di aver pagato tangenti per la vendita alla fondazione Cariplo di 3 palazzi a Milano 3.
Il fatto, insieme alle perquisizioni degli uffici fininvest disposti dalla procura di Milano alla ricerca di fondi neri, diedero l’occasione a Berlusconi di rafforzare presso l’opinione pubblica la sua tesi di una persecuzione da parte della magistratura ai danni di una ben precisa parte politica.
Le elezioni si tennero il 27 e 28 marzo con un sistema misto maggioritario e proporzionale.
Per la parte proporzionale Forza Italia risultò il primo partito con il 21% dei voti, seguito di poco dal PDS con 20,4%.
Per la parte maggioritaria Berlusconi non riuscì a mettere insieme un’unica coalizione, ma, come abbiamo visto nella puntata numero 16, fece il polo delle libertà al Nord con la Lega e il polo del buon governo al centro e al sud con Alleanza Nazionale.
Per il complesso sistema di calcolo dei seggi previsto dalla Legge Mattarella i poli disponevano di un’ampia maggioranza alla Camera, 366 seggi contro 213, e di una maggioranza più risicata al senato, 156 contro 122.
Il miracolo della vittoria elettorale in così poco tempo, l’unico realizzato, era compiuto. Si formò un governo composto da Forza Italia, Lega, Alleanza Nazionale e una parte della diaspora democrsitiana, il Centro Cristiano Democratico di Ferdinando Casini e Clemente Mastella. Entrò nel governo anche Giulio Tremonti che era stato candidato per il Patto Segni ed era stato eletto alla Camera tramite il meccanismo proporzionale.
Quello fu il primo di 4 governi guidati da Silvio Berlusconi e come abbiamo già visto cadde per la sfiducia della Lega di Umberto Bossi sulla riforma delle pensioni. Ma nei poco più di 6 mesi di durata quella sulle pensioni non fu l’unica polemica. Il ministro della giustizia, il liberale Alfredo Biondi, nel mese di luglio, 2 mesi dopo il giuramento del governo, presentò e fece approvare in consiglio dei ministri il decreto legge n. 440 del 14 luglio 1994. Il decreto segretava l’avviso di garanzia, sostituiva in molti casi la custodia in carcere con gli arresti domiciliari per reati connessi a corruzione, peculato, concussione, finanziamento illecito, truffa ai danni dello Stato e altri reati minori. Qualcuno suggerì, si dice il ministro della sanità Raffaele Costa, a Biondi, “meglio un disegno di Legge che se con questo decreto esce Di Lorenzo scoppia un casino”. Renato Di Lorenzo era stato ministro della sanità negli anni precedenti ed era stato arrestato il 12 maggio 1994 per aver incassato tangenti dalle cause farmaceutiche.
Ad ogni modo il decreto fu approvato dal consiglio dei ministri e firmato dal presidente della repubblica. Pochi giorni dopo i magistrati del pool mani pulite, gli eroi di Tangentopoli, Antonio Di Pietro Piercamillo Davigo Francesco Greco e Gherardo Colombo si dicevano sconcertati per il contenuto del decreto e rassegnavano le dimissioni. Per la stampa il decreto 440 del 14 luglio 1994 diventò il decreto salvaladri.
Nell’aprile 1996 si tornò alle urne e il risultato delle politiche del 1994 si ribaltò. Primo partito era ora il PDS, secondo Forza Italia. Se in quelle del 94 il polo della libertà aveva ottenuto una maggioranza ampia alla camera e strettissima al senato, in quelle del 96 il vantaggio del centro sinistra era netto al Senato e assente alla camera dove riuscì a passare solo con l’appoggio di Rifondazione Comunista.
La sconfitta indusse Berlusconi a riformare il partito e a chiamare un primo, illusorio, congresso. Nel 1998 Berlusconi fu acclamato presidente rendendo plastica l’idea del partito personale, oltre che personalistico, irrimediabilmente fuso con la figura del suo leader.
Nel 2001 Berlusconi e Bossi si riappacificarono (abbiamo già raccontato anche questa circostanza) e le elezioni diedero alla Casa delle Libertà, non più polo, una solida maggioranza. Forza Italia era intanto tornato primo partito con un brillante 29,4%.
Negli anni successivi si rivelò solida l’alleanza con Bossi mentre Berlusconi ruppe anche in modo traumatico, con i suoi alleati moderati Casini e Fini.
Il declino iniziò con la crisi dei debiti sovrani che scoprì un quarto governo Berlusconi incapace di fronteggiare la crisi di fiducia verso il Paese. Berlusconi continuò a condizionare la vita politica italiana, quasi a caratterizzarla, fra scandali, gaffes e solite promesse di miracoli.
La rivoluzione liberale con la quale si era presentato agli elettori nel 1994 non fu neanche mai più nominata. Restarono gli slogan contro i comunisti e contro la magistratura.
Il primo agosto 2013 fu condannato in via definitiva dalla Cassazione per frode fiscale e falso in bilancio (due dei reati sui quali sarebbe intervenuto il decreto Biondi del 1994) perdendo la carica di senatore e subendo l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Fu affidato ai servizi sociali.
Alle elezioni del 2022 fu eletto senatore con il 50% delle preferenze nel collegio 6 in Lombardia.
Morì il 12 giugno 2023 per le complicazioni di una leucemia mielomonocitica cronica.
Berlusconi è stato Forza Italia per 30 anni, ne ha incarnato lo spirito, le contraddizioni, le promesse e le delusioni.
Oggi il partito è guidato da Antonio Tajani.