Per un cinquantennio la Democrazia Cristiana è stata il perno della politica italiana. In quello che Sartori definì bipartitismo imperfetto, il partito che fu di De Gasperi e che aveva raccolto tante anime unite da due fondamentali obiettivi, tenere il Paese ancorato al blocco occidentale e raccogliere e unire un popolo facendo leva sulla cultura cattolica, la Democrazia Cristiana era la certezza, l’ancora senza la quale l’Italia si sarebbe potuta trovare, per ragioni storiche geografiche e culturali, al centro della Guerra Fredda.
Autentico partito catch all, la DC rappresentava ora la borghesia desiderosa di affermazione economica, ora i ceti popolari, la grande industria che doveva…
Per un cinquantennio la Democrazia Cristiana è stata il perno della politica italiana. In quello che Sartori definì bipartitismo imperfetto, il partito che fu di De Gasperi e che aveva raccolto tante anime unite da due fondamentali obiettivi, tenere il Paese ancorato al blocco occidentale e raccogliere e unire un popolo facendo leva sulla cultura cattolica, la Democrazia Cristiana era la certezza, l’ancora senza la quale l’Italia si sarebbe potuta trovare, per ragioni storiche geografiche e culturali, al centro della Guerra Fredda.
Autentico partito catch all, la DC rappresentava ora la borghesia desiderosa di affermazione economica, ora i ceti popolari, la grande industria che doveva modernizzare il Paese, le classi lavoratrici e artigiane; doveva essere abbastanza atlantista senza però lasciare terreno alle sinistre, abbastanza di sinistra senza però alimentare spinte reazionarie, e infine popolare senza generare sospetto nel mondo dell’impresa. Questa tricotomia si rifletteva nelle correnti che la percorrevano e che ne condizionavano l’agire politico. Durante il nostro racconto l’abbiamo vista avvicinarsi alla destra missina, come per i referendum su divorzio e aborto, e lavorare ad una strategia di compromesso storico con il Partito Comunista.
Ma la DC era anche altro; forse lo sarebbe stata comunque o forse lo diventò per via di circostanze.
Quale centro del potere politico e perno della vita democratica fu oggetto ma anche soggetto di scandali, di storie misteriose e di rapporti inquietanti. In alcune aree del Paese tollerò, o forse fiancheggiò, la criminalità organizzata che controllava pacchetti di voti; l’apposizione del segreto di Stato su alcuni dei fatti più misteriosi della storia italiana creò il mito dei poteri occulti e del partito padrone dell’Italia anche in un contesto democratico. Uno di questi segreti, probabilmente il più oscuro e misterioso, travolse nel 1981 il governo Forlani. Durante una perquisizione della Guardia di Finanza ordinata dai pubblici ministeri Gherardo Colombo e e Giuliano Turone nella sede della Giole di Castiglion Fibocchi, i militari scoprirono quasi per caso una lista conservata nella cassaforte di Licio Gelli di circa 1000 nomi di affiliati alla Loggia Massonica P2. In quella lista c’erano imprenditori, giornalisti, militari, agenti dei servizi segreti e, naturalmente, politici.
Si scoprì che nei programmi del Gran Maestro della Loggia c’era un piano per prendere il controllo del Paese, di occupare la stampa e le televisioni, di mettere al servizio dello stesso disegno eversivo l’esercito le forze di polizia e i servizi di intelligence. Erano quelli anni di grandi tensioni. Come abbiamo visto il periodo fra gli anni 70 e gli anni 80 era stato caratterizzato dal fiorire di formazioni terroristiche di estrema sinistra e di estrema destra; era il periodo dei rapimenti, delle prigioni del popolo, delle gambizzazioni e delle esecuzioni, ma anche il periodo delle stragi; sulle quali le verità processuali certificheranno la matrice di destra e il coinvolgimento dei servizi deviati.
Incalzato dallo scandalo Forlani si rifiutò di rendere pubblica la lista e fu costretto alle dimissioni. IL 28 Giugno 1981 Giovanni Spadolini sarà il primo Presidente del Consiglio non appartenente alla Democrazia Cristiana a ricevere l’incarico dal presidente della repubblica.
La Democrazia Cristiana perdeva per la prima volta centralità e diventava potenzialmente sostituibile e Craxi (alleato e allo stesso tempo avversario) si candidava a prenderne il posto.
Le elezioni del 1983 e del 1987 risultarono illusoriamente tranquillizzanti per la DC e forse questa illusione contribuì a nascondere la tempesta che stava per avvicinarsi. La crescita economica, alimentata da una spesa pubblica che aveva perso tutti i freni e che non era sostenibile nel medio periodo si era arrestata già nel 1986. La variazione anno su anno del rapporto fra debito pubblico e Pil continuò su numeri prossimi o superiori al 20% e il processo di integrazione europea che si avviava verso il Trattato di Maastricht era incompatibile con la finanza allegra di quegli anni.
La fine del blocco sovietico fece mancare la minaccia storica che aveva giustificato la centralità democristiana per mezzo secolo e i fenomeni corruttivi, che a fasi alterne avevano rivelato l’indizio di un sistema sostanzialmente malato stavano per irrompere sulla scena politica.
Dell’inizio di Tangentopoli abbiamo già parlato nella puntata dedicata al PSI di Craxi. La valanga delle inchieste del pool di Milano prima e delle procure di tutt’Italia poi colpì ben presto anche la Democrazia Cristiana. Alle elezioni del 1992 la DC perse oltre 4 punti passando dal 34,3% al 29,7% e, dopo la breve esperienza del governo Amato, l’incarico per il governo fu affidato per la prima volta ad un tecnico, Carlo Azeglio Ciampi, già governatore della Banca d’Italia, certificando la fine della lunga stagione della cosiddetta prima repubblica.
Le inchieste giudiziarie, da Milano a Palermo, non risparmiarono nessuno. Da Forlani, condannato a 2 anni per la tangente Enimont, ad Andreotti, coinvolto addirittura per concorso in associazione mafiosa e per l’assassinio del giornalista Mino Pecorelli; Andreotti non fu condannato per i reati per i quali era stato processato, perché il reato di associazione per i fatti commessi fino al 1980 risultò, secondo i giudici di terzo grado, prescritto, e dopo quella data (scrissero i giudici nelle motivazioni della sentenza) Giulio Andreotti ruppe il sodalizio mafioso che pure c’era stato.
Il tesoriere della Democrazia Cristiana, Severino Citaristi, si vide notificare oltre 70 avvisi di garanzia e fu condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione.
Mentre le inchieste della magistratura spazzavano via un’intera classe politica che era stata artefice si della tenuta della democrazia ma aveva anche avuto un costo che l’economista Mario Deaglio quantificò in 10.000 miliardi di lire annui, si affacciavano nel panorama politico nuovi attori.
Ma la DC non era fatta solo dei big che uno ad uno stavano cadendo; era fatta anche di esponenti di secondo piano, di quadri intermedi, di amministratori locali. Una classe dirigenziale che non aveva intenzione di farsi da parte e abbandonare la scena politica.
Durante questa fase la guida fu affidata a Mino Martinazzoli, che convocò per l’estate del 1993 una costituente democristiana che avrebbe dovuto riformare il partito e rilanciarne l’azione. Emersero ancora una volta le correnti interne, quella di sinistra rappresentata da Rosy Bindi, allieva di Vittorio Bachelet, che ottenne che i maggiorenti invischiati nelle inchieste ( Andreotti, Gava, Cirino Pomicino per citare i più noti) non partecipassero ai lavori costituenti; quella di destra, in qualche modo composta dai delfini della vecchia nomenklatura (Casini, Mastella, Fontana).
Il congresso abbandonò il nome storico di Democrazia Cristiana per resuscitare quello di Partito Popolare tentando, con l’obiettivo di risollevare le sorti già segnate di un partito morente.
Coloro che avevano picconato dall’interno la DC, Leoluca Orlando con la Rete, e Mario Segni con Il Patto, non si fecero tentare dalla nuova avventura.
Ne uscirono dunque 4 formazioni politiche: Il PPI di Martinazzoli, La Rete di Orlando, Mario Segni e la sua iniziativa post-referendaria e il Centro Cristiano Democratico di Casini e Mastella. Quanto al simbolo, lo storico scudo scrociato, fu oggetto di una aspra battaglia giudiziaria negli anni a venire.
Alle elezioni politiche del 1994, quelle della discesa in capo di Berlusconi, il Partito Popolare prese l’11,1%, il Patto Segni il 4,7%, La rete appena l’1,9%. Il Centro Cristiano Democratico fece una scelta diversa, quello di schierarsi per la parte maggioritaria all’interno del Polo delle Libertà e del Polo del Buon Governo.
Le successive elezioni del 1996 confermarono sostanzialmente questi risultati sancendo la fine della Democrazia Cristiana e con essa la fine della Prima Repubblica.