OltreFrequenze | 20Hz

OltreFrequenzeMusica

di Giacomo Solari,

Che poi può essere anche solo una questione di sensazioni. Di momenti e transizioni. A sto giro chi sorprendentemente non mi ha colpito sono Sudan Archives e Militarie Gun. Allo stesso tempo, il nuovo disco di Rafael Toral sembra ricucire sull’imperturbabile solco di Spectral Evolution; pace. Il resto è qua, come sempre.

disco

ICONOCLASTS

di Anna von Hausswolff
Uscita: 31/10/2025 | Genere: Experimental / Noise / Folk

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Con ICONOCLASTS Anna von Hausswolff ritorna con un lavoro che amplia il suo territorio musicale trasformando la sua ormai abituale orgia sonora in una forma più narrativa, più “album” e meno raccolta di momenti epici. Qui la voce, l’organo a canne, che da sempre caratterizza il suo suono, e un ensemble orchestrale trovano nuovo respiro, nuovi colori, nuova ambizione.

L’album giunge dopo cinque anni dal suo ultimo full-length di canzoni proper e segna l’ingresso di collaborazioni importanti (tra cui Iggy Pop per un duetto onirico e commovente ed Ethel Cain) e afferma una desiderata trasformazione: l’“iconoclastia” del titolo non è solo rottura estetica, ma rottura interiore, nonché distruzione di antichi simboli, ricostruzione di uno spazio di libertà.Von Hausswolff costruisce il disco come un ciclo di apparizioni, in cui ogni brano è una diversa incarnazione del suono, ora possente e mistico, ora fragile, quasi trasparente. Le strutture ricordano il minimalismo di Terry Riley e la densità emotiva di Scott Walker, ma la scrittura resta personale, radicata in un linguaggio visionario che non cerca conforto.

La parte centrale del lavoro è quella più fisica: riff d’organo che si frantumano in un riverbero continuo, sezioni corali che si aprono su un vuoto drammatico, pulsazioni che sembrano provenire da un corpo vivo. 

Dal punto di vista formale, ICONOCLASTS si colloca in quella zona liminale tra musica sacra, dark ambient e rock rituale. È un lavoro che rifiuta la logica della canzone, preferendo lo sviluppo per accumulo e intensità. Le melodie si dissolvono nei droni, le parole diventano canto puro, le strutture si piegano su se stesse come archi di pietra che si incrinano sotto il peso del tempo. 

Anna von Hausswolff continua così a costruire un proprio linguaggio spirituale, fatto di ossessioni e chiaroscuri. Il tema del passare del tempo, dell’invecchiare giovani, della forza trasformativa delle relazioni, della distruzione delle immagini che costruiamo; tutto questo attraversa ICONOCLASTS dandogli una densità emotiva e intellettuale che va oltre la mera estetica. In sintesi, è un’opera che afferma Anna von Hausswolff come artista che non si limita a restare nella propria nicchia, ma che ridefinisce i confini stessi del suo linguaggio.


disco

In the Earth Again

di Chat Pile, Hayden Pedigo
Uscita: 31/10/2025 | Genere: Post-Hardcore / Folk

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In the Earth Again è un incontro che sorprende e funziona. Da una parte i demolitivi riff sludge/noise rock di Chat Pile, dall’altra la sensibilità acustica e sperimentale del chitarrista fingerstyle Hayden Pedigo, il cui bellissimo I’ll Be Waving As You Drive Away era già stato consigliato qualche numero fa di OltreFrequenze. Il risultato è un ibrido che non assomiglia propriamente a nessuno dei due nella loro forma pura, ma che trova una terza via, una zona ibrida in cui restare.
L’album non è veloce né ostentato nella sua sperimentazione; al contrario, si prende il tempo: l’apertura con Outside è quasi un incipit meditativo, che poi scivola nella tensione di Demon Time e, successivamente, esplode in Never Say Die! con potenza cruda e riff monumentali. Da lì alterna brani strumentali (Pedigo più presente) e altri in cui la monumentale voce di Raygun Busch (dei Chat Pile) è padrona.
Il risultato stilistico è affascinante. Il rumore funge da substrato; la chitarra acustica da linea guida che rompe il muro. Il contrasto diventa forza compositiva. Le atmosfere richiamano metallo industriale, noise rock, ma anche folk americano e introspezione post-disaster. In tracce come The Magic of the WorldA Tear for Lucas emerge un lato quasi cantautorale, intimamente doloroso, che poco avevamo visto nei lavori precedenti di Chat Pile.
La produzione lascia respirare i silenzi e sovraccarica i momenti di impatto. Gli strumenti non vengono semplicemente sovrapposti, ma integrati; pedal steel, lap steel, chitarra acustica, bassi detunati, batteria che muta da sparata a spina sonora. 
In definitiva, In the Earth Again si conferma tra le collaborazioni più stimolanti dell’anno. Due universi musicali apparentemente lontani che invece trovano affinità, equilibrio, tensione. Un lavoro capace di generare inquietudine, ma anche bellezza nella rottura.


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hooke’s law

di keiyaA
Uscita: 31/10/2025 | Genere: R&B / Electronic

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In hooke’s law, keiyaA ci porta dritti dritti un R&B sghembo, nervoso, pieno di glitch e corpo, in cui la voce diventa non solo mezzo di espressione ma spazio di tensione. Il titolo richiama la legge di Hooke, la quale descrive come una forza elastica reagisce a una deformazione. In questa metafora sta l’essenza del disco, nonché un viaggio di resistenza, dove l’anima si piega ma non si spezza, e la vulnerabilità diventa un principio fisico, inevitabile.

Il disco si muove su un asse che va dal soul alla sperimentazione elettronica, ma senza mai scivolare nella sterilità dell’avanguardia fine a sé stessa. Le produzioni, curate in parte dalla stessa keiyaA, sono materiche, dense di texture, a volte volutamente imperfette. Le drum machine pulsano come battiti accelerati, i synth respirano, i campionamenti si deformano fino a diventare materia viva. In tutto ciò la voce rimane il fulcro, ma non nel senso tradizionale del canto. Un suono che si frantuma, che diventa eco, che si distorce, che sussurra più di quanto dichiari.

C’è una componente autobiografica fortissima: keiyaA mette al centro la propria esperienza di donna nera nell’industria musicale e nella vita quotidiana, scavando tra pressione estetica, rabbia e liberazione. Brani come Take ItStupid Prizes sono dichiarazioni di autonomia, ma anche momenti di profonda fatica emotiva; altrove, in “Motions”, la voce si apre a una sensualità ipnotica e contraddittoria, quasi un invito alla tregua nel caos.

La cosa più affascinante di hooke’s law è come riesca a unire estremi apparentemente inconciliabili: è un disco intellettuale e viscerale, rigoroso ma vulnerabile, pieno di vita anche quando parla di esaurimento. Nelle sue migliori intuizioni sembra avvicinarsi al lavoro di artiste come Kelela o FKA twigs, ma con una sensibilità più terrena, meno patinata, più radicata nell’urgenza del gesto. È un album che si piega sotto il peso delle proprie emozioni ma continua a vibrare, come una molla che, anche deformata, conserva la sua forza.


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Mercy

di Armand Hammer, billy woods, E L U C I D, The Alchemist
Uscita: 07/11/2025 | Genere: Hip-Hop

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Semplicemente il nuovo disco del progetto più interessante della scena hip-hop globale, Armand Hammer, il duo formato da billy woods ed E L U C I D, trova in The Alchemist un interlocutore ideale: un produttore capace di muoversi tra la rarefazione e la tensione, lasciando che le parole respirino, si avvitino, si feriscano a vicenda.

Il suono dell’album è volutamente sbilanciato, privo di centro. The Alchemist costruisce scenari di pianoforti ovattati, cori spettrali e batterie che sembrano sbriciolarsi, mentre i due rapper declinano la loro poetica fatta di immagini dense, allusioni e improvvisi lampi di ironia. Woods è più narrativo, più rabbioso, E L U C I D più astratto e viscerale, e il loro dialogo è la linfa del disco. Ogni verso sembra parte di un mosaico più grande, un discorso sulla sopravvivenza dentro un sistema che divora.

Mercy si muove come un sogno disturbato dove ogni brano è un piccolo mondo autosufficiente, ma collegato da un’atmosfera comune, da una stanchezza antica e da una lucidità quasi mistica. Ci sono momenti in cui la musica sfiora il silenzio, lasciando solo la voce, altre in cui la produzione si addensa in un suono quasi industriale. 

Il lavoro di The Alchemist qui è magistrale nella sottrazione. Non si tratta di beat classici, ma di microambienti; loop di fiati distorti, frammenti di chitarra, riverberi che diventano spazio. È una produzione che accompagna senza spiegare, che lascia vuoti e sospensioni in cui la parola acquista peso. Woods ed E L U C I D non offrono slogan, ma stratificazioni di senso. L’America vista come un relitto, l’identità come una costruzione precaria, la spiritualità come un’arma spuntata.

Nel complesso, Mercy suona come il culmine di una ricerca lunga: meno esplosivo di Haram, più cupo di We Buy Diabetic Test Strips, ma anche più lucido, più distillato, più adulto. È un album che non si limita a parlare del mondo: lo osserva mentre si disfa, e ne registra i suoni, con la consapevolezza di chi sa che la misericordia, ammesso che esista, è sempre temporanea.


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LUX

di ROSALIA
Uscita: 07/11/2025 | Genere: Alt-Pop

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Con LUX, Rosalía non si limita a rinnovare la sua estetica pop. Per chi, come me, la segue dai tempi di Los Angeles, questa sua ennesima digressione sperimentale è l’ennesima dimostrazione di come l’originaria catalana non sia in grado di prendere così a scatola chiusa un genere e lasciarlo invariato. Dall’Hyperpop misto flamenco di El Mal Querer alla forma più strutturata e ricercata di latin dance e reggaeton mai sentita prima in MOTOMAMI. E signori, se da sempre viene incensata da Björk e Patti Smith, ci sarà un motivo. Questo album arriva come un’architettura sonora ambiziosa, strutturata in quattro movimenti, cantata in tredici lingue, che fa del pop una specie di rito emotivo, spirituale e visivo.

L’apertura dà subito il tono; siamo in un paesaggio in cui l’orchestrazione, i cori e i beat elettronici convivono in tensione. I riferimenti sono molteplici, dalla liturgia alla diva pop, dal flamenco alle avanguardie soniche, ma l’impressione è che Rosalía voglia spostare il centro del suo suono verso qualcosa di “alto” senza perdere l’urgenza emotiva.

Sono particolarmente efficaci le tracce che si prendono tempo, la mia preferita Reliquia, momenti in cui la melodia si allunga, la voce si espande su spazi orchestrali, ma resta sempre connessa a una fisicità, a uno sguardo sulla carne e non solo sull’idea di sacrificio o trascendenza. Le parti più intime, le languide pause, i silenzi orchestrali creano un contrasto potente con le esplosioni di densità sonora, ed è in questo contrasto che si misura la forza dell’album.

Dal punto di vista tecnico e stilistico, LUX resta pop, ma è un pop che presuppone ascolto e partecipazione. A mio avviso c’è uno leggero sbilanciamento tra le tracce prima e dopo Berghain, tra un’apertura magistrale e una leggera percezione di brodo allungato, prima di riprendersi nelle due ultime MemòriaMagnolias. È un salto rispetto ai lavori precedenti della cantante in termini di espansività, complessità, misura, di operistica anti-disco. Per chi ama appunto Kate Bush, Björk, Camaron De La Isla e SOPHIE, questo è il vostro pane. Andate in pace. 


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Songs for Nothing

di Olan Monk
Uscita: 07/11/2025 | Genere: Post-Punk / Noise / Electronic

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Songs for Nothing segna una svolta nel percorso di Olan Monk: abbandonate per un momento alcune delle ossessioni elettroniche del passato, l’artista torna alle proprie radici nella costa ovest dell’Irlanda, nella regione di Connemara, e da questo ritorno trae materia sonora che è al tempo stesso tributo e mutazione. Il disco appare come un tuffo emotivo in paesaggi, lingue e memorie, dove il canto sean-nós, la lingua irlandese, la tradizione folk si intrecciano con chitarre distorte, riverberi elettronici e una tensione rock-sperimentale.

Le canzoni alternano momenti di intimità dolente (voce nuda, chitarra acustica, pause) a esplosioni sonore in cui shoegaze, gothic rock e noise si fanno sentire. Il risultato è un album che sembra “mettere a nudo” il paesaggio e la lingua, trasformandoli in materia attiva. Il tema del titolo, di offrire “canzoni per nulla”, suggerisce un abbandono volontario, un donarsi senza aspettativa, e questa scelta si riflette nel suono: nessun rifugio in versi celebri, nessuna costruzione pop-standard, ma un’espressione libera e radicata.

Brani come Down 3 (a mio avviso miglior singolo del disco, con Maria Somerville) mostrano come Monk riesca a prendere la tradizione irlandese e piegarla con sensibilità contemporanea: la voce si fa strumento di meditazione, le chitarre ruggiscono nei riverberi, l’ambiente registra riverbero e silenzio. La produzione lascia respirare gli spazi, non nasconde le imperfezioni (i rumori delle alte onde, la salsedine immaginata, la ruvidezza della roccia) e anzi le valorizza come parti del racconto. C’è nelle canzoni una malinconia antica, ma anche un’urgenza contemporanea. I riferimenti al canto in lingua irlandese, alle radici di Connemara, non sono nostalgia sterile: sono materia che Olan Monk modella, deforma, rielabora in modo personale. La densità sonora dello shoegaze, la tensione del gothic rock, la purezza del folk tradizionale convivono e producono un clima che è insieme “rural” e “ruvido”.

Da un punto di vista stilistico, Songs for Nothing può ricordare le escursioni di artisti che combinano tradizione e sperimentazione (pensiamo a Seán O’Riada che incontra i My Bloody Valentine) ma il risultato non è un collage freddo. In un panorama in cui molte uscite puntano all’impatto immediato, questo album privilegia lo spazio, la densità, l’ascolto che chiede e restituisce. Il risultato è un’opera coerente nella sua implosione, non cercando grandi ritornelli, ma respiri profondi, tensioni sottili, direzioni che si aprono e non si chiudono. È una musica che guarda al passato per reinventarsi, che riconosce la propria origine e la trasfigura. Songs for Nothing è una testimonianza artistica forte, capace di far convivere la tradizione e il rischio, la lingua e la sperimentazione, il mondo e il sogno.


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Stardust

di Danny Brown
Uscita: 07/11/2025 | Genere: Hip-Hop

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Danny Brown sposta radicalmente l’asse del suo suono e della sua identità artistica, uscendo dalla zona di frizione caotica degli esordi per abbracciare un universo più luminoso, fisico eppure straniante.

Dopo l’introspezione profonda di Quaranta (2023), un album segnato dalla lotta e dalla rinascita, Stardust arriva totalmente sobrio, registrato in un nuovo stato di coscienza, e costruisce un personaggio, “Dusty Star”, che funge da specchio per il Brown del presente, ovvero un Brown che sembra aver rintracciato la leggerezza, ma senza rinunciare alla complicazione tipica del suo stile. Il disco è prodotto sotto l’etichetta Warp Records e collabora con nomi della scena hyper-pop, digicore e underground elettronico: un’operazione che non è solo estetica, ma segno di apertura verso nuove sonorità. 

Il suono di Stardust è una mescola audace; beat glitchati, synth stridenti, drum-and-bass, digressioni industriali e un flow che, pur riconoscibile, appare più preciso, più calmo, più consapevole. In tracce come Copycats (con Underscores) o 1999, Brown naviga tra suoni che sembrano presi dal mondo del club, del raverismo digitale, e li piega al racconto di sé. Non più solo lo spaccato urbano di Detroit, ma un paesaggio mentale che include doppi passi, macchine, chip, riflessioni. Chiara la volontà di riconquistare la gioia dell’arte, dopo il tunnel, il buio personale.

C’è tuttavia una tensione interna che non si risolve tranquillamente: se da un lato l’album è dichiaratamente celebrativo, 1l0v3myl1f3!, dall’altro conserva la struttura nervosa e deviata che ha sempre caratterizzato Brown. La sperimentazione non è sacrificata, e l’album spesso deraglia. Suoni che sembrano usciti da videogame anni ’90, glitch core, momenti di distorsione estrema, ma anche pause sospese in cui la voce si fa vicina e umana.

Dal punto di vista stilistico, Stardust appare come l’incontro tra l’avanguardia hip-hop alla Brown e la più radicale estetica post-internet, nonché tra la digicore, l’hyperpop e la club music deformata. È come se Brown, veterano della scena rap di Detroit, avesse deciso di attraversare quella dei giovani sperimentatori digitali, pur restando fedele alla propria voce eccentrica. 

In conclusione, Stardust è un album ambizioso, destinato a tutti i fan delle origini di Brown, ma è forse il suo lavoro più espansivo e audace finora.


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Rifiorirai

di AKA5HA
Uscita: 07/11/2025 | Genere: Experimental / Electronic / Folk

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Rifiorirai è un disco che sembra nascere da una tensione sotterranea, come se Aka5Ha avesse raccolto per anni frammenti di luce, piccoli traumi, paesaggi interiori, per poi farne esplodere la forma solo quando era arrivato il momento giusto. È un lavoro che racconta una rinascita non come volontà di riscattarsi, ma come lenta accettazione di ciò che siamo diventati. Tanca Records, la casa produttiva che negli ultimi anni ha generato un piccolo ecosistema tutto suo, capitanata dalla direzione artistica del miglior artista italiano da almeno un decennio aka Iosonouncane, e produttrice di album criticalmente elevati in giro per il globo come il sontuoso Spira di Daniela Pes, trova in Aka5Ha una voce che completa il quadro; una fragilità più esposta, ma anche sorprendentemente precisa nell’immaginare nuovi spazi per la canzone italiana contemporanea.

La presenza di Iosonouncane, qui in produzione, si avverte non come imposizione estetica ma come una sorta di “campo energetico” dentro cui il disco prende forma: l’attenzione alle micro-dinamiche, la scelta di suoni che respirano, il rifiuto della linearità. Però Rifiorirai non è un disco che vive all’ombra di un maestro, tutt’altro. Aka5Ha porta una lingua diversa, più diaristica, più luminosa, più orientata a un’intimità sussurrata che ricorda a tratti la delicatezza spigolosa di Soap&Skin, la sincerità disarmata di Gia Margaret o certi momenti più notturni di Mabe Fratti, filtrata attraverso un immaginario tutto italiano, tra infanzia, case di provincia, piccole epifanie quotidiane.

Il cuore dell’album è la voce: sottile, fragile, spesso posizionata appena avanti nel mix, come se avesse timore di imporsi ma non potesse fare a meno di raccontarsi. Nei brani più essenziali (d’infanzia, Senza, Room ½), la voce sembra quasi una linea di grafite che traccia l’aria, mentre gli arrangiamenti, ridotti all’osso, fanno emergere ogni crepa, ogni esitazione. È proprio questa delicatezza a renderlo potente. In un panorama italiano che spesso cerca la voce piena, la parola definitiva, Aka5Ha afferma il valore del non detto, del balbettio emotivo, della soglia tra canto e respiro.

Ci sono però anche momenti in cui il disco apre lo sguardo. Magia ha qualcosa di pastorale e sospeso, un incanto che ricorda certo folk europeo post-classico; Inverno ’96 costruisce un climax lento, quasi cinematografico, dove la chitarra è una lama che traccia linee nel buio; ivi vibra come una finestra aperta in una stanza fredda, una ballata che sembra suonata “per sé stessi”, senza preoccuparsi della forma. 

Il disco si colloca idealmente nel percorso aperto da IRA e proseguito con Spira di Daniela Pes, al contempo del sottovalutatissimo I di Vieri Cervelli Montel, di linguaggio che rifiuta la canzone italiana codificata e ne immagina una nuova, più liquida, più corporea, più sensoriale. Rifiorirai è però meno monumentale, più umano, quasi un quaderno di appunti che, senza volerlo, diventa un’opera compiuta.

Nel panorama contemporaneo, appare tra le opere più sincere e luminose dell’anno. La dimostrazione che si può fare musica radicale senza alzare la voce, e che la fragilità, se trattata con cura, può risuonare più forte di qualunque grido.




OltreFrequenze

La rubrica che vi porterà alla scoperta dei migliori nuovi album, selezionati per accompagnare la vostra quotidianità e offrirvi il meglio della scena musicale. A cura di Giacomo Solari

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