Contro la guerra, ma non disarmati: la lezione che John Lennon non aveva capito

Foto: Simbolo di pace con le parole "Imagine" sul muro di John Lennon a Praga, Wikimedia Commons, Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International , elaborazione di V. Barbiero

Cultura

di Roberto Ruben Ganzitti

Il sogno di Imagine è diventato l’alibi morale per chi non vuole scegliere né combattere. John Lennon, con la sua utopia candida, ha disarmato l’Europa e trasformato il pacifismo in una resa culturale.

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L’Europa: tutti la vogliono.

Tutti vogliono l’Europa; perché è ricca, perché è culturalmente affascinante, ma soprattutto perché è indifesa. Nel mondo che si sta risvegliando sempre più spesso con una nuova guerra, si risvegliano animi pacifisti come quelli di Conte e dei 5 stelle che protestano all’Aia, “No Rearm No War’’ pronti a perseguire il credo imposto da una canzone degli anni sessanta: Imagine.
E dalle parole di John Lennon possiamo facilmente capire come un certo pacifismo ideologico faccia gola ad una certa sinistra. Il musicista disse che le similitudini con il comunismo erano tante: ‘“Immagina non ci siano più religioni, Paesi e politica’’ ricorda il Manifesto Comunista’ diceva Lennon.

Il problema è che a furia di immaginare, l’Europa rischia di scomparire come un tappeto arrotolato sotto il tavolo della storia. Una civiltà che si piega su se stessa mentre gli altri giocano la partita del mondo. Sinistra sveglia! La sinistra pacifista italiana e non solo è stata tenuta ostaggio dall’ideologia di immaginare un mondo come pensato dalla canzone di Lennon, Immagine: senza confini, senza religioni, senza possedimenti, senza paradiso né inferno. Un sogno di pace, che nasce però da una cancellazione delle differenze: niente stati (no country) che vuol dire niente identità culturali; niente religioni (no religion) che vuol dire niente trascendenza, riti e spiritualità; niente proprietà (Imagine no possessions) che vuol dire niente responsabilità, radicamento, storia. E Livin' for today, un inno all’isolazionismo del presente.

L’utopia, che si trasforma in distopia anestetizzata, un mondo ovattato dove l’individuo non ha nulla per cui vivere se non la vita stessa, una vita vegetale mi verrebbe da dire, se solo non fosse che anche i vegetali sono estremamente più organizzati e vivi di quello che Lennon prospetta per l’umanità.

Un’ambiguità morale che propone la cancellazione del bene e del male. Non un’etica condivisa, ma un vuoto etico. Un mondo amorfo. A questo sono state educate le schiere di pacifisti.
Nel mondo di Imagine, la guerra è finita perché nessuno ha più ragioni per combattere. E non solo in senso letterale, con il fucile e le granate, ma anche in senso sentimentale. Per lui il conflitto non dovrebbe neanche essere interiore. Ma il conflitto esiste perché siamo complessi, per citare un vero poeta, Walt Whitmann, conteniamo moltitudini (Canto di me stesso (Song of Myself) sezione 51) e tra queste moltitudini esiste anche l’odio che è un motore di ricerca di qualcosa che ci manca. Una spinta passionale che dimostra una nostra identità. Una necessità di cambiare.

John Lennon ha creato un pacifismo che non sa pensare, un pacifismo ingenuo. Imagine è diventato l’inno di un pacifismo superficiale, moralista, estetico.
Un pacifismo che non distingue più tra aggressore e aggredito, tra chi difende e chi opprime. Una mutilazione emotiva quella che ci propone.
Un pacifismo che chiede "stop alla guerra” senza mai chiedersi: chi l’ha iniziata? chi la subisce? chi va difeso?

La pericolosa seduzione di Imagine

Imagine è un testo pericolosamente seducente, che ci invita a pensare con il cuore, ma a sospendere il giudizio morale e politico.
Abbiamo da dire che non tutto ciò che immagina la pace la produce davvero.
Abbiamo da dire che oggi, in un mondo ferito da guerre reali, il sogno di Lennon può diventare un alibi per non scegliere, non schierarsi, non agire.

“Imagine” è un’icona, ma forse è ora di disinnescarla, di leggerla non solo come preghiera di pace, ma come simbolo di una rimozione collettiva:
quella della fatica di convivere con il diverso, con la complessità, con il dolore, con la responsabilità di agire e di vivere passivi trasportati dagli eventi.
La pace non si immagina: si costruisce nel conflitto, nella consapevolezza, nell’accordo tra le differenze. Si costruisce con la diplomazia ma con una diplomazia che alle spalle abbia un peso da contrapporre all’orrore.

La vera pace non è vivere “as one”, vivere as one significa vivere sotto uno stesso suono, una stessa melodia, un unico accordo.
Ma quale armonia può esistere senza dissonanza?
Una vera armonia nasce dall’equilibrio instabile di suoni diversi.
Imagine, invece, cancella l’accordatura, spegne i timbri singoli per uniformare tutto in una nenia candida e letale.

L’ingenuità del pacifista che non concepisce che possa esistere il male.

Viviamo ancora nell’illusione naïf di un mondo alla John Lennon, plasmati da un’ideologia pacifista mai capita fino in fondo.
Non sappiamo muoverci all’interno dei tempi che cambiano,
perché non comprendiamo che, proprio per evitare la guerra, bisogna essere inattaccabili da chi la guerra la vuole.

Non riusciamo ad accettare che esistono – ed esisteranno sempre – dei rapporti di forza.
Ma soprattutto non accettiamo che non dipende sempre tutto da noi: questa è la più grande bugia che i pacifisti raccontano al mondo e raccontano a se stessi. Questo perché i pacifisti hanno l’arroganza e la presunzione di credere che siamo sempre e solo noi occidentali il centro dell’azione, di essere i prescelti, i protagonisti.
Non dipende sempre da noi, proprio perché l’uomo è libero ed è dotato di libero arbitrio. Così come lo sono i dittatori essendo anch’essi uomini.

Domani una persona qualsiasi può alzarsi e compiere un atto terribile. Non c’è nulla che possa fermarla.
Un gesto è un gesto: potrebbe attaccare chiunque. Il gesto della violenza non va imparato: è già nella mano dell’essere umano, come bere un bicchiere d’acqua o salutare qualcuno.

Allo stesso modo, i governi  – fatti da uomini – domani potrebbero alzarsi e decidere di invadere un Paese, bombardarlo, distruggerlo.
Il pacifismo non riesce ad accettare questo: che il male esiste e a volte è inevitabile perché non possiamo controllare tutto.
Così si nascondono dietro un sogno: quello che ha insegnato John Lennon.

Se domani Putin volesse attaccare l’Europa, potrebbe farlo.
Non esiste nulla che glielo possa impedire, perché per lui potrebbe essere come bere o salutare: un gesto semplice, naturale, senza ostacoli.

La vera differenza sta in noi.
Nel contrapporre misure vere ed efficaci a un ballo inevitabile.
A un flusso sul cui inizio non possiamo avere voce in capitolo,
perché – per fortuna o per sfortuna – il libero arbitrio appartiene al singolo individuo.

Si può solo sperare che chi ha il potere sia dotato di buon senso.
Altrimenti, bisogna agire di conseguenza.
E trovarci a ballare sulla musica scelta da chi attacca per primo.

L’unica vera battaglia: educare

Forse, a ben vedere, l’unica cosa che oggi si può davvero fare è educare. Come diceva Norberto Bobbio (Filosofia della guerra nell’era atomica, ora in Etica e politica, Mondadori 2009) la pace non è per l’umanità ma è possibile solo nell’individuo. La via più efficace è il cambiamento della mente degli esseri umani. Perché tutti gli ideali che non tengono conto della realtà, sono ideologia, e l’ideologia – anche pacifica – finisce  per generare dolore e violenza.
Educare – dal latino educere, cioè “tirare fuori” – a differenza di istruire, che significa “mettere dentro”.
È questa la vera, grande battaglia pacifica a cui i pacifisti dovrebbero dedicarsi.
Ma anche qui si apre un paradosso: perché un pacifista dovrebbe “lottare”?
Non è forse già questo un cortocircuito del pacifismo stesso?

E allora, nell’attesa della battaglia più profonda, quella per l’educazione, quella per la costruzione lenta e difficile di un’etica capace di formare individui con una morale sana,
non resta che difendersi. Difendersi da chi una morale non ce l’ha.

Difendersi per preservare l’idea stessa di libertà, e l’idea di educazione come fondamento della convivenza.
Difendersi affinché non esistano più i guerrafondai – coloro che la guerra la vogliono, la cercano, la fondano. Difendere il nostro modo di vivere libero. Difesa di questa idea di giustizia, di diritto, di democrazia, se necessario, bisogna saperla difendere anche con le armi.
Non per attaccare.
Ma per impedire che siano sempre e solo gli aggressori a scrivere la musica su cui siamo costretti a ballare.

 

Roberto Ruben Ganzitti

Giornalista, Direttore Responsabile di NoSignal Magazine, scrittore e fantasista. È laureato in Letterature comparate con una tesi su Tolkien. Ha frequentato la scuola di scrittura creativa Molly Bloom a Roma. Appassionato di Americanista è autore e presentatore del live show Pezzi di Tutto. Compra cinque libri a settimana convinto di poterli leggere entro il week end; pronostico che non si avvera mai, ma che gli ha consentito di avere una libreria alquanto fornita.

Tag: guerraPacepacifismoopinioni

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