The Passionate Ones
di Nourished by Time Genere
Uscita: 22/08/2025 |
Genere: Alt-Pop / Post-R&B / Experimental
In questo secondo capitolo, Marcus Brown abbandona l’onirismo etereo del debutto Erotic Probiotic 2 per abbracciare una fisicità emotiva palpabile. Nourished by Time continua a scavare nel suo territorio esistenziale fatto di desideri compressi, angoscia urbana e romantiche ossessioni. The Passionate Ones è un lavoro più diretto, ma non meno tormentato. un documento indie/R&B che pulsa di vita reale e non di rifugi romantici, che trasuda di resistenza, rivendicazione, amore ribelle e non di rassegnazione. La sua voce baritonale, profonda e gravida di tensione, resta salda al terreno emotivo. Canzoni pop che si disfano lungo i bordi, una voce bassa, stanca, mai compiaciuta, che racconta la precarietà affettiva e sociale con una lucidità disarmante.
Il disco pulsa di riferimenti che vanno dal funk minimizzato al soul digitale, con beat svuotati, chitarre sintetiche e bassi nervosi. Brani come Max Potential o BABY BABY funzionano come mantram interiori, ripetizioni che più che affermare, implorano. 9 2 5 è probabilmente il manifesto più chiaro. Sopravvivere al lavoro, mantenere vivo il desiderio, trovare spazio per sé senza lasciarsi divorare.
Le influenze attraversano decenni ma non le segregano. Tra Prince distopico, funk sporco, post‑punk sincero, si avverte un’ironia dura. Jojo introduce un raro momento comunitario col rap di Tony Bontana, ma resta sospeso tra gesto collettivo e fragilità individuale.
Brown costruisce un album pop, a suo modo, ma è un pop pieno di fratture, un pop che non consola. L’eleganza delle produzioni serve a contenere una materia umana che ribolle. Non c’è nessuna fuga nel sogno, solo la volontà di restare svegli, vulnerabili, vivi.
It’s a Beautiful Place
di Water From Your Eyes Genere
Uscita: 22/08/2025 |
Genere: Art-Rock / Art-Pop
In questo nuovo capitolo, Nate Amos e Rachel Brown edificano un paesaggio sonoro più solare ma non per questo meno inquieto. It’s a Beautiful Place pulsa di contraddizioni in quanto ballerino ma bensì disorientante.
Le chitarre esplodono in opener come Life Signs, dove riff nervosi in un insolito 5/4 e ritmi disarticolati si combinano a cori angelici. Il risultato è anche qua un art-rock verso un art-pop sognante. Troviamo infatti poi Nights in Armor, un groviglio di indie pop accarezzato e scosse hardcore, e Born 2 che invece si arrampica su un’escalation di chiavi e feedback incandescente, inchiodandoti con la sua urgenza trionfale. È grigio, è furioso, senza perdere però un sottile filo di speranza.
I momenti più quieti, quali You Don’t Believe in God?, ti seducono con una delicatezza struggente, interlude ambient sospesi che sembrano spiragli di verità in un mondo in rovina.
Le ultime note ti ricacciano dentro, e resti lì, come in uno specchio che ti cattura.
Questo disco è bello davvero, feroce, ingenuamente ottimista, ironico, fragile. È il rumore di un luogo che resiste.
Earl Sweatshirt non ha più bisogno di urlare. In Live Laugh Love trasla la sua furia introspettiva convogliando ironia, tenerezza, stordimento e verità in poco più di 24 minuti. Un album che non si sgretola, ma si disarticola. Versi sospesi, punchline interne, immagini da vita vissuta filtrate da una mente lucida e una produzione scarna ma nervosa che pulsa come un cuore affaticato.I beat di Theravada (più qualche tocco di Navy Blue, Black Noise, Child Actor) sembrano ritagliati da pick-up notturni, da palleggi sul cemento e conversazioni scivolate in macchina. Il groove è sporco ma vivido, sospeso fra un soul distorto e rimbalzi da playground urbano. Faziosità e slancio convivono; Infatuation ti avvolge con un piano dolente che si incrina improvvisamente mentre Forge è una gazzella che balla sul filo dell’amore e della paura. In Tourmaline, Earl parla del suo ruolo di padre con struggente fragilità («they found me on the streets / vowin' to keep my feet grounded for my sweet child»). Un disco cupo ma a metà, affondato nella maturità che ride delle proprie paure. Ogni traccia si spezza, s’interrompe, si frattura e in quelle crepe scorre vita, genitorialità, rimpianto, scatti comici, silenzi corrosivi. Una cartina emotiva che ti attraversa, senza chiederti permesso.
Dopo cinque anni di silenzio, i Deftones tornano con un disco che ha tutta la loro energia crepuscolare, più raffinata e consapevole che mai. Private Music non ha quel ruggito adolescenziale ma un chiarore pieno di tensione e riff enormi che si appoggiano a spazi sospesi, nonché melodie che sembrano respiri di un cielo brumoso.
L’album è un mosaico emotivo costruito con precisione. cXz ci porta dalle parti di Tim Hecker e la produzione di Nick Raskulinecz aggiunge chiarezza a una materia sonora densa, una sorta di equilibrio tra abrasione e trasparenza.Ma quello che brilla davvero è l’identità della band, cinica e apocalittica seppur addomesticata. In Cut Hands affiora un rap-metal che scuote il contesto ma senza strafare mentre I Think About You All the Time è una ballata in 3/4 che vibra fragile, quasi a rischio di crollo emotivo, restando lì, solida, come una confessione. Non è un album che ride di nostalgia, e nemmeno un colpo di mano nel passato. È una domanda che i Deftones hanno imparato a chiedersi da adulti, si può essere potenti e miti allo stesso tempo? Puoi sciogliere la bellezza nella violenza pur tenendola sotto controllo? Private Music risponde sì, con calma, senza patetismi, sfruttando la tensione quale forma di bellezza.
Saul Williams meets Carlos Niño & Friends at TreePeople
di Saul Williams, Carlos Niño & Friends
Uscita: 28/08/2025 |
Genere: Electro-Acoustic / Ambient Jazz
Un rito moderno alle radici del suono. Saul Williams incontra la spinta eccezionale di Carlos Niño e un ensemble ispirato sullo sfondo verde di Coldwater Canyon. Questo concerto/albero, trasformato poi in album, mescola le energie sottili del jazz sperimentale, i riverberi ambientali, le vibrazioni di vibrafono, percussionismi ancestrali e le soffuse astrazioni elettroniche (Rain sticks, campane, shell, synth, flautismi sospesi) in un unico tessuto sonoro vivo.
Williams ricorda l’eredità degli oratori tribali che di parola in parola plasmano il sacro. Sound then Words, ripete «land back» con peso ritmico, attivando un piano simbolico che esplode poi in We are calling out in this moment…, raccontando drammaticamente la storia del popolo Lenape perduto. The Water is Rising, con la potente Aja Monet, modula toni apocalittici e fughe diasporiche, mentre la musica s’insinua e si solleva in spirali ipnotiche.
È un’opera che oscilla tra il rituale ancestrale e il contemporaneo, dove il suono non aggredisce, ma invita a piegarsi nell’ascolto. Alcuni potrebbero trovarlo lento o ipnagogico, ma chi ne avvertirà il richiamo troverà un’ossessione circolare. Dalla poesia al suono in estasi, questo album progetta uno spazio, un’oasi comune.
Pareidolia
di Eiko Ishibashi, Jim O’Rourke
Uscita: 29/08/2025 |
Genere: Experimental / Ambient
Un taccuino improvvisato diventato musica. Pareidolia nasce da materiale raccolto durante una tournée europea: in campo frammenti di concerti, field recordings, improvvisazioni spontanee combinate con montaggi affusolati e spaziali. Il risultato è una serie di quattro movimenti così come il loro titolo suggerisce.
La formula? Nessuna struttura convenzionale, ogni traccia è un flusso sciolto, uno scarto poetico tra piano, suono miscelato, rumori urbani e frammenti ambientali che si rincorrono. È una musica di frammenti che si trasforma. L’allestimento è un gioco tra caos controllato e delicatezza ambigua.
Come accade nell’esperienza della pareidolia visiva, qui le tonalità si compongono in un universo che sta tra improvvisazione jazz, minimalismo elettronico e sogno ad occhi aperti. Nessun climax comunicativo, solo l’architettura sottile di un pensiero musicale fluido, libero, instabile. Parlando di comunicazione, effettivamente bastava dire che si tratta di Eiko Ishibashi e Jim O’Rourke, assieme…
I Wonder When They’re Going to Destroy Your Face
di Prolapse
Uscita: 29/08/2025 |
Genere: Post-Punk
Ventisei anni di silenzio e scoppia tutto di nuovo. I Wonder When They’re Going to Destroy Your Face esplode di quella lacerata e grottesca emergenza degli anni Novanta. I Prolapse tornano senza nostalgia e con la furia di chi non ha bisogno di giustificazioni, bensì di graffiare il presente.
Dal primo riff a stantuffo di The Fall Of Cashline siamo nel loro mondo, solo più fresco e amplificato. Le voci di Mick Derrick e Linda Steelyard tornano a rincorrersi, a sovrapporsi, a divergere, il sesso delle libellule. Lui un parlato Glasgow-spinto, lei ipnotica e inquieta. È un dialogo sfondo bianco tra paranoia e ironia.
Ci sono lampi kraut in Cha Cha Cha 2000, a tavola ospiti Canned Heat, Cat Stevens e Donovan. Jackdaw non è solo rabbia, è una detonazione corta, feroce, isterica.
Non mancano, però, momenti di distorsione melodica ben assestata (Err On The Side Of Dead, Ectoplasm United), dove il post‑punk si fa organico, corrosivo ma coerente. Il tutto si chiude con A Forever, un’ultima voce che racconta un arrivederci in un autogrill.
Questo ritorno è il manifesto di una band che sapeva far pogare i disincanti, in grado di trasformare i grotti sonori in rituali collettivi. Nessun trionfalismo, nessuna rianima‑90s, esistere in musica. Un ritorno atteso eppure straniante, che suona come una crepa reale nella scorza dell’anno presente.
