Per anni questa retorica ha funzionato. Ora, però, iniziano a vedersi le prime crepe di un sistema creato per il breve periodo. E forse, per la prima volta, ciò che non è riuscita a fare l'opposizione potrebbe riuscire a farlo l’economia.
Dai salvataggi al miracolo ungherese
Quando nel 2010 Orbán tornò al potere, l’Ungheria era reduce dalla crisi del 2008 e da un prestito di 15,7 miliardi di dollari ottenuto da BCE e Fondo monetario. Il primo passo del primo ministro euroscettico fu rilanciare l’economia nel breve periodo con una serie di misure radicali: aliquota sul reddito al 15%, tasse sulle imprese al 9%, massicci tagli fiscali alle famiglie e sussidi generosi a grandi progetti infrastrutturali. Contemporaneamente, il governo nazionalizzò il sistema previdenziale e introdusse tasse straordinarie sulle banche. Queste mosse permisero di aumentare rapidamente le entrate e di stimolare i consumi interni.
I risultati arrivarono presto, infatti nel 2013 il PIL crebbe significativamente, così da consentire al governo di riuscire a rimborsare completamente il debito contratto con il FMI.
Per sostenere le finanze pubbliche e compensare i tagli fiscali, Orbán aumentò l’Iva al 27%, la più alta d’Europa, e creò tasse straordinarie per le multinazionali. Tuttavia, il vero motore della crescita rimanevano i fondi europei: dal 2004 al 2023 Budapest ha ricevuto 50 miliardi di euro, gestiti in modo centralizzato e spesso affidati a familiari e fedelissimi, consolidando così il sistema di potere del primo ministro.
L’inizio delle crepe e le soluzioni del primo ministro ungherese
Dal 2021 tutto è cambiato. L’aumento dei tassi d’interesse, la guerra tra Russia e Ucraina e l’impennata dei prezzi dell’energia hanno messo a dura prova l’economia ungherese. In vista delle elezioni del 2022, Orbán ha adottato una politica fiscale super espansiva, prevedendo rimborsi fiscali alle famiglie, tredicesima ai pensionati, aumenti salariali nel pubblico impiego ed esenzione fiscale per gli under 25. Una manovra pensata per gonfiare i consumi e rafforzare i consensi, così da potersi garantire la rielezione.
