Abolire il quorum del referendum? No grazie, tuteliamo la democrazia

Fonte: Oltrepier - Own work, CC BY-SA 4.0, Link

Italia

di Matteo Poloni,

Il referendum dello scorso 8-9 giugno è fallito.

Quello che invece non fallisce mai è l’azione politica del post-voto, polemiche e lamentele figlie di analisi campate per aria che portano a proposte altrettanto aeree e nebbiose. Una nebbia tossica da guerra di trincea.

Nel caos del dibattito politico in cui la sinistra ha deciso di giocare applicando alla lettera il fight trumpiano da loro tanto odiato e “combattuto”, inventandosi quorum e segnali politici rappresentativi di un’arrampicata sugli specchi con le mani insaponate, torna la proposta di abolire il quorum dei referendum.

Una proposta che non è certamente nuova con protagonista, oggi, l’area radicale (Magi, Cappato e tanti altri), ma che impressiona per la rapidità con la quale ha sfondato le 50.000 firme necessarie per presentare la proposta di legge popolare.

E no, non si tratta della firma online come mal pensava Lupi, bensì delle logiche dietro l’iniziativa.

Logiche che negano la natura rappresentativa della nostra Repubblica, il diritto di voto e violano l’assunto di base delle norme sulla democrazia diretta: se la strumentalizzazione è facile, pensa sempre per il peggio.


La proposta di abolizione

La nostra Costituzione prevede due forme di referendum: abrogativo (art. 75) e costituzionale (art. 138).

Per quanto ci riguarda, la differenza tra i due è la presenza del quorum: quello abrogativo richiede che almeno il 50% + 1 degli aventi diritto di voto partecipino.

La proposta di legge depositata (1) ne prevede l’abolizione:

Art. 1 – Modifica dell’articolo 75, quarto comma

L’art. 75 comma 4 della Costituzione è sostituito dal seguente

“La proposta soggetta a referendum è approvata se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

giustificandola con le seguenti argomentazioni:

  • il quorum è uno strumento anacronistico nato 80 anni fa con affluenza al 90% e sanzioni per chi non votava. Oggi danneggia la democrazia disincentivando la partecipazione dei cittadini, eliminando il dibattito e distorcendo la volontà popolare;
  • eliminare il quorum favorisce la partecipazione eliminando l’astensione come arma di boicottaggio;
  • l’esperienza internazionale dimostra che l’assenza di quorum migliora la partecipazione.

Intenti nobili all’apparenza.

Ma la strada per l’inferno è sempre lastricata di buone intenzioni.


Le democrazie evolute: davvero non hanno il quorum?

I promotori affermano che il quorum non è previsto in Svizzera, negli Stati Uniti e nelle altre democrazie evolute; la questione – come sempre – è più complessa.

Sebbene privi di quorum costitutivo, in Svizzera la questione non è così semplice come sembra.

Distinguendo infatti tra referendum obbligatorio e facoltativo, quello obbligatorio previsto per modifiche costituzionali, l’adesione a organizzazioni di sicurezza collettiva o comunità sopranazionale, ovvero l’adozione di una legge federale “urgente e priva di base costituzionale”, richiede un diverso vincolo: la doppia maggioranza deliberativa del popolo e dei cantoni (2) .

Forme di democrazia diverse dalle nostre, certo, ma tutt’altro che prive di garanzia.

Negli Stati Uniti l’esercizio della democrazia diretta, storicamente noto come sistema Oregon, è disciplinato dalle Costituzioni dei singoli Stati:

Fonte: Ballotpedia

In mancanza di una previsione federale, il referendum esiste in solo 24 Stati su 50, distinguendolo tra legislativo e popolare (3), oltre ai casi dei singoli enti di governo municipale e locale. Il quorum costitutivo? Non esiste, al massimo vi sono alcuni Stati che prevedono dei “requisiti tecnici” aggiuntivi, ma nulla di riconducibile al nostro 50% + 1.

E le altre democrazie evolute?

Tipico esercizio politico di fallacia composta: chi sono queste democrazie evolute? Evocare masse, senza qualificarle e dipingendole come migliori è statistica impressionistica, un dispositivo retorico per evocare un principio di autorità non dimostrato e scivolare in una forma elitaria di argumentum ad populum “se lo fanno i paesi migliori, deve essere giusto”.

Data la mancata identificazione, e consapevoli che la classifica varia in funzione dell’indice considerato (Freedom House, Economist Intelligence Unit ecc), definiamole come quei paesi dotati di istituzioni democratiche solide e una tutela effettiva — non solo formale — dei diritti civili e politici.

Cosa emerge? La falsità dell’affermazione.

Per quanto non diffuso, diversi paesi prevedono quorum costitutivi:

Fonte: lavoce.info

La sanzione a chi non vota: garantiscono un’affluenza di qualità?

L’obbligo di voto garantito da sanzioni non è una novità. Pur essendo stato introdotto dal Liechtenstein già nel 1862, si considera la legge belga del 1892 come il primo esempio moderno di questa misura (4). Oggi solo una ventina di paesi lo prevedono, ma è un numero del tutto arbitrario.

Non abbiamo un unico istituto, bensì uno spettro di possibilità (5) in cui non tutti applicano sanzioni:

 

Fonte: Vidmaps

In Europa solamente il Cantone Sciaffussa (Svizzera) applica le multe previste, mentre gli altri paesi che hanno l’obbligo di voto quali Belgio, Bulgaria, Grecia e Lussemburgo non le applicano, ovvero non sono previste.

E per quanto riguarda l’Italia?

Le norme per l’elezione della Camera dei Deputati (D.P.R. 361/1957) prevedevano all’art. 115 l’obbligo di giustificare la propria astensione al sindaco del Comune alle cui liste elettorali si risultava iscritti, stabilendo in caso contrario, o qualora non fosse valida:

  • la pubblicazione su un elenco affisso nell’albo comunale per un mese;
  • la menzione “non ha votato” nei certificati di buona condotta per 5 anni.

Prevedeva: la norma è stata abrogata nel 1993. I promotori della legge sostengono di fatto che una tale norma garantisse l’elevata partecipazione alle elezioni, ma i dati evidenziano una diminuzione dell’affluenza iniziata ben prima del 1993 (6):

 

Fonte: Dassonneville, R., Hooghe, M., & Miller, P. (2017). The impact of compulsory voting on inequality and the quality of the vote. West European Politics, 40(3), 621–644. https://doi.org/10.1080/01402382.2016.1266187

Affermare che l’abrogazione dell’art. 115 costituisca “il tana libera tutti” dell’astensionismo è pura malafede: è il collasso della Prima Repubblica, con gli scandali di Tangentopoli, e quanto ne è seguito fino ad oggi ad aver allontanato gli elettori dalle urne.
Un trend che trova riscontro anche negli altri paesi OCSE:

Fonte: OCSE (2024), La società in uno sguardo 2024: Indicatori sociali dell'OCSE , OECD Publishing, Parigi, https://doi.org/10.1787/918d8db3-en

e dal quale emerge un crescente disinteresse dei giovani verso la politica.

L’obbligo di voto garantirebbe dunque una maggiore affluenza alle urne?
Casi come l’Australia porterebbero a dire di sì, ma oltre alla mancanza di consenso unanime sul tema, dobbiamo guardare l’altra faccia della medaglia: la qualità del voto.

Studi condotti in Canada e in paesi dotati dell’obbligo (7) evidenziano che vi è un incentivo al c.d. voto passivo, il recarsi alle urne non perché coinvolti civicamente, maggiormente informati o per lo sviluppo di una coscienza politica, bensì per evitare la sanzione.

Giudicando la qualità del voto sulla base di parametri come la capacità di saper valutare l’operato governativo (accountability voting) e di scegliere partiti ideologicamente affini (proximity voting), emerge infatti che la necessaria conoscenza politica minima diminuisce con scelte casuali, abilità di valutare in stallo e un attivismo politico fuori dal seggio non migliora, anzi ne esce danneggiato.
 

Votare non è un dovere nel caso dei referendum

A tali considerazioni se ne aggiunge poi un’ulteriore giuridicamente rilevante: il diritto di voto non è un dovere civico nei referendum.

Il principio espresso dall’art. 48 della Carta si riferisce infatti alle elezioni rappresentative, al voto necessario a far funzionare le Istituzioni, mentre l’art. 75 disciplina un istituto che non elegge rappresentanti, non incide sull’operatività istituzionale, bensì cancella norme. Eliminare il quorum equivale dunque ad obbligare le persone a prendere una posizione, quanto la stessa astensione è già di sua natura una decisione politica riconosciuta dal sistema stesso. Il voto è un obbligo solo nelle dittature.
 

Conclusioni: il quorum tutela la democrazia, non l’ostacola

Abolire il quorum dei referendum abrogativi non è solo privo di senso: è un pericoloso.

Pericoloso per la nostra democrazia che, invece di esserne rafforzata, viene provata per l’ennesima volta dall’illusoria tecnocratica e moralistica idea di un’élite, auto assolta e nominatasi forza morale superiore, convinta di poter migliorare la società per legge, vedendo nei cittadini non esseri senzienti, ma pazienti da rieducare.

È vero, non siamo al voto obbligatorio, ma si vuole ottenere indirettamente i medesimi effetti, una coercizione mascherata che umilia consapevolmente il legittimo esercizio del dissenso politico.

Chi si astiene è qui visto come complice dell’immobilismo, ma l’astensione è espressione della propria libertà di giudizio, concetto capibile solo comprendendo tanto l’essenza della democrazia, quanto la funzionalità dei referendum.

Il fondamento della politica democratica non è nella coercizione, ma nella partecipazione dei cittadini in quanto parte attiva e cosciente della vita politica del proprio paese, partecipi a fronte di concretezza, messi nelle condizioni di capire, valutare e scegliere.

Il referendum è tanto simbolo di democrazia, quanto strumento inadeguato per il suo esercizio. Chiediamoci: quanti di noi hanno effettivamente capito per cosa si stava votando e relative conseguenze?

Ridurre tematiche complesse a una scelta tra “sì” e “no” non è esercizio della volontà popolare, bensì semplificare all’estremo falsando la democrazia stessa: uccidere il dibattito e il lavoro parlamentare per ridurre il tutto a un gioco di bianco e nero.

Questa non è democrazia, non è qualità politica, è la distruzione del dibattito sotto il rullo compressore dell’agire per partito preso, corruzione metodologica che mina la tenuta del sistema. Abolire il quorum non aumenterà realmente la partecipazione.

Spingere sulla quantità è nutrirsi di una retorica della legittimazione politica che ignora completamente cosa sia in realtà il corpo elettorale, la consapevolezza del singolo cittadino, la struttura del voto.

La nostra è una repubblica rappresentativa in cui il potere legislativo è del Parlamento, istituzione che rappresenta la maggioranza degli italiani: il quorum è la garanzia istituzionale che impedisce a una minoranza estremamente motivata, ma poco rappresentativa, di imporsi su tutti facendone pagare il relativo costo.

La sua abolizione è l’arma di chi da sempre perde il voto, un intero spettro politico (8) incapace storicamente di accettare e metabolizzare il risultato, dando sfogo alla peggior emotività del momentum. Giocare con la volontà popolare, fabbricare artificialmente una legittimità inesistente, compensare per legge l’assenza di partecipazione consapevole, snaturare lo strumento democratico che da rappresentativo diventa la populistica ricerca del plebiscito ove conta solo l’urlo più forte.

Una democrazia simulata dove non vince la ragione, ma la pancia.

Non più partecipi, ma succubi di un gioco in cui sotto il tappeto finisce il polverone del fallimento dei partiti politici di essere tali, incapaci di offrire concretezza e dignità politica, inadatti a costruire un consenso fondato sulla struttura e il metodo, atti solo a trasformare ogni momento di voto in una guerra ideologica, un termometro del consenso fine a sé stesso.

Un termometro voluto da pochi costatoci oggi 88 milioni di euro (9).

Tag: referendumquorumvotanti

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