Riflessioni sulla libertà e sulla paura

I diritti di libertà, i principi e le garanzie costituzionali, in assenza di una base sociale, comprensiva di cittadini e istituzioni, concorde sul fatto che essi siano più importanti di altri valori, altro non sono che un feticcio. Dopo i nefasti eventi dell’ultima estate in cui decine di migranti, tra cui donne e bambini, sono stati lasciati in mare per giorni, a volte per settimane, a dispetto dei trattati internazionali e diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione italiana, questa cosa avrebbe dovuto essere chiara a tutti.

Sfortunatamente, oggi ancora si fa fatica a convenire sul punto. Proviamo a fare qualche esempio tratto dalla situazione emergenziale che stiamo vivendo.

1) Può un atto amministrativo, come un decreto ministeriale, derogare a libertà garantite dalla Costituzione? La risposta, come suggerisce anche il penalista Gian Luigi Gatta, è no. Eppure è quello che sta avvenendo con la serie di dpcm c.d. “Io Resto A Casa”, che a partire dall’otto marzo sono stati emanati dal Presidente del Consiglio. E perché avviene? Perché la base sociale ritiene (a ragione, secondo chi scrive) che in questo momento storico la tutela della salute pubblica, anch’esso principio costituzionale, sia più importante e quindi giustifichi una compressione, per quanto ampia, delle suddette libertà. Qualcuno potrà rispondermi che esistono delle tutele. Certamente, si potrebbe portare al vaglio della Corte costituzionale il decreto legge 23 febbraio 2020 n. 6 che ha lasciato una così ampia discrezionalità decisionale al Governo. Sennonché alla Corte costituzionale si può accedere esclusivamente in via principale o in via incidentale. Del resto, sfido chiunque a descrivere uno scenario realistico in cui una Regione procedesse ad impugnare quel decreto legge, oppure in un processo ordinario venisse proposta una questione di legittimità a seguito della quale la Corte costituzionale decida per l’incostituzionalità dello stesso entro la giornata del 3 aprile. Giova altresì ricordare che la Corte costituzionale in passato ha affermato più volte che in situazioni emergenziali la pubblica amministrazione dispone di poteri più ampi rispetto a quanto avvenga ordinariamente (vedasi su tutte, Corte cost. sentenza 2 luglio 1956 n.8). Ma, anche ammettendo che le situazioni emergenziali del passato fossero lontanamente paragonabili a quella che viviamo oggi, quell’affermazione della Corte non fa altro che confermare quanto detto in apertura.

2) Domandiamoci ulteriormente: può il Governo decidere de iure et imperio quali beni d’acquisto rientrino tra quelli c.d. “di prima necessità”, magari includendovi gli articoli per la profumeria ma non anche quelli per la telefonia, e di fatto impedire ai cittadini di uscire di casa per l’acquisto di beni diversi (v. l’interpretazione del decreto fornita sul sito web del Governo, sotto la voce Spostamenti)? La risposta, anche in questo caso, è negativa. Eppure è quello che sta avvenendo con i decreti “Io Resto a Casa”. E perché avviene? Perché la base sociale ritiene (meno ragionevolmente, secondo chi scrive) che in questo momento storico la tutela della salute pubblica giustifichi una decisione arbitraria del Governo su quali beni siano acquistabili e quali invece no. Sulle tutele, vale lo stesso discorso fatto sopra, con una precisazione ulteriore. Questa disposizione, se finisse davanti alla Corte costituzionale chiamata ad operare l’(ormai) classico bilanciamento nella forma dell’oramai consolidato 4–step test di origine europea, cadrebbe sotto la scure del secondo passaggio, mancando di un collegamento razionale tra l’obiettivo perseguito e la misura messa in atto.

3) Potremmo andare avanti ad analizzare le disposizioni entrate in vigore negli ultimi giorni, ma mi si permetta di aggiungere un esempio ulteriore, tratto questa volta da una mera proposta che pure in questi giorni si va facendo. Potrebbe il Governo decidere di procedere al tracciamento e alla mappatura dei dati GPS dei cittadini per individuare gli spostamenti e i contatti delle persone risultate positive al Covid-19, poniamo da oggi fino alla fine di aprile, senza una base legale che garantisca il rispetto degli standard minimi di protezione dei dati personali? No, non potrebbe. Eppure se ne sta già discutendo. Perché? Perché la base sociale ritiene che in questo momento storico la tutela della privacy sia assai meno importante della tutela della salute pubblica. Peraltro trattasi di una falsa dicotomia, giacché l’una cosa non esclude l’altra. Sulle tutele, varrebbe sempre quanto abbiamo detto sopra.

Dagli esempi fatti fino a qui dovremmo ricavare due moniti: Il primo, come suggerisce da giorni il professor Alberto Mingardi, è quello di non dar mai per scontata alcuna libertà. Quando, finita questa crisi, cominceranno ad essere messi in discussione alcuni diritti (primo tra tutti, vedrete, quello alla libertà di movimento) dovremo farci trovare pronti, come base sociale, a difendere quello che con fatica abbiamo conquistato nel corso dei secoli. Il secondo, meno immediato ma altrettanto valido, è che uno Stato paternalistico che pretenda di sostituirsi alla coscienza individuale, decidendo in modo conforme agli interessi generali dei cittadini, con la promessa di osservare la cornice di garanzie costituzionali in cui esso è chiamato a muoversi, non è che una fantasia. Soprattutto in situazioni emergenziali.

E tralasciamo di ricordare che lo Stato inteso come apparato politico e burocratico, è composto da persone, le quali spesso hanno interessi divergenti da quelli generali. Alla fine di questa emergenza, forse, dovremmo cominciare a riflettere su quanto abbiamo dato per scontate le libertà fondamentali che, invece, nel corso dei secoli sono state conquistate con grande fatica e dopo lunghe battaglie. La cultura del liberalismo e l’educazione alla libertà sono l’unica via per far sì che, come auspicato da Marco Abatecola, la maggioranza delle persone torni a vivere le limitazioni, legate alle norme emergenziali, con la gravità che meriterebbero.

 

  • Condividi