Non è una notizia qualunque.
È una notizia che pesa e che in parte può avere il sapore della sconfitta per coloro i quali credevano ancora che in guerra il rispetto delle regole internazionali potesse essere una difesa sufficiente contro un'aggressione militare totale.
Chiariamo però una cosa immediatamente prima di fare qualsiasi discorso: la Russia non ha mai firmato la Convenzione e non è l'unico Stato a non averla sottoscritta. Compaiono infatti tra i non aderenti anche Cina, India, Stati Uniti (che hanno firmato ma non ratificato), Iran e molti altri. L’Ucraina, invece, aveva aderito nel 1999, e da allora ha tentato di rimanere vincolata agli obblighi internazionali anche in una situazione in cui la Federazione russa interveniva ignorando qualsiasi regola.
Secondo il Landmine Monitor 2024 dell’ICBL (International Campaign to Ban Landmines), oggi oltre 174.000 chilometri quadrati di territorio ucraino sono potenzialmente contaminati da mine. È un’area vasta quanto l’intera Inghilterra.
Le mine russe sono ovunque: nei campi, lungo le strade, nei giardini, nei cortili delle case e colpiscono indistintamente militari e civili, uomini e bambini.
Human Rights Watch per esempio, ma anche numerosi rapporti delle Nazioni Unite, hanno documentato l’uso sistematico, da parte delle truppe russe, di ordigni vietati, anche in zone densamente abitate e in violazione del diritto internazionale umanitario.
L'Ucraina oggi è il Paese più minato al mondo. In questo scenario, pretendere che l’Ucraina continui a combattere con una mano legata dietro la schiena è al limite dell'assurdo e si potrebbe aggiungere anche irresponsabile.
Non è la vittima che ha cambiato le regole del gioco. È il gioco che è cambiato, perché uno dei due giocatori ha deciso che le regole non gli servivano più.
È bene ricordarlo a chi oggi facilmente si indigna, magari per sentito dire: la Convenzione di Ottawa non impedisce l'uso delle mine (tipo disposti della convenzione di Ginevra), ma impedisce solo che lo facciano gli Stati che la rispettano. Quindi, se uno dei firmatari viene invaso da un Paese che invece non ha mai aderito e che usa le mine con sistematicità e impunità, prima o poi quella scelta appare una condizione che non ha senso di esistere.
Quello dell’Ucraina non è un tradimento del diritto internazionale ma piuttosto una resa al realismo.
Non è un Paese che smette di credere nei valori universali ma è un Paese che si rende conto che, in guerra, la difesa della propria sopravvivenza può richiedere anche scelte dolorose, incoerenti, persino impopolari però necessarie.
Va ribadito un concetto: che una guerra aperta possa essere combattuta secondo regole che salvaguardano la nostra indignazione è pia illusione. Un'illusione venduta ai nostri occhi perché il tutto ci possa sembrare più sopportabile ma la realtà resta quella del sangue e della disperazione.
Il diritto internazionale ha senso solo se è universale. Se è selettivo, smette di essere un vincolo e diventa una trappola. Così si possono riassumere le dichiarazioni rilasciate da Mary Ellen O’Connell, docente alla Notre Dame University, in un’intervista alla BBC e le sue affermazioni sono difficilmente contestabili.
Quando in una guerra mettiamo in campo temi come come la legittimità e la coerenza dobbiamo farlo da una posizione e da un atteggiamento paritario. Solo se esiste questo presupposto possiamo discutere di tutto il resto e dei rischi.
Non si può chiedere a chi viene aggredito di difendersi solo con la buona volontà o con i cartelli e manifestazioni di dissenso, come piacerebbe a molte posizioni politiche nostrane probabilmente "demagogizzate" anche da un eccessivo benessere.
Chi oggi accusa l’Ucraina di “essere diventata come la Russia” o di “non voler la pace” dovrebbe porsi una domanda più seria: se fosse il suo Paese a essere minato e bombardato ogni giorno, davvero farebbe ancora discorsi su cosa è etico e cosa no?
Il ritiro dalla Convenzione di Ottawa entrerà in vigore tra sei mesi, come previsto dall’art. 20 del trattato. Fino ad allora, l’Ucraina resta formalmente vincolata. Dopo, potrà decidere liberamente come organizzare la propria difesa. Non significa che inizierà a usare mine antiuomo. Ma significa che, se dovesse farlo, non sarà più soggetta a una condanna automatica.
Questa non è solo la storia di chi si è dovuto arrendere ai metodi del nemico ma è principalmente la storia di chi, dopo aver inciampato in migliaia di mine, ha deciso che camminare in equilibrio su un campo minato non è più un gesto di nobiltà ma solo un suicidio politico e militare.
E la vera ipocrisia è continuare a fare finta che prima fosse un qualcosa di diverso, qualcosa che ci faceva sentire meglio.
