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"Le tombe parlano": il genocidio di Srebrenica | Liberi oltre le illusioni

"Le tombe parlano": il genocidio di Srebrenica

Lapidi nel memoriale del genocidio di Potočari vicino a Srebrenica, Michael Büker, Wikimedia Commons, Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

Storia

di Matteo Salvemini,

Nel 1992 la Bosnia-Erzegovina dichiarò l'indipendenza dalla Jugoslavia: da quel momento si scatenò una brutale guerra durata tre anni che portò al genocidio di Srebrenica.

 

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Il contesto

La guerra terminò nel 1995 con la firma degli Accordi di pace di Dayton, che sancirono la divisione del Paese in tre aree: la Federazione della Bosnia-Erzegovina – abitata da un mix di gruppi etnici – il Distretto di Brčko e la Republika Srpska – a maggioranza serbo-bosniaca. Il conflitto coinvolse l'esercito autoproclamato dell'Armata Republika Srpska (VRS), il Consiglio di difesa croato (HVO) e l'esercito della Repubblica di Bosnia-Erzegovina (ARBiH) e causò la morte di circa 100.000 persone e il trasferimento forzato di oltre due milioni di uomini, donne e bambini, quasi la metà della popolazione della Bosnia prima della guerra. Sarajevo, la capitale della Bosnia, fu teatro di un assedio durato 1.425 giorni, dall'aprile 1992 al febbraio 1996, con la città circondata dall'esercito controllato dai serbi. I civili subirono bombardamenti che causarono 13.952 morti, tra cui circa 1.600 bambini e nel frattempo i serbi bosniaci bruciarono e distrussero monumenti e luoghi pubblici come la Biblioteca Nazionale della città. Una campagna di crimini di guerra, “pulizia etnica” – termine impiegato per la prima volta dai serbi bosniaci – e  genocidio venne condotta principalmente dalle forze serbo-bosniache sotto gli ordini del presidente della Republika Srpska, del presidente serbo e del comandante dell'esercito della Republika Srpska. In misura minore, anche le forze croate bosniache e l'esercito croato, insieme all'ARBiH, furono responsabili di crimini di guerra e “pulizia etnica” (1).


11 luglio: giorno di sangue

Il 9 luglio i carri armati serbi entrarono nella “zona sicura” di Srebrenica (2), superando diversi avamposti delle Nazioni Unite presidiati da soldati olandesi e prendendone 32 in ostaggio. Il tenente colonnello Karremans a Srebrenica richiese immediati attacchi aerei da parte della NATO; la richiesta venne inviata a Zagabria, dove gli ufficiali delle Nazioni Unite esitarono a prendere una decisione in merito. Anche quando due giorni dopo, l’11 luglio mattina, gli aerei NATO vennero autorizzati ad intervenire. Tuttavia, dopo aver colpito con successo due carri armati serbi, venne diramato l’ordine di sospendere con effetto immediato i bombardamenti, poiché i serbi stavano minacciando di uccidere i 32 ostaggi in loro mano. Il pomeriggio di quello stesso giorno, il generale Ratko Mladić, a capo delle unità locali dell'esercito serbo-bosniaco della Republika Srpska, accompagnato dal generale Živanović, comandante del corpo d'armata della Drina e dal generale Krstić, vicecomandante del corpo d'armata della Drina, dichiarava di aver preso ufficialmente il controllo della città (3).

Si era ormai definito il contesto affinché si scrivesse una delle pagine più oscure della storia del coinvolgimento delle Nazioni Unite in Bosnia. Il rappresentante delle Nazioni Unite per i diritti umani Tadeusz Mazowiecki descrisse in questi termini la situazione dopo la presa di controllo serba: «una gravissima violazione dei diritti umani su vasta scala che può essere definita solo barbarica, vista l'ipocrisia e l'inerzia della comunità internazionale dopo l'orrenda tragedia che ha colpito la popolazione di Srebrenica e Zepa» (4). Circa 20.000 Bosniak (5) cercarono rifugio nella base olandese delle Nazioni Unite nella città, da cui molti però vennero respinti. Il giorno dopo, i militari serbi avevano separato tutti i Bosniak adulti da bambini, donne e anziani, facendoli salire su diversi bus. I primi vennero portati in zone di esecuzione dove furono uccisi a migliaia, mentre i secondi vennero condotti appena fuori il perimetro della città di Srebrenica e lasciati camminare a piedi fino alla più vicina città controllata dai musulmani, Kladanj, a 70 km di distanza. Secondo le accuse formulate dall'ICTY nei confronti di Karadžić e Mladić, nei giorni compresi fra il 13 luglio e il 22 luglio si svolsero in diverse località limitrofe alla città svariate esecuzioni sommarie, documentate attraverso svariate foto aeree scattate dagli aerei spia statunitensi e successive indagini sul terreno. Tra agosto e ottobre vi fu pure il tentativo da parte delle forze serbe di spostare i corpi dalle fosse comuni in altri siti. Il trasporto condotto in condizioni frenetiche e segrete causò il disfacimento di molti dei corpi rendendo i successivi tentativi di riconoscimento delle vittime ancora più complicato. Stando al sito “Remembering Srebrenica”, il numero ufficiale dei morti alla fine dei massacri arrivò ad ammontare a 8.372 (6).

Le ripercussioni

Nel luglio 2000, nel quinto anniversario del massacro di Srebrenica, Kofi Annan, il nuovo segretario generale delle Nazioni Unite, succeduto a Boutros-Ghali, rilasciò una lunga dichiarazione che sottolinea come l’episodio continui a rappresentare una necessaria tappa di riflessioni sulle responsabilità internazionali di fronte a crimini atroci: «La più importante lezione di Srebrenica – ovvero il fatto che dobbiamo riconoscere il male per ciò che è, e confrontarlo non con espedienti e compromessi ma con una resistenza implacabile – deve essere ancora pienamente appresa e applicata […] questo giorno commemora un massacro su una scala senza precedenti in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale, un massacro di persone che sono state portate a credere che le Nazioni Unite avrebbero garantito la loro sicurezza» (7). Nel 1999, le Nazioni Unite pubblicarono un report di 155 pagine su quello che poi l’ICTY dichiarò “genocidio di Srebrenica” nel 2001 (8), la cui conclusione recita: “Attraverso un errore, un malinteso e una incapacità di riconoscere lo scopo del male che si presenta davanti a noi, abbiamo fallito a fare la nostra parte per salvare le persone di Srebrenica dalla campagna serba di omicidio di massa” (9).

L’anno scorso, quando le Nazioni Unite fecero passare una risoluzione che proclamava l’11 luglio come giorno della commemorazione del genocidio di Srebrenica, il governo e l’opinione pubblica serba manifestarono un forte disappunto verso la risoluzione, segno che la strada verso il riconoscimento delle atrocità commesse ormai 30 anni fa e la creazione di una memoria collettiva su quei tragici eventi è ancora lunga (10).

CONSIGLI DI LETTURA 

  • David Rohde, Endgame: The Betrayal and Fall of Srebrenica, Europe’s Worst Massacre Since World War II (1997)
  • Eric Gordy, Guilt, Responsibility, and Denial: The Past at Stake in Post-Milošević Serbia (2013)
  • Brunborg, Helge, et al. The Demography of the Srebrenica Massacre: Analysis of Missing Persons. European Journal of Population 19, no. 3 (2003): 229–248
  • UN General Assembly, Report of the Secretary-General Pursuant to General Assembly Resolution 53/35: The Fall of Srebrenica (1999)
  • Dutch Government, Srebrenica: A ‘Safe’ Area – Reconstruction, Background, Consequences and Analyses of the Fall of a Safe Area (NIOD Report, 2002)
  • https://srebrenicamemorial.org/en

Tag: SrebrenicaStoriagenocidiomemoriale

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