La Settimana Economica | n. 34/2025

Settimana di forti contrasti sui mercati: negli Stati Uniti pesa il dilemma tra inflazione e tagli dei tassi, con il dollaro in caduta; in Europa rallenta il commercio, la Germania entra in recessione e il Regno Unito rischia la stagflazione.

SINTESI DELLA SETTIMANA 

La settimana si chiude tra segnali contrastanti: il coraggio di Powell, un’economia fragile e l’ombra persistente dell’inflazione.

Negli Stati Uniti, le tariffe continuano a esercitare pressione, mentre il dollaro ha chiuso in netto calo contro tutte le principali valute. Il timore di un’inflazione ancora elevata, combinato con l’apertura della Federal Reserve a nuovi tagli dei tassi, alimenta l’incertezza sui mercati.

In Europa, il commercio rallenta e i segnali di ripresa restano deboli. La Germania vede il PIL in contrazione e cresce la sfiducia politica, mentre il Regno Unito affronta il rischio di stagflazione: inflazione in risalita, fiducia fragile, mercato del lavoro in difficoltà e una sterlina che suscita nuove preoccupazioni.

INDICATORI MACROECONOMICI

Inflazione: 
Italia: +1,8%, dal precedente +1,7%
Eurozona: +2% dal precedente +2%.
Inghilterra: +3,6% dal precedente +3,4%
Stati Uniti: +2,7% dal precedente +2,4%

Disoccupazione: 
Italia: +6,5% dal precedente +6,1%
Eurozona: +6,2% dal precedente +6,3%
Inghilterra: +4,7% dal precedente +4,6%
Stati Uniti: +4,2% dal precedente +4,1%

Tassi d'interesse:
Eurozona: 2,15%
Stati Uniti: 4,25 - 4,5%
Inghilterra: 4%

PIL: Q2 2025: 
Italia: -0,1%
Eurozona: +0,1%
Inghilterra: +0,3%
Stati Uniti: +3% 

EUR/USD: 1,17166, +0,12% questa settimana, +13,17% da inizio anno
DXY: 97.839, -0,42% questa settimana, -10,44% da inizio anno

MERCATI FINANZIARI

FTSE MIB: 43.310,28, +1,54% questa settimana, +26,09% da inizio anno
STOXX 600: 553,57, +1,25% questa settimana, +8,28% da inizio anno
DAX: 24.359,30, +0,69% questa settimana, +21,84% da inizio anno
IBEX: 15.277,19, +3,03% questa settimana, +30,48% da inizio anno
CAC 40: 7.923,46, +2,6% questa settimana, +7,18% da inizio anno
NASDAQ: 21.496,52, -0,58% questa settimana, +10,78% da inizio anno
S&P 500: 6.466,92, +0,27% questa settimana, +9,55% da inizio anno

US10Y: 4,26%, -6,6 punti base questa settimana, -31 punti base da inizio anno
US02Y: 3,755%, -0,4 punti base questa settimana, -50,1 punti base da inizio anno
US10Y–US02Y: 0,505%, -6,2 punti base questa settimana, +19,1 punti base da inizio anno
IT10Y: 3,518%, 0 punti base questa settimana, -4 punti base da inizio anno
SPREAD: 82,510 punti base, +9,4 punti base questa settimana, -34,6 punti base da inizio anno

VIX: 14,21, -5,77% questa settimana, -17,43% da inizio anno
BTC/USD: $116.895,00, -0,51% questa settimana, +25,24% da inizio anno

FOCUS DELLA SETTIMANA 

STATI UNITI 

Tariffe USA: rischio di maggiori pressioni inflazionistiche e impatto sul dollaro

Secondo un’analisi di Commerzbank, le aziende statunitensi potrebbero trasferire ai consumatori il costo delle nuove tariffe, alimentando così timori per l’economia reale e indebolendo il dollaro.

Michael Pfister, investment policy officer (OCSE), in una nota, sottolinea che l’aumento dei prezzi si tradurrebbe in maggiori pressioni inflazionistiche, inducendo le famiglie a ridurre la spesa. Poiché i consumatori rappresentano il principale motore della crescita statunitense, l’impatto sull’economia sarebbe significativo.

Un’inflazione più alta potrebbe emergere progressivamente nei prossimi dati. Resta incerto, però, se la Federal Reserve, sotto pressione politica per tagliare i tassi, sarebbe disposta a fermare l’allentamento della politica monetaria anche in questo scenario.

Commerzbank prevede un rafforzamento costante dell’euro sul dollaro fino alla fine del 2026. Al momento la valuta europea segna –0,2% a 1,1679 dollari.

Powell apre alla possibilità di un taglio dei tassi a settembre, ma restano timori di inflazione

Il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ha segnalato che la banca centrale potrebbe ridurre i tassi già dalla prossima riunione di settembre, alla luce dei segnali di raffreddamento del mercato del lavoro.

In un discorso pronunciato in Wyoming, Powell ha riconosciuto che “l’equilibrio dei rischi sembra cambiare”. Il mercato del lavoro appare stabile, ma si tratta di un equilibrio fragile, con il rischio crescente di maggiori licenziamenti e disoccupazione in aumento. “È una situazione insolita”, ha detto, “in cui i rischi di un peggioramento rapido stanno aumentando”.

Powell ha però ridimensionato le aspettative di una serie aggressiva di tagli, ricordando che l’inflazione resta sopra il target del 2% da oltre quattro anni. Gli effetti delle tariffe sui prezzi al consumo sono già visibili e potrebbero accumularsi nei prossimi mesi. Per la FED la questione è se questi rincari possano trasformarsi in un problema più duraturo, ad esempio attraverso richieste salariali più alte. Al momento, tuttavia, il mercato del lavoro non appare così teso da rendere probabile questo scenario.

Il presidente della Fed ha ribadito che l’istituto focalizzerà la propria attenzione a evitare un aumento delle aspettative di inflazione per famiglie e imprese. La combinazione di un mercato del lavoro in indebolimento e di un’inflazione temporaneamente più alta pone la banca centrale in una “situazione difficile”. Dopo il taglio complessivo di un punto percentuale rispetto a un anno fa, i tassi restano ancora su livelli restrittivi, ma la Fed è pronta ad “aggiustare la politica” se l’evoluzione economica lo renderà necessario.

La Fed rivede la strategia di lungo termine: stop al superamento intenzionale del target d’inflazione

La Federal Reserve ha annunciato una revisione della propria strategia a lungo termine, dichiarando che non permetterà più all’inflazione di superare volontariamente l’obiettivo del 2%, neppure dopo periodi di prezzi stabili.

Il presidente Jerome Powell, in un discorso di venerdì, ha ammesso che la scelta del 2020 di consentire un “moderato superamento” si era rivelata irrilevante: “Non c’era nulla di intenzionale o moderato nell’inflazione che si è manifestata pochi mesi dopo”. Quell’approccio, concepito in un contesto di crescita debole e bassa inflazione, ha finito per ritardare la risposta della banca centrale all’ondata di rincari dei primi anni post 2020.

Le modifiche approvate all’unanimità dal Federal Open Market Committee e dai governatori delle banche regionali rappresentano la prima revisione del documento politico dal 2020. Pur confermando l’obiettivo del 2%, il testo adotta un linguaggio più equilibrato sugli obiettivi di occupazione: è stato eliminato il riferimento a “deficienze” nella disoccupazione, che aveva alimentato l’idea che la Fed non sarebbe intervenuta per raffreddare un mercato del lavoro troppo teso.

Il nuovo documento riafferma la necessità di bilanciare i due mandati – stabilità dei prezzi e massima occupazione – soprattutto in un contesto in cui il mercato del lavoro mostra segnali di indebolimento mentre le tariffe continuano a rappresentare un rischio inflazionistico.

EUROPA 

Europa tra tariffe, commercio in rallentamento e segnali deboli di ripresa

Le esportazioni europee verso gli Stati Uniti hanno registrato a giugno un calo annuo del 10%, scendendo a poco più di 40 miliardi di euro, il livello più basso dalla fine del 2023. L’avanzo commerciale complessivo dell’UE si è ridotto a 1,8 miliardi di euro, contro i 12,7 miliardi di maggio, secondo i dati Eurostat. Il calo riflette la pressione delle tariffe imposte dal presidente Trump, che hanno colpito in particolare il comparto chimico, settore chiave per molte economie europee. Parallelamente, anche le esportazioni verso la Cina hanno segnato un forte rallentamento, evidenziando la fragilità del commercio globale.

Al momento, l’UE ha sospeso per sei mesi il pacchetto di contromisure tariffarie preparato dopo l’annuncio di Washington, rendendo improbabili nuove ritorsioni a breve.

In questo contesto, la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde ha invitato il continente ad ampliare i propri orizzonti commerciali. “L’Europa dovrebbe approfondire i suoi legami con altre giurisdizioni, valorizzando i punti di forza della sua economia orientata all’export”, ha dichiarato al World Economic Forum di Ginevra. Secondo Lagarde, rafforzare le istituzioni e la resilienza economica sarà cruciale per aumentare l’influenza internazionale dell’euro. L’attuale accordo con Washington prevede una tariffa media effettiva tra il 12% e il 16% sulle importazioni statunitensi di beni europei, con un’aliquota base del 15%. “Gli accordi più recenti hanno attenuato, ma non eliminato, l’incertezza globale”, ha aggiunto, ricordando che la BCE valuterà gli effetti dell’intesa nelle nuove proiezioni di settembre.

Sul fronte macro, i dati più recenti offrono segnali contrastanti. L’indice PMI composito flash dell’Eurozona è salito ad agosto a 51,1 punti dai 50,9 di luglio, massimo da maggio 2024, indicando una crescita trimestrale del PIL dello 0,2% dopo lo 0,1% del secondo trimestre. La spinta è arrivata soprattutto dal manifatturiero, tornato a espandersi per la prima volta dal giugno 2022. Francia e Germania mostrano progressi limitati, con la prima ancora sotto quota 50 e la seconda sostenuta dall’industria ma frenata dai servizi. Il resto dell’area euro continua a sovraperformare, seppur con una lieve perdita di slancio.

Secondo Barclays, il quadro resta di espansione “frustrantemente lenta”. L’occupazione registra un modesto incremento, ma l’inflazione nel comparto servizi rimane un rischio. La BCE, che da giugno 2024 ha già tagliato i tassi otto volte portando il tasso di deposito al 2%, conserva margini per ulteriori allentamenti.

Più dinamico il Regno Unito, dove il PMI composito di agosto è salito a 53,0 punti dai 51,5 di luglio, segnalando la crescita più rapida da un anno (+0,3% trimestrale). Il miglioramento è trainato dai servizi, mentre la manifattura mostra segnali di stabilizzazione. Restano però fragilità strutturali: domanda interna debole, export in calo e pressioni salariali. L’inflazione persistente limita lo spazio della Banca d’Inghilterra, che difficilmente potrà procedere con ulteriori tagli dei tassi nel breve termine.

Germania: PIL in calo e fiducia politica in crisi

Dopo un avvio d’anno positivo, favorito dagli ordini anticipati per aggirare le tariffe statunitensi, l’economia tedesca è tornata in contrazione. Secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica, nel secondo trimestre il PIL si è ridotto dello 0,3% rispetto ai tre mesi precedenti, peggiorando rispetto alla stima iniziale di –0,1%.

Il calo riflette soprattutto la debolezza della produzione industriale, peggiore delle attese, e una revisione al ribasso dei consumi delle famiglie (+0,1%). La spesa pubblica è salita dello 0,8%, ma investimenti, costruzioni ed esportazioni nette hanno registrato una flessione. Nonostante la contrazione, i dati PMI di S&P Global hanno segnalato un clima leggermente più ottimistico, forse sostenuto dalla prospettiva di stimoli fiscali. Berlino ha infatti modificato la regola costituzionale del “freno al debito”, escludendo la spesa per la difesa (oltre l’1% del PIL) dai vincoli di bilancio, e ha creato un fondo straordinario da 500 miliardi di euro per le infrastrutture.

Le tariffe statunitensi restano tuttavia un freno rilevante, mentre un accordo commerciale tra UE e USA è ancora in fase di negoziazione.

Il contesto economico difficile si riflette anche sul piano politico. Il cancelliere Friedrich Merz, che aveva promesso di “rimettere in carreggiata” l’economia entro l’estate, si trova ora sotto pressione. A poco più di 100 giorni dal suo insediamento, ha intensificato l’attività diplomatica, guidato la risposta europea all’iniziativa di pace del presidente Trump per l’Ucraina e avviato una stretta sull’immigrazione. Tuttavia, la più grande economia europea resta ferma.

Le revisioni statistiche hanno mostrato che la recessione degli ultimi due anni è stata più profonda del previsto, lasciando la Germania praticamente stagnante dal periodo pre-Covid. Dopo anni in cui si è avvicinata stabilmente alla piena occupazione, la disoccupazione cresce, la produzione cala e i profitti si comprimono.

Merz, politico con esperienza nel settore privato – una rarità in Germania – aveva fatto della crescita la priorità del suo programma. Ma le prime misure non hanno ancora prodotto risultati tangibili. “Merz ha promesso un punto di svolta, ha parlato di mettere un booster alla crescita. Ma sul campo gli elettori vedono licenziamenti di massa e prezzi elevati”, ha commentato Manfred Güllner, direttore dell’istituto Forsa.

Il malcontento è in aumento: oltre i due terzi degli elettori si dichiarano insoddisfatti del cancelliere, con un balzo negativo di 18 punti percentuali in tre mesi. Inoltre, il 62% degli intervistati si aspetta che l’economia continui a peggiorare.

Regno Unito: inflazione in risalita, fiducia fragile e sterlina sotto i riflettori

L’inflazione britannica ha raggiunto a luglio il 3,8% annuo, massimo degli ultimi 18 mesi e superiore sia al 3,6% di giugno sia alla stima del 3,7% degli analisti. Secondo l’Office for National Statistics, l’aumento è stato trainato soprattutto dal caro tariffe aeree, il più marcato mai registrato a luglio dal 2001, oltre che dal rialzo dell’inflazione alimentare (4,9%) e dei servizi (5%).

Il dato rafforza l’ipotesi che la Banca d’Inghilterra possa sospendere i tagli ai tassi nei prossimi mesi. Nella sua ultima riunione, la BoE aveva ridotto il tasso di riferimento al 4%, ma con un voto risicato (5-4), segnale di forti divisioni interne tra l’esigenza di sostenere la crescita e la necessità di riportare l’inflazione verso il target del 2%. Secondo le proiezioni ufficiali, i prezzi potrebbero salire al 4% nei prossimi mesi e tornare gradualmente all’obiettivo soltanto nel 2027.

Sul fronte reale, il PIL ha segnato un +0,3% nel secondo trimestre, in rallentamento dallo 0,7% dei primi tre mesi. Anche il mercato del lavoro mostra segnali di debolezza: il tasso di disoccupazione è in aumento e il numero di lavoratori sui libri paga è sceso tra maggio e giugno.

Nonostante questo quadro complesso, la fiducia dei consumatori ad agosto ha registrato un lieve miglioramento. L’indice GfK è salito a –17 punti da –19, il livello più alto del 2025 ma ancora ben al di sotto la media storica. L’aumento è stato trainato da un miglioramento della percezione delle finanze personali, sostenuto dal taglio dei tassi della BoE che ha alleggerito i costi dei mutui. Tuttavia, restano diffusi timori per inflazione e disoccupazione. “Il miglioramento delle finanze personali è positivo, ma ci sono ancora molte nubi all’orizzonte”, ha avvertito Neil Bellamy di GfK.

Sul mercato valutario, la sterlina resta sostenuta dalle attese sui prossimi dati inflattivi. Secondo Antonio Ruggiero, strategist di Convera, se l’inflazione dovesse superare le previsioni, la valuta britannica potrebbe oltrepassare la resistenza chiave di 1,36 dollari. Attualmente la sterlina scambia a 1,3532 (–0,1%) dopo aver toccato un massimo di un mese a 1,3594. I mercati prezzano al momento soltanto 15 punti base di tagli entro fine anno, segno che la BoE potrebbe mantenere un atteggiamento prudente, frenata da salari ancora in crescita (+5% nel settore privato) e da un PIL migliore del previsto.

PROSPETTIVE 

Il quadro macroeconomico internazionale evidenzia una resilienza superiore alle attese, ma anche l’emergere di fragilità crescenti legate alle politiche tariffarie statunitensi e al rallentamento del commercio globale. Dopo il rimbalzo del primo trimestre, trainato dagli acquisti anticipati delle imprese americane, molti Paesi hanno registrato un netto raffreddamento della crescita nel secondo trimestre. Irlanda, Regno Unito e Svizzera hanno visto un brusco rallentamento, mentre Spagna e Polonia hanno mantenuto una dinamica più solida. Il Giappone ha sorpreso in positivo, confermando cinque trimestri consecutivi di espansione.

Sul fronte del commercio, i dati segnalano un cambio di tendenza: il volume degli scambi internazionali è cresciuto rapidamente all’inizio dell’anno (+1,9% nel primo trimestre), ma ha iniziato a contrarsi in primavera (–1% ad aprile, –0,9% a maggio), e le prospettive per l’estate restano deboli. La crescente incertezza legata alle tariffe rende più complessa la pianificazione economica e amplifica i rischi per la stabilità finanziaria.

A livello regionale, la Nuova Zelanda rappresenta un caso emblematico: la crescita si è bloccata sotto il peso di dazi USA del 15% e di uno “shock di incertezza” che ha frenato consumi, investimenti e mercato immobiliare. Nonostante un massiccio ciclo di allentamento monetario, la ripresa tarda a manifestarsi.

In Asia, il Giappone si trova in una fase opposta: inflazione persistente oltre il 3% e crescita positiva rafforzano l’ipotesi di un imminente rialzo dei tassi da parte della Bank of Japan, forse già in autunno. Il ritorno a una normalizzazione monetaria potrebbe segnare un passaggio storico dopo anni di politica ultra-accomodante.

Nel complesso, lo scenario globale resta incerto: la prima ondata di tariffe è stata assorbita meglio del previsto, ma il pieno impatto deve ancora emergere. Se nuove misure protezionistiche verranno introdotte, il rischio è quello di un deterioramento ulteriore dei flussi commerciali e di una crescita mondiale più disomogenea, con aree resilienti ma anche economie vulnerabili esposte a shock esterni.

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La rubrica settimanale a cura di Viktor Todorov che analizza le principali notizie economiche e l’andamento dei mercati finanziari.

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