La Settimana Economica | n. 32/2025

La settimana si chiude con un quadro globale segnato da un equilibrio sempre più fragile, in cui resilienza e vulnerabilità convivono in un contesto di crescenti rischi economici e politici.

SINTESI DELLA SETTIMANA

Negli Stati Uniti, il mercato del lavoro mostra una solidità solo apparente: dietro la facciata si celano segnali di rallentamento, pressioni politiche sulle statistiche ufficiali e reazioni nervose dei mercati. A ciò si aggiunge una strategia economica improntata al protezionismo e a una redistribuzione regressiva, con effetti distorsivi sulla crescita e un crescente rischio istituzionale.

Nel Regno Unito, la Banca d’Inghilterra affronta la più profonda divisione interna del suo board dalla nascita del Comitato di Politica Monetaria, mentre il ciclo di allentamento monetario procede con lentezza e incertezza. La fragilità delle statistiche occupazionali, aggravata da vincoli di bilancio e tagli obbligati, rende ancora più complesso calibrare le politiche in un’economia che si muove su un filo sottile tra sostegno alla crescita e contenimento dell’inflazione.

INDICATORI MACROECONOMICI

Inflazione:
Italia: +1,8%, dal precedente +1,7%
Eurozona: +2% dal precedente +2% 
Inghilterra: +3,6% dal precedente +3,4%
Stati Uniti: +2,7% dal precedente +2,4%

Disoccupazione: 
Italia: +6,5% dal precedente +6,1%
Eurozona: +6,2% dal precedente +6,3%
Inghilterra: +4,6% dal precedente +4,4%
Stati Uniti: +4,2% dal precedente +4,1%

Tassi d'interesse: 
Eurozona: 2,15%
Stati Uniti: 4,25 - 4,5%
Inghilterra: 4%

PIL: Q2 2025: 
Italia: -0,1%
Eurozona: +0,1%
Inghilterra: +0,7%
Stati Uniti: +3% 

EUR/USD: 1,16407, +0,46% questa settimana, +12,43% da inizio anno 
DXY: 98264, -0,41% questa settimana, -10,08% da inizio anno

MERCATI FINANZIARI

FTSE MIB: 41392,99, +3,63% questa settimana, +20,51% da inizio anno
STOXX 600: 547,08, +2,27% questa settimana, +7,21% da inizio anno 
DAX: 24162,86, +3,15% questa settimana, +21,8% da inizio anno 
IBEX: 14824,90, +4,90% questa settimana, +27,90% da inizio anno 
CAC 40: 7 743,0 EUR, +2,6% questa settimana, +4,9% da inizio anno
NASDAQ: 21450,01, +3,87% questa settimana, +10,54% da inizio anno 
SP 500: 6389,44, +2,43% questa settimana, +8,24% da inizio anno 
US10Y: 4,29%, +6,9 punti base questa settimana, -28 punti base da inizio anno 
US02Y: 3,76%, +7 punti base questa settimana, –28 punti base da inizio anno 
US10Y-US02Y: 0,51%, -3 punti base questa settimana, +18,1 punti base da inizio anno
IT10Y: 3,50%, -2 punti base questa settimana, -1 punto base da inizio anno
SPREAD: 82,83 punti base, -5 punti base questa settimana, -34,7 punti base da inizio anno 
VIX: 15,15, -25,63% questa settimana, -11,97% da inizio anno
BTC: $116769,00, +2,23% questa settimana, +25,10% da inizio anno

FOCUS DELLA SETTIMANA 

 

STATI UNITI: Equilibrio Precario  

Mercato del lavoro: stabilità apparente, rallentamento reale
Negli Stati Uniti il mercato del lavoro presenta ancora un volto formalmente solido, ma i segnali di indebolimento si moltiplicano. Nella settimana conclusa il 2 agosto le richieste iniziali di sussidi di disoccupazione sono salite a 226.000 unità, massimo da un mese e sopra le attese. A luglio la creazione di posti di lavoro è risultata ben inferiore alle previsioni e le stime di maggio e giugno sono state riviste al ribasso per un totale di 260.000 occupati in meno. Alla base c’è l’incertezza generata dalle politiche tariffarie dell’amministrazione Trump e, soprattutto, la riduzione dell’offerta di lavoro causata dalle restrizioni all’immigrazione.

Nonostante ciò, le imprese non stanno procedendo a licenziamenti di massa, preferendo ridurre il personale attraverso il turnover naturale. Il tasso di disoccupazione rimane al 4,2%, ma chi perde il lavoro impiega sempre più tempo a trovarne un altro, segnale di un indebolimento della domanda di lavoro.

Produttività in ripresa
Sul fronte dell’efficienza, il secondo trimestre ha registrato un rimbalzo: la produttività del settore non agricolo è cresciuta del 2,4% dopo il calo dell’1,8% del primo trimestre, superando le attese. La produzione per lavoratore è aumentata del 3,7%, massimo dal 2023, mentre la crescita del costo unitario del lavoro è rallentata. Questi risultati sono legati anche agli investimenti in automazione e intelligenza artificiale, che stanno aumentando l’efficienza e riducendo le pressioni salariali.

Pressioni politiche sulle statistiche
La decisione di Donald Trump di licenziare Erika McEntarfer, capo del Bureau of Labor Statistics, accusandola di aver diffuso dati “manipolati”, ha sollevato timori sulla credibilità delle statistiche ufficiali. Un simile episodio, insolito per un’economia avanzata, avvicina gli Stati Uniti a dinamiche tipiche dei mercati emergenti, dove la produzione di dati è percepita come strumento politico.

Reazione dei mercati e aspettative sulla Fed
L’incertezza ha avuto effetti immediati sui mercati finanziari. La prospettiva di un taglio dei tassi già a settembre è tornata a essere pienamente scontata. La curva dei rendimenti si è irripidita e l’indice di volatilità del Tesoro ha registrato un netto rimbalzo, mentre il dollaro ha invertito la tendenza rialzista. Le attese di una politica monetaria più accomodante si sono rafforzate dopo che Trump ha nominato Stephen Miran, critico della gestione di Jerome Powell, nel Board della Fed.

Politica economica: tra protezionismo e redistribuzione regressiva
Il quadro generale della strategia economica dell’amministrazione Trump combina protezionismo, riduzione delle tasse per i ceti più alti e un progressivo spostamento del carico fiscale verso le fasce più deboli. Le tariffe, oltre a non stimolare la produzione interna, agiscono come una tassa regressiva che trasferisce oneri dai ricchi ai poveri. Le grandi imprese tecnologiche e finanziarie beneficiano di protezioni, mentre le piccole aziende e i consumatori subiscono l’aumento dei costi.

Rischio istituzionale e prospettive
Il metodo di governo, fatto di pressioni sulle agenzie indipendenti, uso strumentale dei dati e forte concentrazione decisionale, mina trasparenza, neutralità e prevedibilità delle politiche economiche. Per ora, l’economia americana regge grazie al boom dell’intelligenza artificiale e agli investimenti nei data center. Ma quando questa spinta si esaurirà, resterà un’economia più lenta, con un’occupazione stagnante, disuguaglianze crescenti e istituzioni indebolite.

Una lezione per l’Europa
L’esperienza statunitense conferma che rispondere al protezionismo con misure simmetriche sarebbe controproducente. Una strategia europea mirata, fondata su regolamentazione e diplomazia economica, può difendere meglio consumatori e imprese, evitando di alimentare una spirale di ritorsioni e danni reciproci.


Regno Unito: tra BoE spaccata e dati occupazionali in crisi

Taglio dei tassi tra divisioni e cautela
La Banca d’Inghilterra ha ridotto il tasso di riferimento al 4%, ma la decisione è stata accompagnata da un significativo dissenso interno: quattro dei nove membri del Comitato di politica monetaria (MPC) hanno votato per mantenere invariato il costo del denaro. È il primo doppio scrutinio dall’istituzione dell’MPC nel 1997 e segnala un ciclo di allentamento monetario che potrebbe presto concludersi.

L’esito ha avuto un impatto immediato sui mercati: i rendimenti dei gilt a breve termine sono saliti bruscamente, le azioni hanno perso terreno e la sterlina si è rafforzata di mezzo centesimo sul dollaro. Le aspettative per ulteriori tagli nel 2025 si sono ridimensionate, con i mercati che ora prezzano un’unica riduzione al 3,75% entro febbraio 2026.

Un ciclo di allentamento lento e condizionato
Il governatore Andrew Bailey e la maggioranza del board mantengono un approccio “graduale e attento”, ma il dibattito interno riflette le difficoltà dell’economia britannica. Il mercato del lavoro sta mostrando segni di indebolimento, complice l’aumento delle imposte che graveranno sui datori di lavoro, mentre l’inflazione, pur ridotta rispetto ai picchi precedenti, sta dando segnali di risalita. La BoE ha rivisto al rialzo la stima di picco per settembre, dal 3,7% al 4%, avvertendo che rincari alimentari e nuove richieste salariali potrebbero alimentare pressioni di lungo periodo.

Le nuove proiezioni indicano che l’obiettivo del 2% sarà raggiunto solo nel secondo trimestre del 2027, tre mesi più tardi rispetto alle stime di maggio. La traiettoria appare molto più lenta rispetto a quella della BCE, che prevede di mantenere l’inflazione sotto target già nei prossimi anni dopo otto tagli dal giugno 2024, contro i cinque della BoE.

Il contesto storico e internazionale
Il ciclo di allentamento britannico, secondo Deutsche Bank, è già il terzo più lungo dalla Seconda guerra mondiale. Se la previsione di un tasso al 3,25% entro il prossimo febbraio, con quattro tagli da 25 punti base, dovesse realizzarsi, diventerebbe il più esteso dal 1945. In termini di intensità, nessun ciclo superiore a due trimestri ha avuto un allentamento così contenuto.

Il tasso terminale stimato sarebbe 25 punti base sopra le attese per la Federal Reserve a fine 2026 e leggermente superiore alla media storica dell’ultimo trentennio di indipendenza della BoE. Come riconosce la stessa banca centrale, l’ottimismo è venuto meno e le “tempeste geoeconomiche” richiedono prudenza, in un equilibrio complesso tra sostegno alla crescita e controllo dell’inflazione.

Le fragilità delle statistiche sul lavoro
Accanto alle sfide di politica monetaria, la Banca d’Inghilterra deve fare i conti con un problema strutturale: la scarsa affidabilità delle statistiche occupazionali prodotte dall’Office for National Statistics (ONS). La questione non è politica, come nel caso statunitense, ma tecnica e legata alla qualità della raccolta dati.

Nel primo trimestre 2025, il tasso di risposta alla Labour Force Survey è sceso al 21%, un dato molto basso rispetto al 59,5% registrato a luglio dal Bureau of Labor Statistics negli Stati Uniti. Per invertire la tendenza, l’ONS ha intensificato il reclutamento di intervistatori con l’obiettivo di arrivare a 1.500 unità, ma a inizio anno erano ancora poco più di 1.000.

Vincoli di bilancio e riforme necessarie
Secondo l’ex direttore Ian Diamond, l’aumento imprevisto dei salari interni a seguito dell’ondata inflattiva del 2021 ha obbligato l’ONS a tagliare altre voci di spesa, limitando le risorse disponibili per migliorare la raccolta dati. Un rapporto governativo, firmato da Robert Devereux, ha evidenziato carenze di governance e gestione del rischio, oltre ai vincoli finanziari.

Il ritorno a standard qualitativi adeguati potrebbe richiedere fino al 2027. Nel frattempo, la mancanza di dati affidabili rende più difficile per la Banca d’Inghilterra calibrare le proprie decisioni. Come ha sottolineato Andrew Bailey, “è un problema sostanziale quando non sappiamo quante persone stanno partecipando all’economia”.

Nuova leadership per l’ONS
Per affrontare la crisi, a giugno è stata introdotta una nuova leadership: Darren Tierney, funzionario pubblico con oltre vent’anni di esperienza, e James Benford, ex direttore dei dati della BoE, sono stati nominati per guidare rispettivamente la struttura operativa e le statistiche economiche, sociali e ambientali. L’obiettivo dichiarato è ricostruire l’affidabilità delle indagini e migliorare la qualità delle statistiche chiave.

Gli esperti ritengono improbabile che si arrivi a un livello di interferenza politica paragonabile a quello osservato negli Stati Uniti, ma la debolezza tecnica dell’ONS resta una criticità che potrebbe condizionare a lungo sia le decisioni di politica monetaria sia la percezione pubblica dell’economia britannica.

 

PROSPETTIVE 

Prospettive globali: mercati in bilico tra inflazione, tariffe e dati macro

La prossima settimana sarà cruciale per i mercati internazionali, con dati economici e decisioni di politica monetaria destinati a influenzare il sentiment degli investitori. Negli Stati Uniti, l’attenzione sarà rivolta ai dati sull’inflazione di luglio, mentre in Europa lo sguardo si concentrerà sul PIL del Regno Unito e sulla produzione industriale dell’Eurozona. In Asia, un flusso massiccio di dati dalla Cina offrirà indicazioni sullo stato della seconda economia mondiale, mentre le decisioni delle banche centrali di Australia e Thailandia, insieme agli aggiornamenti macro da India, Singapore e Malesia, completeranno il quadro globale.


Stati Uniti: inflazione sotto osservazione e timori legati alle tariffe

Martedì verranno pubblicati i dati sull’inflazione statunitense di luglio, considerati il principale catalizzatore per i mercati. Dopo le recenti letture deboli sul mercato del lavoro, le probabilità di un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve a settembre sono aumentate significativamente. D'altra parte, le tariffe entrate in vigore il 7 agosto contro un’ampia gamma di Paesi potrebbero riaccendere le pressioni sui prezzi.

Il recente PMI servizi ISM ha evidenziato un netto aumento del sottoindice dei prezzi pagati, segnalando che l’inflazione resta un fattore da non sottovalutare. Gli economisti di Citi stimano un modesto incremento dei prezzi dei beni di base a luglio, con effetti più marcati attesi in autunno. L’eventuale aumento non dovrebbe comunque ostacolare la Fed nel procedere a un taglio dei tassi, soprattutto in presenza di un mercato del lavoro in rallentamento.

Giovedì sarà la volta dei dati sui prezzi alla produzione, mentre in chiusura di settimana arriveranno le richieste di sussidio di disoccupazione, le vendite al dettaglio di luglio e l’indagine preliminare dell’Università del Michigan sul sentiment dei consumatori. Gli investitori monitoreranno inoltre eventuali annunci su nuove tariffe mirate a settori specifici, in particolare quello farmaceutico.

Wall Street è divisa tra rally tecnologico e incertezze geopolitiche e i mercati azionari statunitensi chiudono la settimana con un quadro contrastante: l’S&P 500 è rimasto stabile, mentre il Nasdaq ha segnato un nuovo record grazie alla forza del comparto tecnologico e alle attese di un allentamento monetario. L’ottimismo legato agli utili e al tech ha sostenuto i futures, compensando in parte le preoccupazioni per le tensioni commerciali e la volatilità in alcuni settori.

Donald Trump continua a usare le tariffe come leva di politica estera, minacciando dazi secondari sui clienti del petrolio russo e imponendo nuove barriere contro Brasile e India, membri dei BRICS. Questo approccio rafforza la dimensione transazionale delle relazioni economiche USA, ma aumenta il rischio di shock geopolitici e commerciali improvvisi.

Guardando a inflazione percepita e reazioni dei consumatori,  il sondaggio della Fed di New York indica aspettative di inflazione a uno, tre e cinque anni al 3%, stabilmente sopra il target del 2% della banca centrale. Sebbene tali livelli si siano già osservati anche in periodi di bassa inflazione, la persistenza di questa percezione rischia di ancorare le aspettative su livelli elevati, condizionando le scelte di politica monetaria e il comportamento dei consumatori.


Eurozona: dati misti e impatto indiretto delle tariffe USA

La settimana sarà relativamente leggera sul fronte macro europeo. Lunedì verranno pubblicati i dati finali sull’inflazione di luglio per l’Italia, seguiti da Germania e Spagna mercoledì e dalla Francia giovedì. Martedì sarà diffuso l’indice ZEW tedesco di agosto, utile per misurare l’impatto psicologico delle tariffe USA sui beni europei.

Giovedì usciranno i dati riguardanti la produzione industriale dell’Eurozona per giugno e la seconda stima del PIL del secondo trimestre. Sul fronte delle emissioni sovrane, la Germania offrirà 5 miliardi di euro in Bund 2035 mercoledì.

La BCE ha già segnalato come l’aumento delle esportazioni cinesi verso l’Europa, favorito dalle deviazioni commerciali post-tariffe USA, stia penalizzando settori strategici come automotive e chimica. Secondo la professoressa Dalia Marin, per evitare una deindustrializzazione simile a quella vissuta dagli USA negli anni 2000, l’accesso delle imprese cinesi al mercato europeo dovrebbe essere subordinato a joint venture con partner locali.


Regno Unito: taglio dei tassi e prospettive incerte

La Banca d’Inghilterra ha ridotto i tassi di 25 punti base al 4%, ma con un voto estremamente divisivo (4 membri su 9 favorevoli a mantenerli invariati). L’istituto prevede un’inflazione al 4% a settembre, ben oltre il target, e un’economia in rallentamento. Il voto serrato e le preoccupazioni per la tenuta della crescita hanno spinto al rialzo i rendimenti e la sterlina, riducendo le aspettative di un ulteriore taglio a novembre.

Questa settimana i riflettori saranno puntati sui dati di martedì su occupazione e salari, seguiti giovedì da PIL del secondo trimestre e produzione industriale di giugno. Sono attesi anche gli aggiornamenti dell’indagine BRC sulle vendite al dettaglio e dell’indice RICS sul mercato immobiliare.


Asia: focus su Cina e Giappone

In Asia, la Cina pubblicherà venerdì un pacchetto completo di dati per luglio: produzione industriale, investimenti in immobilizzazioni, vendite al dettaglio e indicatori immobiliari. Le attese sono per un rallentamento della produzione (dal +6,8% al +5,8%) e degli investimenti (dal +2,8% al +2,7%), mentre i consumi dovrebbero mantenere un ritmo solido (+5% da +4,8%) grazie alla spinta del turismo estivo.

Il Giappone diffonderà i dati sul PIL del secondo trimestre, con Goldman Sachs che stima un +0,1% annualizzato grazie alla resilienza dei consumi e alla solidità della spesa in conto capitale, nonostante la debolezza delle esportazioni. La BoJ (Bank of Japan), pur prevedendo una moderata ripresa, resta cauta sull’inflazione sottostante, lontana dal target del 2%, e dovrebbe mantenere invariata la politica monetaria almeno fino a inizio 2026.


Equilibrio precario per l’economia globale

La congiuntura internazionale resta sospesa tra segnali di resilienza e rischi crescenti. La spinta tecnologica negli Stati Uniti e la solidità della domanda cinese offrono ancora sostegno alla crescita, ma le tensioni commerciali, le tariffe mirate e le aspettative di inflazione persistentemente sopra target in diverse aree creano un contesto instabile. La strategia tariffaria di Washington, seppur efficace come leva negoziale, potrebbe innescare contraccolpi globali, mentre le economie europee e asiatiche cercano un difficile equilibrio tra difesa della competitività e apertura ai mercati internazionali.

Tag: economiaindicatori macroeconomicimercati finanziariSettimana EconomicalavoroOccupazione

La Settimana Economica

La rubrica settimanale a cura di Viktor Todorov che analizza le principali notizie economiche e l’andamento dei mercati finanziari.

Continua a leggere

Tutti gli articoli