Il modello del distretto tessile
Prato è una città il cui sviluppo è stato favorito dalla posizione geografica: situata nella valle del Bisenzio e lungo l’omonimo fiume, ha potuto e saputo sfruttare strategicamente i corsi d’acqua per lo sviluppo dell’industria tessile. La lavorazione dei tessuti ed in particolare della lana a Prato vede la sua origine nel Medioevo. Per parlare di lavorazione industriale della lana bisognerà però aspettare l’Ottocento.
La vera peculiarità del distretto pratese è stata la lavorazione della lana rigenerata, ottenuta da stracci (i c.d. cenci) che, dagli anni ‘60-‘80 del Novecento, sono stati affiancati al nylon (pur lasciando aperta la strada alla lavorazione della tradizionale lana cardata) (1).
Quello pratese dunque è un distretto industriale, in particolare tessile, figlio del processo di industrializzazione che in Italia ha visto il suo culmine durante il secondo dopoguerra.
Ma cosa sono i distretti industriali?
La letteratura definisce “distretti industriali” quegli agglomerati di piccole e medie imprese (PMI) che condividono una stessa localizzazione, sono specializzate in una stessa attività produttiva e in virtù di questo beneficerebbero di una serie di particolari vantaggi (2). Il loro studio e la loro individuazione nasce con Alfred Marshall e viene poi recepita in Italia da Giacomo Becattini, che li definisce essenzialmente «come un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territoriale circoscritta di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali». Va da sé che gli elementi costitutivi sono il territorio, la comunità di persone e di imprese (3).
La questione demografica e la comunità cinese
L’arrivo dei cinesi a Prato si collega con un momento di crisi per il settore tessile tradizionale. Negli anni ‘80 la domanda di tessuti cardati di lana rigenerata (tipico prodotto pratese) stava diminuendo e il sistema iniziava ad attraversare un periodo di crisi dal quale uscirà all’inizio degli anni ‘90 con una struttura ridimensionata sotto diversi aspetti.
Negli anni del boom economico (cioè gli anni ‘50-’60) però, fermo restando la lavorazione della tradizionale lana rigenerata, si era sviluppato un altro settore: la maglieria. È in questo settore che, dagli anni ‘90, nonostante la ripresa generalizzata, i maglifici pratesi iniziano ad avere difficoltà a causa della mancanza di persone da impiegare nel lavoro a domicilio e nella subfornitura, cioè nella cucitura dei capi di maglieria.
È stato in queste circostanze che lo sviluppo industriale si è legato a quello demografico: negli anni ‘90 a Prato iniziano ad arrivare i primi cinesi: si trattava in realtà di immigrati provenienti da Wenzhou, già presenti in Toscana nei vicini Campi Bisenzio, dove lavoravano nella pelletteria sin dagli inizi degli anni ‘80.
Prato ha rappresentato un contesto favorevole per questi immigrati perché si chiedeva loro il possesso di competenze semplici e una modesta somma di denaro per acquistare macchine da cucire.
L’aspetto interessante è che i cinesi sono giunti a Prato inizialmente per colmare una domanda di lavoro a domicilio e di subfornitura (nella maglieria prima e nell’abbigliamento poi) - motivo per cui inizialmente la loro accoglienza è stata positiva - per poi iniziare gradualmente ad acquisire una posizione autonoma che li porterà a diventare veri e propri imprenditori capaci di portare prima alla nascita di un settore secondario autonomo, quello della maglieria che allora era in crisi, e poi di uno nuovo in Italia: il pronto moda. Il modello produttivo del “pronto moda” si differenzia drasticamente da quello tradizionale pratese, che era basato su calendarizzazione e stagionalità del lavoro produttivo. Questo nuovo modello, invece, si caratterizza per essere basato su una filiera produttiva estremamente veloce, flessibile e a basso costo, la cui peculiarità maggiormente conosciuta è la capacità di imitare in tempi brevi i trend dell’abbigliamento, e immettere sul mercato nuovi capi a prezzi competitivi.
Il risultato di tutto ciò è che negli anni ‘90 Prato è diventata sede della più grande agglomerazione di imprese cinesi (di cui l’80% nell’abbigliamento, vedi Figura 1) e la più numerosa comunità di immigrati cinesi in Italia (dopo Milano) (4).
In un decennio il numero dei cinesi a Prato cresce da poco più di un centinaio nel 1990 a 4860 nel 2001 (5) fino ai circa 30 mila nel 2024 (Figura 2).
Così, la stessa equazione che sembra essere stata alla base del tradizionale distretto industriale (territorio, persone, imprese) è alla base dello sviluppo del nuovo modello cinese del settore tessile e dell’abbigliamento: il territorio dell’ex distretto, la comunità di migranti cinesi e le nuove imprese del pronto moda (o quelle tradizionali sono state acquisite dai migranti cinesi).
Le zone d’ombra del distretto del pronto-moda
Un tempo fiore all’occhiello nella storia dei distretti industriali italiani, il distretto di Prato ha attraversato profonde trasformazioni che, negli ultimi decenni, lo hanno portato a una ridefinizione in quello che oggi conosciamo come “pronto moda” e che ha visto la crescita del protagonismo da parte della comunità cinese.
Questo passaggio complesso ha generato non solo cambiamenti economici, ma ha anche portato con sé una serie di tensioni sociali e zone d’ombra che oggi sembra stiano tornando a suscitare dibattito.
Negli ultimi anni, nonostante una diffusa indifferenza, la città di Prato è stata teatro di numerosi scandali legati alle imprese cinesi del pronto moda. Questi episodi hanno portato alla luce gravi casi di violazione dei diritti dei lavoratori e delle normative sulla sicurezza evidenziando le criticità del modello produttivo del pronto-moda, ma non solo. Oggi, con i recenti sviluppi, si è tornati a parlare di Prato con toni di emergenza relativamente alla presunta presenza della criminalità organizzata cinese (6) riaccendendo quindi l’attenzione mediatica su un territorio complesso.
Il primo evento che ha destato l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale è stato l’incendio di una fabbrica cinese nel dicembre 2013 (7) dove persero la vita 7 operai cinesi che dormivano nei locali. Da allora, altri episodi hanno scandito le pagine di cronaca nazionale: la tragica morte di una operaia cinese trovata senza vita in una fabbrica-dormitorio nel 2017 (8), la scoperta di una serie di dormitori-fabbriche nel 2022 (9) e una serie di indagini che nel 2024 (10) e nel 2025 (11) sono sfociati in arresti con l’accusa di sfruttamento della manodopera.
Nell’immaginario comune, dopo il 2013 si è cristallizzata l’idea del pronto-moda come distretto parallelo. Tuttavia, questa narrazione si fonda su una semplificazione che ignora la complessità dei rapporti economici e la storia della comunità cinese a Prato. In realtà, come si è detto, la presenza cinese a Prato si è sviluppata inizialmente all’interno del sistema produttivo locale (seppur in una posizione subordinata), per poi affermarsi in modo autonomo nel settore del pronto moda. Ma questa evoluzione non ha portato a un isolamento assoluto, bensì a nuove forme di interazione (12).
Una ricerca dell’IRPET (Istituto Regionale per la Programmazione Economica della Toscana) del 2015 ha mostrato che molte imprese cinesi del pronto moda si sono avvalse di figure professionali italiane soprattutto per quanto riguarda ruoli tecnici e commerciali, per cui stilisti, modellisti ed esperti di vari settori fanno parte dell’organico di queste aziende. Talvolta, gli imprenditori cinesi hanno anche avviato collaborazioni per la produzione di vino per l’esportazione in Cina o nell’intermediazione commerciale per la distribuzione di prodotti targati “Made in Italy” nel mercato asiatico.
Un'ulteriore conferma di ciò arriva da una ricerca dell’istituto IRIS che ha constatato che tra ottobre 2010 e giugno 2015 quasi il 19% delle nuove assunzioni nelle imprese cinesi di Prato ha riguardato italiani e le più alte percentuali riguardano il settore amministrativo (59%) e tecnico (54%) e il comparto del finissaggio tessile, dove il 73% di periti, chimici, e stilisti sono italiani.
Conclusione
Questi dati mostrano l’immagine di un'economia fatta di interconnessioni, interdipendenze dove la comunità cinese di Prato non occupa un ruolo subalterno, ma è parte integrante del nuovo tessuto della città. Una realtà in evoluzione, altamente complessa, che, sorta dalle ceneri di quello che è stato uno degli emblemi del distretto industriale italiano, merita di essere vista in una prospettiva che va oltre la dicotomia etnica e i cui molteplici risvolti, talvolta oscuri e al limite della legalità, interessano tutti.
