Jacques Lucien Jean Delors: un riferimento per il futuro

Il 27 dicembre anno corrente è venuto a mancare a Parigi Jacques Lucien Jean Delors (Parigi, 20 luglio 1925), il politico ed economista francese, noto europeista.

Jacques Delors al Palazzo del Lussemburgo il 3 aprile 2009. Foto: ©Rémi Jouan, Wikimedia Commons*

Fu ministro e presidente della Commissione europea. Delors presiedette la Commissione europea dal mese di gennaio 1985 al mese di gennaio 1995. Ebbe un ruolo fondamentale per imprimere un nuovo impulso per una convergenza di tutti i paesi membri verso una forma di integrazione europea, sempre più diffusa e partecipata.

Durante il suo fu istituito il mercato unico, riformata la politica agricola comune e furono firmati

- l'Atto unico europeo;

- gli Accordi di Schengen;

- il Trattato di Maastricht, che istituì l'Unione europea.

Tra le varie attività che intraprese dalla fine degli anni novanta e per il nuovo decennio, nel 2007 collaborò alla realizzazione degli "Stati generali dell'Europa" a Lille (Francia). Nel 2010 sostenne la creazione del “Gruppo Spinelli”. Nel 2004 firmò una petizione per elaborare un "Trattato sull'Europa sociale"; l'anno successivo sostenne l'approvazione della costituzione europea nel referendum francese e nel 2007 si espresse a favore di una "Comunità europea dell'energia.

Egli, dunque, fu protagonista di processi ancor oggi in atto, e che sono di fondamento per gli attuali orientamenti politici e per i dibattiti in ogni livello.

In particolare qui interessa sottolineare il tema della formazione e della scuola. Un altro significativo documento internazionale, oltre al Libro bianco della Commissione Europea, è il rapporto pubblicato nel 1996 dalla commissione dell'UNESCO da Lui coordinata, di cui il rapporto porta il nome, Jacques Delors, Nell’educazione un tesoro (Learning: the treasure within).

Pur mettendo al centro della sua analisi e progettazione l'apprendimento, come fa anche il Libro bianco, questo rapporto esprime l’esigenza e il dovere di prestare una maggiore attenzione alla persona che apprende nella sua integralità, al cittadino che abita responsabilmente il mondo e se ne prende cura in quanto bene comune.

La scuola così intesa ha il dovere di promuovere quattro pilastri fondamentali di apprendimento tra loro interconnessi:  

1. Imparare a conoscere, cioè, acquisire gli strumenti della comprensione

2. Imparare a fare, in modo tale da essere capaci di agire creativamente nel proprio ambiente

3. Imparare a vivere insieme in modo da partecipare e collaborare attivamente all'interno di un contesto fatto di relazioni comunitari

4. Imparare ad essere, un percorso che deriva dall'evoluzione degli altri tre

La scuola, quindi, dovrebbe consentire di "sperimentare le tre dimensioni dell'educazione: etico-culturale, scientifico-tecnologica, economico-sociale". Queste tre aree di apprendimento racchiudono "le dimensioni della persona (aspetto teoretico, scientifico, etico, religioso, estetico, espressivo), del cittadino (aspetto relazionale, comunicativo, sociale, civico, politico, organizzativo) e del lavoratore (aspetto progettuale, operativo, produttivo, economico)": alla scuola il compito di coltivarle nell'ambito del curricolo scolastico.

Il rapporto pone sfide impegnative ai docenti e alle scuole, nel rendere le scuole più aperte verso le comunità sociali di riferimento, aderente al qui ed ora, in quanto "non è più possibile lasciare ai cancelli della scuola i problemi sociali: la povertà, la fame, la violenza e la droga entrano nelle classi insieme agli alunni, mentre fino a non molto tempo fa questi problemi rimanevano al di fuori".

La scuola è un luogo di vita, di costruzione di esperienze e non solo un passaggio verso il mondo del lavoro. Nel rapporto non vengono trascurate le richieste del mercato, ma il percorso educativo di chi frequenta la scuola è al centro delle preoccupazioni: la scuola deve contribuire a dare significato alle esperienze della persona, alle relazioni sociali, alla costruzione della personalità.

Il profilo dell'alunno/a è costruito a partire dalle sue esigenze, dal basso, quindi, avendo in mente non solo la formazione del futuro lavoratore/lavoratrice (imparare a fare è uno dei pilastri), ma il cittadino/a di domani (imparare ad apprendere, a vivere e a convivere).


Le parole chiave sono la significatività, la cooperazione e la cittadinanza volte ad aprire la porta alla metafora della scuola-comunità. Questa costruzione avviene con tempi lenti, lavorando insieme, collaborando tra gli alunni, gli insegnanti e i genitori), sapendo comunque di non pretendere l’accordo uniforme, perché i conflitti esistono e possono costituire una strategia coordinata di apprendimento.

A parole anche i tombini dei marciapiedi sono è in accordo con tali indicazioni per ogni stato membro dell’Unione Europea. E non è un caso infatti che questi principi, orientamenti di pratica politica, condivisione di valori sono declamati da più di trenta anni. Certamente se si analizzano le situazioni degli stati membri dal 1990, assieme a quelli dei paesi dell’ex patto di Varsavia che proprio in quegli anni iniziarono a chiedere l’ingresso nell’Unione Europea, molti passi in avanti si sono compiuti nell’aderire dal punto di vista legislativo, gestionale e di diffusione culturale in accordo ai quattro pilastri.

Eppure, dal singolo, a coloro che hanno la capacità di orientare le opinioni, si avverte una fatica maggiore nel proseguire nel cammino. Stante che si tratta di un processo in continuo divenire in cui gli attori in campo, hanno anche visioni antitetiche e conflittuali, nonostante tutto sembra che lo stesso sentiero, in cui l’Unione Europea è instradata, sia sempre più friabile e cedevole al passo.

In Italia, in particolare si sono avuti negli anni, dei propri e veri blocchi dei processi di riforma e anche di semplice ratifica e minima attuazione. E oggi anche avendo recepito a livello legislativo ed amministrativo le Indicazioni, i Regolamenti e le Direttive Europee in merito, rimangono comunque tendenze che tarpano le possibilità per ognuno per poter agire in un ambiente di apprendimento che sia democratico e che abbia come stella polare un senso di cittadinanza verso una società della conoscenza più libera ed accogliente.

Nel primo decennio, molte polemiche a livello politico, sindacale, e da quella parte dell’opinione pubblica più attenta ed informata, imputavano al sistema istituzionale di latitare anche nelle minime attuazioni per l’avvio sistematico delle indicazioni della Commissione Europea. Oggi invece, dalla opinione pubblica nel suo complesso, si avverte principalmente:

  • una continuità di azione nel mantenere una indigenza formativa per ogni età
  • una sua applicazione condita da una amministrazione elefantiaca, acefala, dispersiva e dispendiosa che gira a vuoto ed è sostanzialmente inefficace.

La spinta politica di Jacques Delors nella capacità di integrare diverse visioni delle comunità di apprendimento in ogni stato, verso un cammino comune, e il lavoro della Commissione da lui preceduta che formulò in termini operativi i passi da compiere, costituiscono gli elementi, oggi, da cui porci nuove domande per rilevare in modo più analitico, prudente e approfondito, le parti critiche che inceppano tale processo.

La permanente opacità e la contraddizione degli interventi a livello centrale e quello degli enti locali a livello amministrativo, di offerta, manutenzione e sviluppo. La certificazione delle competenze oggi inevasa, inefficace, inattendibile, schizofrenica talvolta. La perenne continuità di problemi che risalgono agli stati risorgimentali: una separazione netta tra le aree del sapere, viste come antri sacrali che determinano una condizione di ceto inamovibile. La possibilità residuale delle donne per un pieno accesso agli ambienti formativi. L’impossibilità di integrare diversi e paralleli percorsi di formazione per ognuno nei diversi stadi della sua vita. La presunta separazione dei saperi della formazione e quelli del lavoro. Il riconoscimento della propria biografia della formazione e la quasi totale mancanza di riconoscimento messa a tema, dei saperi di chi è provenuto da altri paesi.

Se l’educazione è un tesoro, noi ne abbiamo usato solo qualche soldo, e il resto o rimane inutilizzato, oppure è gettato nel vento, e quindi alla fine non rimane che la povertà di vita, di possibilità di cittadinanza, di prospettare nuovi assetti del futuro, sempre più ampi, ovvero di una società per la conoscenza.

Occorre ricordare Jacques Lucien Jean Delors, ma non per una mera commemorazione, quanto per riprendere il suo pensiero punto per punto e analizzarlo dal punto di vista amministrativo, gestionale, di valore, e principalmente DIDATTICO E PEDAGOGICO, nel merito con pazienza, chiarezza, umiltà, determinazione, per definire una sintesi che sia alla fine operativa, attendibile e pronta ad essere controllata e valutata da terzi. Tutto ciò questo è stato lo stile di questa persona, che è un impegno politico, pratico e di azione di tutti i giorni.

 

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