Gli economisti di sinistra e il principio di ̶n̶o̶n̶ contraddizione

La storia la conoscete. Mario Draghi integra la task force del DIPE con 7 tecnici; di questi (5 uomini e 2 donne) due danno particolarmente fastidio ad un'area politico-culturale ben definita a sinistra.

Il primo a lamentarsene è l'ex ministro, oggi vicesegretario del PD, Peppe Provenzano. Sensibili all'insofferenza si scoprono poi alcuni campioni dell'accademia vecchia e nuova della sinistra: Dosi, Roventini, Fioramonti, Felice, Fana.

Nulla di particolarmente grave, giacché lo scontro ideologico e il dibattico culturale non è cosa nuova e, a dirla tutta, neanche disdicevole. Senonché la lettera con la quale quel mondo accademico protesta per gli incarichi a Riccardo Puglisi e Carlo Stagnaro è piena di contraddizioni e sottintende un modo di ragionare che speravamo superato.

Innanzitutto le contraddizioni

Nella lettera si elencano 3 elementi che secondo estensori e firmatari sono esecrabili: 

  1. l'assenza di omogeneità di genere e geografica (sigh) delle nomine;
  2. la scarsa competenza ("non paiono possedere i previsti requisiti di comprovata specializzazione e professionalità"); 
  3. l'appartenere ad un'area culturale in cui "si sostiene aprioristicamente una teoria che afferma l'inutilità, se non la dannosità, dell'intervento pubblico in economia".

Sul punto 1 neanche mi soffermo. Sugli altri due punti serve però fare qualche puntualizzazione e una riflessione.

Su Twitter tanto Emanuele Felice quanto Stefano Feltri, direttore di Domani, giornale che ha rilanciato la lettera aperta, hanno tentato una puerile quanto contraddittoria difesa dell'iniziativa.

Emanuele Felice ha prima ammesso che i rilievi sono all'ideologia e non alle competenze; poi ha contestato le competenze e l'h-index. 

Ora, perché cadere in contraddizione logica se non si sa, nel proprio subconscio, che si è pestata una cosa che non è esattamente una margherita?

Contestare l'ideologia vuol dire ammettere di accettare, anzi essere artefici, di liste di proscrizione; contestare la competenza stride col silenzio assordante con cui quegli accademici hanno tollerato (quando non anche difeso) nomine della cui competenza era certa l'insussistenza. Per non dire di quei firmatari che ancora pochi anni fa facevano lezioni su come uscire dall'euro emettendo certificati fiscali, violando così trattati, teoria economica monetaria e buon senso (G. Zezza).

La verità, evidente dal tenore della lettera e dal dibattito che ne è scaturito, è che i firmatari non trovano tollerabile che accademici e studiosi non della loro area possano ottenere incarichi dalla politica. Per loro il liberismo (la cui essenza non sono in grado di spiegare) è il nemico giurato; il liberismo è il nuovo fascismo; la libertà economica è pericolosa deriva del pensiero; la disciplina di bilancio è quella cosa terribile la cui reitroduzione dopo la sospensione del patto di stabilità va scongiurata.

Ultima considerazione sui poteri del DIPE, anche questi travisati dalla lettera e dai direttori di Domani e fattoquotidiano.it

Il controllo che sono chiamati a svolgere i tecnici voluti da Draghi non è sulla spesa dei fondi assegnati al PNRR. Quel controllo è prerogativa di altri organi dell'amministrazione pubblica (Corte dei Conti in primis). Il loro compito sarà quello di verificare che l'attuazione del piano sia coerente con gli obiettivi di spesa. Nessun Puglisi, nessun Stagnaro, nessun Filippucci potrà evitare la spesa prevista per le missioni approvate dalla Commissione UE, a cui in ultima istanza spetterà la verifica del raggiungimento dei milestone e degli obiettivi di impatto su crescita e occupazione. Senza il raggiungimento di quei traguardi i soldi di Next generation EU non arriveranno. Ma di questo i firmatari non sembrano preoccuparsi.

Nei discorsi di Mario Draghi non ce n'è uno in cui non abbia chiarito che la responsabilità di questo governo, nato in circostanze straordinarie e con un compito straordinario, è quella di evitare che l'occasione che si presenta sia sprecata come da consolidata tradizione politica. Quella politica di cui i 100 e oltre firmatari hanno nostalgia. 

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