Tuttavia, rimangono aperte delle domande: come è stato possibile che un incontro del genere sia stato programmato in Italia? Chi sono gli organizzatori e quale agenda si nasconde dietro a questo tentativo di normalizzare pratiche che potrebbero essere considerate crimini di guerra?
Con questo evento, l’Italia rischiava di diventare complice dei crimini di guerra di Vladimir Putin. È possibile che il nostro Paese stia legittimando, anche indirettamente, la deportazione e la rieducazione forzata di bambini ucraini? Queste domande sollevano preoccupazioni, che mettono in gioco i valori fondamentali di giustizia e diritti umani sui quali si basa l’Italia.
Luhansk, una regione occupata illegalmente dalla Federazione Russa dal 2014, è diventata una prigione a cielo aperto per i bambini ucraini. Questi bambini, nati in Ucraina – un paese democratico, ricco di storia e cultura nazionali – diventano ostaggi di un’educazione imposta dall’invasore, che mira a cancellare la loro identità ucraina e sostituirla con un’identità fittizia e militarizzata, creata dal regime occupante. A questo si aggiunge la tragedia degli orfanotrofi, dove i bambini che hanno perso i genitori o sono stati forzatamente separati dalle loro famiglie vengono privati delle loro radici e inseriti in programmi di “rieducazione” nella Federazione Russa. Con l’invasione su larga scala del 2022, il numero di bambini sottratti al loro contesto culturale e nazionale è aumentato drasticamente. La Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato di cattura contro Vladimir Putin, accusandolo di crimini di guerra per queste deportazioni e rieducazioni forzate. Eppure, l’Italia si trovava a ospitare un evento che sembrava voler legittimare e persino sostenere tali pratiche.
Chi c’è dietro tutto questo? Tra i partecipanti previsti per l’evento figurava Anna Sorokova, Commissario per i diritti umani della cosiddetta Repubblica Popolare di Lugansk (LNR), un’entità sostenuta dal Cremlino e priva di riconoscimento internazionale. Inoltre, l’organizzazione italiana “Aiutateci a salvare i bambini” si presta a iniziative che, di fatto, cancellano l’identità ucraina di questi bambini. Si tratta di adozioni che non hanno nulla a che fare con atti di amore e protezione, ma che rischiano di diventare strumenti di assimilazione forzata e pulizia etnica.
Non basta cancellare questo evento. È necessario creare un sistema che impedisca all’Italia di macchiarsi della complicità in crimini di guerra. Permettere che simili eventi si svolgano nel nostro Paese significa legittimare tacitamente la deportazione e la rieducazione forzata di bambini, atti che la Carta delle Nazioni Unite definisce come genocidio. Il tempo scorre rapidamente, e i bambini nati a Luhansk nel 2014 oggi hanno dieci anni; quelli che avevano otto anni allora, oggi ne hanno diciotto e sono stati perfettamente addestrati per diventare carne da cannone nella guerra contro l’Ucraina. I danni alla loro identità culturale e alla loro memoria storica sono incalcolabili e difficilmente recuperabili.
L’Italia deve fare di più. Non è sufficiente cancellare questo evento: occorre mettere in atto misure concrete per garantire che l’Italia non diventi terreno fertile per la propaganda del Cremlino e per il sostegno ai crimini di Putin. Dobbiamo chiedere trasparenza su chi autorizza questi eventi, chi li organizza e quali interessi rappresentano.
Consentire che tali iniziative si svolgano, o anche solo vengano programmate, significa collaborare indirettamente con un regime che ha fatto della distruzione dell’identità ucraina una politica ufficiale.
In quanto nazione democratica, l’Italia deve, oltre a schierarsi fermamente dalla parte della giustizia e della difesa dei diritti umani, creare la barriera protettiva contro gli eventi di questo genere.
Il futuro dei bambini ucraini non può essere sacrificato sull’altare della diplomazia o dell’opportunismo. L’impunità di oggi diventa il crimine di domani. La nostra responsabilità è chiara: dobbiamo difendere i valori di libertà e umanità, e assicurarci che l’Italia non diventi mai complice del genocidio di un popolo.
