1. Introduzione
In seguito all’invasione russa dell’Ucraina (2022), il riacceso conflitto isreaelo-palestinese e la rielezione di Trump alla Casa Bianca, la politica estera ha iniziato a essere sempre più presente nel dibattito pubblico. Il sistema mediatico italiano ha presto evidenziato l’impreparazione dei commentatori, dei giornalisti, e, purtroppo, anche di molte figure di provenienza accademica; sono, tra gli altri, emersi “esperti” di approcci che non soddisfano i criteri di scientificità propri delle scienze sociali – subito diventati ospiti fissi dei talk show televisivi. Pertanto, qui si tratterà di Scienza politica, con l’obiettivo di presentare sinteticamente l’approccio delle scienze sociali allo studio della politica internazionale.
2. Scienza politica, Relazioni internazionali e Analisi della politica estera
Nelle scienze sociali si parla di “scienze politiche” (1) per indicare tutte quelle discipline che studiano la politica: storia, economia, sociologia, psicologia, geografia (2), antropologia, filosofia, psicologia sociale, ecc.. Tra esse, “la Scienza politica (3) è lo studio della politica tramite l’applicazione del metodo scientifico” e “il suo campo d’indagine è caratterizzato da due diverse, seppur collegate, attività di ricerca. La politica comparata è lo studio dei fenomeni politici che avvengono prevalentemente all’interno di paesi. La politica internazionale (4) è lo studio dei fenomeni politici che avvengono prevalentemente tra paesi” (Clark, Golder, Golder; 2011) (5). Quindi, le Relazioni internazionali (IR) sono una sottodisciplina della Scienza politica che studia prevalentemente i rapporti tra gli Stati (6). All’interno delle Relazioni internazionali c’è l’Analisi della politica estera (FPA) (7), che si occupa di studiare tutti quei fattori che influenzano, appunto, la politica estera (8): i processi cognitivi, le caratteristiche dei leader statali, le dinamiche dei gruppi decisionali, il contesto culturale, la burocrazia e le istituzioni, ecc. (Smith, Hadfield, Dunne; 2024) (9).
Per capire i fenomeni politici internazionali, i politologi raccolgono dati statistici, osservano empiricamente e cercano di rappresentare la realtà nel modo più accurato possibile; per interpretare ciò che hanno osservato, utilizzano delle teorie onnicomprensive (10) che si concentrano su alcuni aspetti specifici in base al contesto. Le teorie più importanti sono: il Realismo (in tutte le sue varianti (11)), che si concentra sul potere (12) degli Stati; il Liberalismo, che studia gli individui e i rapporti economici; il Marxismo, che parla di lotta di classe e di struttura del Sistema internazionale; il Costruttivismo, che enfatizza il ruolo delle idee; il Femminismo (13), che si occupa dei ruoli di genere; e il Post-colonialismo, che sfida la centralità dell’Occidente. Per esempio, si rivela empiricamente che gli Stati democratici non fanno la guerra tra loro: perché? I liberali sostengono la teoria della pace democratica, secondo la quale gli Stati democratici sarebbero incentivati a cooperare per motivi economici, condividendo gli stessi valori e dovendo rispondere alle rispettive opinioni pubbliche (Smith, Hadfield, Dunne; 2024) (14).
3. I tre livelli di analisi della politica estera (15)
Due studiosi di rilievo, Waltz (1959) (16) e Singer (1961) (17), sostenevano che un analista della politica internazionale debba necessariamente scegliere quali attori e processi causali privilegiare nella propria analisi. Così, si distingue fra tre livelli (18): il primo si concentra sugli individui; il secondo sugli Stati; il terzo sul Sistema internazionale nel suo complesso. È evidente che solo l'analisi congiunta di tutti e tre i livelli permette di ottenere una comprensione accurata della situazione.
Tuttavia, un’analisi dettagliata è spesso possibile solo a posteriori. Infatti, le informazioni militari, i piani strategici e le informazioni di intelligence sono riservate ad alcuni, pochissimi, eletti (19). Inoltre, i processi decisionali all’interno dei gruppi (per esempio, una riunione del Pentagono) non sono visibili dall’esterno; quindi, non è possibile osservare i bias di gruppo e le dinamiche di potere (20). Ancora, la razionalità stessa degli studiosi è limitata (21) e non è possibile processare in modo esaustivo quantità elevate di informazioni senza essere vittime di bias. Ne consegue che commentare i fatti di cronaca “in diretta” è un esercizio estremamente problematico e pericoloso, che non tiene conto delle più fondamentali variabili intervenienti.
3.1. Il livello individuale
Gli attori principali della politica estera sono innanzitutto gli individui: i leader dei maggiori partiti, i capi di Stato e di governo, le alte cariche burocratiche e militari, giornalisti, cantanti e opinion leader di fama (22), rappresentanti di ONG, istituzioni religiose, think tank e grandi aziende. Si tratta, in sostanza, di tutte quelle persone che esercitano una certa influenza (sia essa istituzionalizzata o meno) e che risultano fondamentali nel definire le credenze, le convinzioni e le questioni rilevanti della politica internazionale.
Per i leader, gli analisti esaminano almeno tre elementi. Il primo è la predisposizione genetica, che attiene al carattere dell'individuo, come la timidezza o il narcisismo. I gender studies (23) suggeriscono, per esempio, che il sesso possa influenzare il comportamento, ipotizzando che le leader femmine siano meno inclini al conflitto rispetto ai colleghi maschi. Il secondo è l’esperienza di socializzazione, in particolare la formazione scolastica e quella professionale; per esempio, un capo di Stato che ha studiato studi strategici ed è diventato un’alta carica dell’esercito è diverso da un altro capo di Stato che ha studiato medicina e ha fatto il cardiologo: il primo potrebbe essere più propenso a un intervento militare e più intransigente contro gli oppositori politici rispetto al secondo. Anche aver preso parte a movimenti studenteschi in giovane età può influire, così il posizionamento politico-ideologico della famiglia. Infine, determinanti sono le esperienze vissute direttamente dal leader. Si pensi, per esempio, alla differenza tra chi ha vissuto in prima persona l’esperienza di una guerra o di un attentato terroristico e chi no.
In tutti questi casi, la psicologia cognitiva è utile per analizzare i bias cognitivi (individuali e dei gruppi), che inevitabilmente sono presenti durante ogni processo decisionale.
3.2. Il livello statale
La politica estera di uno Stato può variare in base alle sue caratteristiche interne. Per esempio, le dinamiche istituzionali, quelle partitiche, quelle burocratiche, e anche quelle economiche e sociali, possono generare politiche estere diverse.
La prima distinzione da operare è quella tra Stati democratici e Stati non-democratici. Se, da un lato, uno Stato non-democratico è guidato da un ristretto gruppo di persone che detengono la quasi totalità del potere, e che quindi per prendere una decisione possono agire autonomamente, dall’altro, le democrazie hanno bisogno di procedure più complesse e inclusive, che coinvolgano i cittadini-elettori e che rispondano all’opinione pubblica.
In secundis, i decisori politici si affidano a funzionari che agiscono come consulenti e influenzano le politiche. In una democrazia può anche capitare che un ministero abbia opinioni diverse rispetto a un altro ministero. Terzo, nelle democrazie le decisioni di politica estera dell’Esecutivo devono quasi sempre ottenere la cooperazione del Legislativo, sia nell’indirizzo sia nell’esercizio del bilancio. Infine, i media e i gruppi di interesse hanno la capacità di influenzare significativamente l’opinione pubblica e i decisori, anche su questioni specifiche (l’ambiente, il commercio, ecc.).
3.3. Il livello internazionale
Altri tre fattori determinano la politica estera di uno Stato. Naturalmente, la posizione geografica è tra questi: il Regno Unito, essendo un’isola, ha potuto investire sulla marina piuttosto che sull’esercito, e questo le ha permesso in passato di ottenere l’egemonia sui mari e di diventare una grande potenza commerciale. Anche lo sviluppo economico in relazione a quello altrui può influenzare strategie di politica estera, soprattutto per le economie più grandi che possono concentrare una quantità maggiore di risorse al potere militare e al soft power per migliorare la reputazione all’estero (24) – al contrario, le economie emergenti è più facile che trascurino gli aspetti relativi alla protezione dell’ambiente rispetto alle economie più sviluppate. Inoltre, la consapevolezza di essere una potenza (25) relativamente più forte di altre può condizionare gli interessi e la capacità di influenzare gli altri Stati: i leader dei paesi più potenti si sentono spesso responsabili della gestione dell’ordine internazionale (26).
Un ulteriore fattore, spesso trascurato, è la struttura stessa del Sistema internazionale. L’anarchia, ossia il fatto che non ci sia nessuno al di sopra degli Stati che possa garantire la sicurezza (come fa la polizia di uno Stato all’interno dei propri confini), può essere un fattore determinante. Tuttavia, come notano i liberali e la Scuola inglese, non si può ignorare il fatto che esistano innumerevoli organizzazioni internazionali (27), l’Unione europea (28) e una moltitudine di motivi per cui uno Stato decida volontariamente di rispettare il diritto internazionale (29). Oltre a ciò, il numero di superpotenze presenti nel Sistema internazionale in un dato momento è cruciale. Alcuni studiosi ritengono che il Sistema internazionale sia più pacifico quando è bipolare, altri quando è multipolare, a causa delle alleanze che possono crearsi (30). Per capire se un Sistema internazionale è unipolare (egemonia USA, anni ‘90), bipolare (USA vs URSS, Guerra fredda) o multipolare (Francia, Regno Unito, Austria-Ungheria, Impero ottomano, ecc., inizio ‘900) bisogna guardare al numero di superpotenze presenti. Una superpotenza è uno Stato che detiene una superiorità marcata e multifattoriale di potere militare ed economico, e un'influenza generale che trascende significativamente quella di altri Stati; in altre parole, una superpotenza è uno Stato che soddisfa questi requisiti: è molto forte militarmente, è molto forte economicamente, detiene il potere simbolico (soft power), e vuole esserlo (31).
4. Conclusione
Comprendere la politica internazionale in un panorama mediatico spesso frammentato e incline alla semplificazione è una sfida che richiede un approccio rigoroso. Orientarsi nella complessità dei fenomeni politici globali, basandosi sui criteri di scientificità propri delle Scienze politiche e, in particolare, della disciplina delle Relazioni internazionali (IR) e dell'Analisi della politica estera (FPA), è fondamentale per generare un dibattito pubblico sano e mantenere il buono stato della democrazia. In questo, il ruolo principale è esercitato dai media e dai commentatori politici che, con il loro potere simbolico, sono in grado di indirizzare l’opinione pubblica su scelte piuttosto che su altre (32). La consapevolezza dei limiti di un’analisi “in diretta”, dovuti alla scarsità di informazioni riservate e alla presenza di bias cognitivi, sottolinea l’importanza di un approccio metodologicamente solido e di una rigorosa cautela nell'interpretazione degli eventi correnti. Questo metodo, pur non fornendo risposte immediate e definitive, permette di formulare domande più precise, identificare variabili rilevanti e, in ultima analisi, contribuire a una comprensione più accurata e meno distorta della politica estera globale.
La speranza è che con questo testo, che ha tentato di descrivere l’approccio politologico tramite i tre livelli di analisi (individuale, statale e internazionale/sistemico), il lettore possa essere almeno in grado di riconoscere una figura di “esperto” realmente competente da una di “cialtrone” quando leggerà o guarderà commentare la politica internazionale.
