Biologico (non) è ecologico

Il presente articolo è basato sul video intitolato “Biologico è ecologico?”, con relatore Roberto Defez, ricercatore del CNR e divulgatore in campo agronomico.

Foto: Alejandro Barrón/Pexel

A differenza del video, in cui gli argomenti sono affrontati in modo discorsivo, qui abbiamo scelto di schematizzarli in capitoli ed esplicitare alcune informazioni che nel video vengono date per scontate.

Definizione di “biologico”, storia e propaganda

Biologico (organic in inglese) è detto un prodotto agropastorale ottenuto osservando un disciplinare europeo che è stato scritto e riscritto negli anni, a partire da circa 30 anni fa e poi mano a mano aggiornato. Si tratta di una certificazione del processo produttivo, non di qualità del prodotto. Disciplina gli aspetti commerciali, non quelli sanitari.

L'agricoltura biologica viene portata al giorno d’oggi su un vassoio d'argento dagli ambientalisti[1] nostrani, secondo i quali i metodi biologici non utilizzano sistemi “troppo violenti” (impattanti) per l’ambiente, con l’idea che agrofarmaci[2] o interventi meccanici tradizionali possano preservare flora e fauna autoctone, aumentando la biodiversità locale, consegnando dei prodotti più sani anche per la salute umana (in virtù di una presunta minore quantità di residui nei prodotti finali).
A questo si aggiunge anche l’idea secondo la quale le sementi geneticamente modificate (anch’esse vietate nel disciplinare biologico) siano pericolose per l’uomo e per la natura.

La propaganda sui prodotti biologici si basa sul mito dei “cari bei tempi andati”, quando tutto era naturale e quindi buono, e non ci si ammalava mai a causa del cibo. Anche se siamo ormai lontanissimi da quei concetti di agricoltura “vecchio stampo”, sentiamo rassicurante questa idea di un'agricoltura tranquilla, amichevole e il richiamo alle tradizioni.

Fare semplificazioni dipingendo un prodotto buono e uno cattivo risulta non solo irrealistico, ma anche controproducente e pericoloso.

Efficienza dal punto di vista economico

Dal punto di vista economico la maggior parte dell’agricoltura tradizionale europea non sta in piedi: fare l'agricoltore non porta a un reddito economicamente sostenibile. Non è mai stata un’attività abbastanza redditizia. Basti dire che i Giubilei sono una invenzione ebraica, non cristiana e accadevano ogni 50 anni. Nello specifico serviva a riequilibrare il rapporto tra agricoltori (poveri) ed allevatori (piu’ facoltosi) che finivano per prendere in affitto tutte le terre coltivate rischiando di far mancare la produzione agricola: “Da un punto di vista giuridico, la legge del giubileo in effetti bandiva la vendita di terra come proprietà assoluta, mentre la terra poteva solo essere affittata per non più di 50 anni. La normativa biblica continua specificando che il prezzo della terra doveva essere proporzionale a quanti anni rimanevano prima del giubileo, diventando più conveniente man mano che l'anno giubilare si avvicinava.Come scala temporale parliamo quindi di millenni, da allora ottenere produzioni primarie redditizie è diventata una sfida difficilissima, soggetta a complicazioni di tutti i generi. Per favorire il reddito del singolo agricoltore ed agevolare l’economia locale, una volta i governanti, un’altra i produttori, hanno via via cercato di attribuire un fantomatico “valore aggiunto“ ai propri prodotti. La forma che si sono inventate alcune lobby tradizionaliste ed autarchiche all’interno dell’Unione Europea (con l’Italia in prima linea) è di farci illudere che comprando un prodotto “col bollino bio” mangeremo un cibo più sano, più pulito e più ecologicamente compatibile. 

L'Unione Europea nasce, alla luce dei modelli eco logico/nomici calcolati dagli scienziati cooptati da Lenin, attorno al sostegno alla produzione primaria (agricoltura e pastorizia) e soprattutto con l’intento di evitare che ci siano scontri feroci tra le varie nazioni che, massimizzando le produzioni più “comode” per il proprio territorio, finirebbero per produrre in eccesso un certo prodotto, abbassandone così i prezzi.
Ad esempio, negli anni ‘70 la Germania produceva “troppo” latte bovino rispetto all’Italia (perché la loro geografia fisica era favorevole), loro hanno seguito le normative europee, noi abbiamo cercato di imbrogliare, ed il risultato sono state le proteste contro le quote latte[3] ed il movimento dei forconi[4]. Per quelle dicharazioni mendaci italiane (avevamo dichiarato di produrre la metà del latte che realmente producevamo illudendoci di pagare così la metà), l’Italia ha dovuto pagare le relative multe ossia subire mancati trasferimenti di fondi per 4,4 miliardi di euro.
Alla fine della seconda guerra mondiale l'efficienza delle produzioni spingeva verso una attività che fosse un'attività imprenditoriale, non un'attività da orticoltore dilettante della domenica che produce poco curando a mano il proprio campetto. 

Oggi, per non essere schiavi delle illusioni, dovremmo comprendere che servono attività meccanizzate ed organizzate con mentalità industriale, in modo da abbassare i costi ed  aumentare l'efficienza. Bisogna anche accettare che la GDO (Grande Distribuzione Organizzata) pretende di avere disponibili ogni giorno nel reparto ortofrutticolo tutti i tipi di prodotti, privi di imperfezioni, marcescenze o avvizzimenti.

Efficienza dal punto di vista della sicurezza alimentare

Uno degli obiettivi fondamentali del settore primario di garantire ai consumatori di non avvelenarsi andando a fare la spesa, obiettivo già ampliamente garantito dall’ EFSA “autorità europea per la sicurezza alimentare”, un ente comunitario di valutazione del rischio in sicurezza alimentare e dei mangimi istituito dal regolamento CE n. 178/2002. Per gli anti-europeisti, ricordiamo che la sede è a Parma, e le regole più restrittive sono finora state proposte dall’Italia.

Analizzando secondo i metodi prescritti dall’EFSA due prodotti equivalenti, ad esempio due broccoli, uno proveniente da agricoltura biologica e uno da agricoltura tradizionale, noteremo che entrambi sono sicuri per la salute umana e che i residui di agrofarmaci sono sotto la soglia massima consentita. Questo perché in Europa c'è una straordinaria attenzione a controllare l'intera filiera per evitare di immettere nel mercato dei prodotti che possano avere dei residui pericolosi. 

Nell’ambito della sicurezza alimentare, secondo l’Agenda 2030 dell’ONU, va affrontato anche l’argomento della marcescenza e degli sprechi alimentari. La marcescenza, termine tecnico per “andare a male”, è un fenomeno inevitabile e naturale. Se un prodotto X, a parità di tecniche di conservazione, non va a male velocemente quanto quello Y, vi possono essere solo tre spiegazioni: o è stato selezionato per l’assenza di malattie, o è stato trattato con fitofarmaci conservanti per impedirne la marcescenza, o è stato modificato geneticamente per avere una maggiore shelf-life[5].

Nel caso delle produzioni biologiche, i fitofarmaci permessi sono pochi e scarsamente efficaci, per garantire una shelf-life accettabile si deve quindi fare una forte selezione dei singoli ortaggi da portare sul mercato (leggasi: gettare quelli inadatti), e questo comporta un ulteriore spreco di risorse.

Sostenere che un prodotto biologico sia più sano di uno “senza bollino” è quindi una manovra di Marketing che punta a screditare gli avversari, cioè l’agricoltura tradizionale e quella 4.0.

Agrofarmaci: confronto tra quelli “di origine naturale” e quelli di sintesi

Abbiamo detto che i residui di agrofarmaci sugli alimenti è controllato dall’EFSA. Vediamo quello su suolo, acqua ed animali (parleremo dell’aria nel capitolo sull’anidride carbonica). A tal fine, si monitorano queste variabili: la dose/ettaro necessaria per avere l’effetto desiderato; il numero di dosi da somministrare durante l’anno; se la sostanza rimane vicino alle piante su cui deve agire, o viene spostata dai fattori ambientali (per esempio dall’acqua inquinando le falde acquifere o dal vento contaminando le zone circostanti); dopo quanto tempo si degrada; se agisce solo sul proprio target o anche su altri organismi. 

A meno che non si abbia una visione religiosa, la natura non ha mai pensato di tutelare noi (tant’è che i veleni più letali al mondo si trovano in natura), ed i cicli ecologici agiscono secondo le leggi naturali indipendentemente se l’agrofarmaco sia prodotto in laboratorio, prodotto da una pianta o estratto da una miniera. Basta ricordare che l’amianto, il petrolio o il curaro sono prodotti naturali.

Nelle discussioni generaliste ed imprecise svolte dai sostenitori del bio, quando una molecola si estrae da una pianta, viene descritta come biologica, quando invece la stessa identica molecole viene sintetizzata in laboratorio, la si descrive come chimica. Sappiamo tuttavia che anche l’acqua è una molecola chimica, e questo dovrebbe bastare per smontare la narrativa terroristica che ci opprime.

Parlando di agrofarmaci con effetto erbicida, pesticida ed anticrittogamico, la maggioranza delle molecole utilizzate sono contenute in piante o microorganismi, vengono detti tecnicamente allelopati[6]. Le piante sono organismi sessili, ossia non possono scappare o migrare verso lidi felici, e devono quindi difendersi dai parassiti e dalle altre piante nella competizione per le risorse locali, per questo tantissime sostanze (chimiche per definizione di “sostanza”, ma naturali secondo la definizione utilizzata nell’agricoltura biologica) vengono prodotte dalle piante esattamente con lo stesso scopo per cui l’uomo le produce in laboratorio. 

Il 99,99% in peso di tutti i pesticidi esistenti al mondo sono pesticidi biologici ovvero naturali.

Svolgendo analisi chimiche sull’estratto “naturale”, questo contiene dozzine, se non centinaia, di altre molecole oltre a quella desiderata, che è invece l’unica rilevabile nel preparato sintetico. Semplificando: un estratto vegetale è sempre meno puro di un prodotto di sintesi, e quindi avrà più effetti collaterali dovuti alle impurità.

Se questo non bastasse, in agricoltura biologica sono ammessi anche prodotti di sintesi utilizzati fino ad un certo periodo storico (considerati come tradizionali, e quindi miracolosamente buoni), e vietati altri più nuovi, nonostante funzionino a bassi dosaggi e siano più biodegradabili. Questo senza parlare delle deroghe che consentono di usare quasi tutto dopo che i “rimedi” biologici hanno fallito.

Riguardo gli agrofarmaci fertilizzanti, in agricoltura biologica non si possono usare i moderni fertilizzanti sintetici a lento rilascio e soprattutto titolabili[7], ma si possono usare tutti gli scarti di macellazione: ossa, corna, zoccoli e sangue ridotti in farina tramite dispendiosi ed inquinanti processi di essiccazione, cottura e frantumazione. Alternativa, sempre biologica, agli scarti di macellazione sono i letami, ma vengono impiegati in piccole percentuali essendo molto più difficili da gestire. Al calcolo degli impatti di questi fertilizzanti andrebbe quindi sommato quello della pastorizia. Sempre poi considerando che non esiste una certificazione vincolante di scarto di macellazione o letame biologico e quindi dato che l’87,5% di tutti i mangimi circolanti in Italia contiene Ogm, indirettamente quei fertilizzanti derivano da mangimi Ogm.

Ad aggravare l’impatto su acqua, suolo ed organismi viventi dei prodotti antiquati permessi in biologico, si consideri che spesso hanno bisogno di dosaggi maggiori rispetto a quelli moderni per ottenere effetti comparabili. Inoltre in genere hanno una maggiore persistenza (non si biodegradano) sia negli ecosistemi che nei prodotti finali. Come ad esempio gli ossidi del rame (composto incredibilmente biologico) usati come fungicidi a dosi doppie rispetto a quanto necessario in un campo non bio.

Gli OGM, soluzione respinta

Come già detto nell’introduzione, le sementi OGM non sono ammesse nell’agricoltura biologica (incomprensibilmente lo sono, in percentuali ben definite per legge, nella pastorizia e nella produzione di cibi a marchio bio).
Non esistono studi scientifici recenti secondo i quali gli organismi geneticamente modificati a fini agricoli possano danneggiare la salute umana. Esistono alcuni studi secondo i quali vi potrebbe essere un impatto negativo sulla vegetazione circostante qualora le piante OGM si incrociassero con quelle spontanee, ed il problema è risolvibile con piante modificate per produrre polline incompatibile con altre piante.

Alcuni tipi di OGM consistono in piante ingegnerizzate per la semina su sodo, ovvero il posizionamento dei semi in fessure del suolo evitando l’aratura. Senza aratura, inoltre, si evita di fare ossidare l’humus del suolo (e quindi si libera molta meno CO2 sequestrata nei suoli sotto forma di residui vegetali) e si evita di creare un ambiente prospero per le erbe infestanti (di conseguenza si useranno meno diserbanti). Non dovendo mettere in moto il trattore per arare, concimare e diserbare, verrà emessa meno CO2 e si utilizzeranno meno fitofarmaci.

Altri tipi di OGM producono per conto proprio allelopati che li proteggono da parassiti ed infestanti, rendendo inutile l’uso di pesticidi, erbicidi ed anticrittogamici. Nei vegetali OGM è possibile anche la soppressione dei geni che ne causano la marcescenza, aumentandone la shelf-life. Per questi prodotti si risparmierà quindi sia sui conservanti che sulla refrigerazione ed in generale sullo spreco di cibo.

Altri OGM ancora possono crescere in terreni poveri di nutrienti o inquinati, sopravvivere in zone con condizioni metereologiche siccitose o resistere alle gelate. Il limite per queste piante è quanto si investe nella ricerca scientifica. 
Queste produzioni, ben più sostenibili di quelle biologiche, in Italia sono totalmente vietate, ma non è vietato importarne i prodotti.

Superfici coltivate e resa per ettaro

Tutte le statistiche dicono che a parità di superficie coltivata, l’agricoltura biologica produce meno cibo di quella tradizionale (e di quella innovativa 4.0), e contemporaneamente ha maggiore impatto ambientale. Vediamo degli esempi.

Un articolo su Nature Communication del 2017 risponde alla domanda: cosa succederebbe se entro il 2050 tutta la produzione agricola diventasse biologica? Con i dati a loro disposizione hanno calcolato che sarebbe aumentato il consumo di suolo tra il 16 e il 33%, la deforestazione tra l’8 e il 15% le emissioni di gas serra tra l'8 e il 12%, il consumo d'acqua del 60%. 

Questi dati sono addirittura ottimistici perché un nuovo studio del 2019 (sempre su Nature Communication) modellizza cosa succederebbe se l'intero Galles e l'intera Inghilterra fossero passate interamente al biologico. La stima è che sarebbe aumentato del 70% l'import di prodotti coltivati ​​altrove, cioè ci sarebbe stato bisogno di mettere in coltivazione, magari disboscando foreste nel terzo mondo, dimensioni spaventose di terreni per importare in Inghilterra e Galles le derrate agricole venute meno a causa del biologico.

Nemmeno l’agricoltura italiana è economica/logicamente sostenibile, non può essere autonoma, la sovranità alimentare è una bellissima frase ma una pia illusione, noi facciamo coltivare altrove tantissime cose e siccome vogliamo essere i più belli, più bravi, più puliti e più ecologicamente compatibili stiamo chiedendo al resto del mondo di alimentarci. 

L'agricoltura biologica inoltre non si può fare dovunque, ad esempio provando a coltivare mais biologico in pianura padana, quest’ultimo subirà attacchi da molti parassiti, al contrario coltivandolo ad alta quota, dove quei parassiti non sono presenti, sarà più facile coltivare mais di qualità senza usufruire di agrofarmaci. Ci sono ulteriori variabili in gioco, come ad esempio il tipo di terreno dove andiamo a coltivare, e quindi la scelta della specie adeguata da coltivare. 

A tal proposito, il rifiuto delle tecnologie moderne ci impedisce di sfruttare la cosiddetta agricoltura di precisione, che consiste nel seminare con precisione millimetrica il seme giusto nel terreno giusto, (stesso discorso per l'uso di agrofarmaci.) In breve consiste nell'analisi da remoto ed in loco delle variabili agroambientali, seguita da elaborazione algoritmica delle variabili in input e dagli output desiderati, con creazione di mappe di prescrizione che vengono caricate su spargitrici (di semi, concimi, pesticidi ecc...)  guidate via satellite. In più il monitoraggio delle variabili si può fare in real time tramite satellite o sensori in loco, attuando interventi mirati e localizzati. In questo modo le azioni agropastorali sono sito-specifiche e massimizzano sia produzione che sostenibilità economica/logica.

Tirando le somme, quello che è successo negli ultimi 10/15 anni, è che l'Europa ha aumentato il numero di foreste di circa di 12 milioni di ettari e contemporaneamente il Sud America hanno disboscato gli stessi 12 milioni di ettari, quindi in questo conto noi facciamo apparentemente la parte dei buoni, perché stiamo rispettando i vari accordi internazionali sul clima, ma lo facciamo a spese della deforestazione nel resto del mondo. 

 

La produzione di anidride carbonica

Nella divulgazione generalista, la quantità di CO2 emessa per produrre un certo bene è vista come il maggior pericolo per la sopravvivenza umana, essendo questo uno dei gas climalteranti. La sua misura diretta viene fatta in peso, cosa insufficiente a definire un indice di impatto: per avere un indice bisogna rapportare questa misura a qualcos’altro. 

Ad esempio l’indice di impatto di un ortaggio, si ottiene dividendo le emissioni di anidride carbonica del processo produttivo (partendo dagli scarichi dei macchinari di semina, per arrivare al trasporto fino al mercato). Volendo calcolare l’impatto di una intera coltivazione, bisognerà invece rapportare alla superficie coltivata sia tutte le emissioni dovute ai macchinari (aratri, spargitori di concimi, mietitrici…) che quelle dovute agli scarti di coltivazione.

Prendendo i dati della FAO e guardando quali sono i continenti che emettono più gas serra per la produzione primaria, ovviamente in testa c'è l'Asia  giustificata dai 4 miliardi e mezzo di abitanti, il secondo continente più inquinante è l'Africa e il terzo il Sud America. La ragione per cui l'Africa ed il Sud America arrivano secondo e terzo in questa paradossale classifica è proprio perché la deforestazione è la prima causa di emissioni di gas serra, perché così si libera in atmosfera il carbonio che è stato immagazzinato dalla fotosintesi. 

Quindi tutte le politiche che tendono a non disboscare e a non arare i suoli, quelle che hanno alte produzioni per ettaro (possibilmente senza impoverire i suoli) sono di gran lunga le più ecologicamente compatibili e l'agricoltura biologica ha dimostrato di fare né l'uno né l'altro, ma potrebbe anzi aumentare di almeno il 40% le superfici messe in coltivazione

Facendo ora i conti delle emissioni di gas serra per produrre fertilizzanti dal residuo di macellazione, sapremo quanta CO2 si emette per produrre 1 kg di proteine per alimento, emissione che andrebbe calcolata come impatto dell’agricoltura biologica. Se però si va a guardare la classifica delle emissioni delle produzioni primarie, in cima alla lista ci sono le vacche e gli altri allevamenti da carne, che tuttavia ci forniscono i fertilizzanti sopra elencati; i prodotti vegetali sono in fondo alla lista. 

Questa suddivisione grossolana delle emissioni di CO2, che non tiene in considerazione la correlazione tra pastorizia ed agricoltura, confonde ulteriormente le acque sugli argomenti di sostenibilità. A nostro parere, il conto della CO2 emessa dovrebbe essere redistribuito in maniera diversa, perché allo stato dei fatti un prodotto vale l’altro.

Se la nostra priorità è la riduzione delle emissioni di gas serra, è chiaro che l'agricoltura biologica non sia una scelta adeguata. 

Quindi l'agricoltura biologica è meno efficiente rispetto all'agricoltura tradizionale?

Risposta breve: Sì. 

L’effetto reale primario delle produzioni biologiche è la riduzione delle produzioni per ettaro, quindi di avere meno alimenti a parità di superficie coltivata. Questi prodotti avranno più alto valore aggiunto grazie alla propaganda, ma anche un maggiore costo (sia ecologico che per il consumatore finale), in modo da sostenere i redditi degli agricoltori, con l’ovvia conseguenza di trovare sul mercato alimenti importati con prezzi estremamente competitivi.

L’agricoltura biologica consuma più risorse ed energia, ed inquina di più della tradizionale a parità di quantità e qualità del cibo prodotto, in quanto bisogna far muovere i macchinari per più tempo su superfici maggiori ed utilizzare una maggiore quantità di agrofarmaci.

Se poi si scegli il biologico per ragioni salutistiche pensando che ci siano più vitamene o meno residui, anche questa illusione è stata smentita anni fa da una accurata analisi di Altroconsumo.

 

Sinossi a cura di: Francesco Lucà e Martina Oddo 

 

Approfondimenti

[1] Ambientalista è diverso da laureato in scienze ambientali, così come ecologista è differente da laureato in ecologia. Chi ha studiato per anni e con impegno per ottenere una laurea ci tiene molto ad essere differenziato da quelli che loro chiamano scherzosamente “abbraccia alberi”.

[2] Per agrofarmaco si intende qualsiasi prodotto che migliori la produttività di una coltura, come ad esempio i fertilizzanti, gli erbicidi, gli anticrittogamici ed i pesticidi.

[3] Quando in Italia, a causa della mala gestione della produzione di latte vaccino a discapito di quello ovicaprino si incorse in sanzioni europee, i sindacati dei pastori organizzarono forti proteste contro il governo, leggasi: https://it.wikipedia.org/wiki/Cobas_del_latte 

[4] Articolo antico da leggere con spirito critico: "Forconi, chi c'è dietro la rivolta? Ecco le cinque ragioni per cui sono scesi in piazza"

[5] Letteralmente “vita sullo scaffale”, ovvero data di scadenza, come definito dall’EFSA e poi dal Parlamento europeo con il regolamento (UE) n. 1169/2011, e ratificato in Italia così: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/12/03/16A08463/sg

[6] Sostanza prodotta da una specie X che agisce su una specie Y https://it.wikipedia.org/wiki/Allelopatia 

[7] Un prodotto si dice titolabile quando è possibile essere certi della concentrazione del principio attivo. I prodotti sintetici vengono formulati in maniera standardizzata, utilizzando quantità fisse di principi attivi. Gli “estratti naturali” sono invece soggetti a cambiamenti poco prevedibili: come due frutti raccolti dalla stessa pianta possono avere gusti anche molto differenti, allo stesso modo due partite di concime biologico avranno contenuti molecolari, e quindi effetti, differenti. L’utilizzo di prodotti non titolabili rende imprevedibili i risultati della loro somministrazione. 

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