Il Papa e la bandiera bianca del giornalismo italiano

Nella prefazione alla seconda edizione del suo bestseller “L’illusione di Dio”, il biologo evoluzionista Richard Dawkins tratteggia il profilo di coloro che «credono nella credenza»: si tratta di intellettuali, critici e opinionisti di riviste e quotidiani, laici o dichiaratamente atei, che tuttavia «credono per conto terzi» e attribuiscono al credente e alla gerarchia ecclesiastica un’autorità che, a logica, non dovrebbero avere. È facile per lo scienziato riconoscere in tali arzigogolati e cattedratici commentatori un odore di sacrestia e un’aria di collegio. E a pochi giorni dalle vergognose parole del pontefice sull’Ucraina, è facile per noi ritrovare lo stesso odore e la stessa aria negli editoriali e nei commenti di fin troppi giornalisti. Nonostante alcune confortanti eccezioni, anche i critici del papa si sentono costretti ad avvertire che «i moniti del Sommo Pontefice non possono essere letti alla stregua di quelli di un qualsiasi capo di Stato, toccano sfere diverse e più alte», senza tuttavia specificare queste più alte sfere dove andrebbero a situarsi. Perché l’etica, ci pare – e il senso comune dovrebbe confermarlo – più che tra le stelle e le galassie andrebbe promossa sulla terra, supplicando ad esempio chi stupra, uccide e massacra da due anni a questa parte, di non stuprare, di non uccidere e di non massacrare più. Farlo richiede ovviamente una certa dose d’utopia, ma la fede e la speranza non dovrebbero mancare nell’armadio di un pontefice. Come non mancavano a Paolo VI, che supplicò i brigatisti di liberare Moro «semplicemente, senza condizioni», e non Moro di donarsi ai brigatisti.

Dell’antiliberalismo di Bergoglio si è detto molto; meno si è detto, invece, della reticenza e della pruderie della stampa italiana quando è anche soltanto sfiorata la figura del pontefice. Come se ancora oggi, più di trecento anni dopo l’illuminismo e la scomunica del principio d’autorità, ancora gli uomini si giudicassero per la carica che ricoprono piuttosto che per le idee di cui si fanno portatori; e come se ancora oggi, a quasi cinquecento anni dalla nascita di Galileo e a centocinquanta dalla morte di Dio, ancora si attribuissero a papi e cardinali metafisiche verità e misteriche rivelazioni. Pertanto chi ribatterebbe con opportuno sdegno alle medesime dichiarazioni di un Conte o di un Salvini – dichiarazioni, a dire il vero, decisamente più moderate – alterna ora timidi dissensi a equilibristiche giustificazioni, ricordando l’esempio di «Pio XII, che anche nei giorni più neri dell’occupazione tedesca, pur salvando molti ebrei, non denunciò la persecuzione nazista proprio per non dare l’impressione di aver scelto una parte piuttosto che l’altra». Sarebbe infatti apparso brutto, dissentire troppo dai nazisti. Dato quindi il fondamentale ruolo che la stampa riveste nel funzionamento delle nostre società – società certo difettose, ma comunque più libere e più giuste d’ogni altra – ci sentiamo in diritto di ricordare ai professionisti dell’informazione di fare il proprio dovere, e di farlo come è opportuno in un Paese laico, perché a difesa della Santa Sede ci sono già sacerdoti e chierichetti.

Indietro
  • Condividi