Superbonus: cosa dice realmente il Rapporto UPB 2025?

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Il Fatto Quotidiano, in un recente articolo, sostiene che il Rapporto sulla politica di bilancio 2025 dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) abbia confermato il successo del Superbonus, evidenziandone i benefici economici e occupazionali. Tuttavia, un’attenta analisi del rapporto originale e di ulteriori fonti ufficiali rivela una realtà molto più complessa e meno lusinghiera.

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Effetto su PIL, Occupazione e Produttività: Temporaneo e Limitato

Secondo il Rapporto sulla politica di bilancio 2025 dell’UPB, il Superbonus ha generato effetti positivi ma temporanei sull’economia italiana. L’aumento del PIL è stato ciclico e non strutturale: +1,5% nel 2021, +1,4% nel 2022, +1,0% nel 2023, con un effetto recessivo stimato in -1,0% nel 2024 a causa della brusca chiusura della misura stessa. L’impulso iniziale alla domanda aggregata ha avuto natura eccezionale, non ripetibile né sostenibile, e non ha modificato in modo duraturo la traiettoria della crescita.

L’effetto occupazionale, misurato in Unità di Lavoro (ULA), ha seguito un andamento analogo: +1,3% nel biennio 2021-2022, +0,9% nel 2023, con un effetto recessivo stimato in -1,0% nel 2024. Si tratta di numeri che riflettono una dinamica intensamente ciclica e che non hanno inciso in modo strutturale sulla qualità dell’occupazione.

Anche sul piano della produttività, gli effetti si sono rivelati nulli o negativi. L’incentivo ha stimolato un’espansione dell’attività in un comparto – l’edilizia residenziale – storicamente caratterizzato da bassa produttività del lavoro, alta incidenza di lavoro irregolare e scarsa intensità tecnologica. Non vi è stata alcuna ricaduta positiva in termini di innovazione, formazione o upgrading tecnologico. Al contrario, la pressione su imprese e manodopera ha accentuato fenomeni di compressione dei tempi, uso massiccio di subappalti e rincorsa alla quantità a scapito della qualità.

Come osserva l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani (OCPI), l’effetto espansivo iniziale si è basato su uno stimolo fiscale straordinario che ha “gonfiato” artificialmente la domanda nel comparto edilizio, creando una bolla temporanea. Con la fine della misura, il settore ha sperimentato un rientro altrettanto rapido, con contraccolpi significativi per imprese, lavoratori e fornitori.

In sintesi, il ciclo attivato dal Superbonus è stato breve, costoso e privo di effetti permanenti: una classica illusione contabile che ha generato picchi di attività e occupazione, seguiti da cadute simmetriche e oneri duraturi per la finanza pubblica.

Costi Economici Eccezionali: Efficienza, Moltiplicatore e Sprechi

Il Superbonus rappresenta una delle misure più onerose mai attuate in Italia in tempi di pace. Nel 2023, le sole detrazioni fiscali per l’edilizia hanno inciso per oltre il 4% del PIL, mentre le stime cumulate tra 2020 e 2023 superano i 110 miliardi di euro. È una cifra enorme, equivalente a quasi tre leggi di bilancio ordinarie, concentrata su un solo comparto produttivo e su una sola tipologia di interventi, spesso a beneficio di soggetti con alta capacità patrimoniale.

Sempre secondo il Rapporto sulla politica di bilancio 2025 dell’UPB, questa spesa straordinaria si è rivelata in larga parte inefficiente: solo il 64% degli interventi Superbonus è stato effettivamente indotto, cioè realizzato unicamente grazie all'incentivo fiscale. Il restante 36% rappresenta pura sostituzione: lavori che si sarebbero comunque effettuati, ma che ora ricadono interamente sul bilancio pubblico.

In parallelo, la Nota mensile QEF n. 903 – aprile 2024 della Banca d’Italia sottolinea come la misura abbia alimentato comportamenti opportunistici, sovraprezzi, accaparramento di materiali e carenza di manodopera, generando un contesto distorto più che un volano di crescita.

A confermare la scarsa efficacia macroeconomica del Superbonus, interviene un dato tecnico fondamentale: il moltiplicatore fiscale. Secondo le stime contenute nel rapporto Gli immobili in Italia 2023 dell’Agenzia delle Entrate, il moltiplicatore associato al Superbonus risulta pari a 0,42 nel biennio 2021–2022, 0,56 nel quadriennio 2021–2025, e 0,64 nel periodo 2021–2030. In tutte le proiezioni, dunque, ogni euro speso ha generato meno di un euro in crescita economica, con un saldo netto negativo per la finanza pubblica.

Questo conferma che l'intervento, pur avendo effetti visibili sul PIL e sull’occupazione nel breve periodo, non è stato in grado di innescare un processo virtuoso di crescita sostenibile e duratura. Al contrario, altre forme di investimento pubblico – come infrastrutture o istruzione – mostrano moltiplicatori sistematicamente superiori a 1, specie nel medio periodo.

Effetti sul Debito: un’eredità pesante

Il Rapporto sulla politica di bilancio 2025 dell’UPB quantifica in 4,6 punti di PIL l’impatto complessivo del Superbonus sul debito pubblico nel triennio 2025–2027. Questi effetti non si esauriscono con la conclusione degli interventi: i crediti d’imposta generati continueranno infatti a essere compensati negli anni a venire, producendo effetti finanziari e contabili che si trascineranno fino al 2030.

La Nota mensile QEF n. 903 – aprile 2024 della Banca d’Italia evidenzia come questa dinamica abbia contribuito in modo rilevante allo scostamento dagli obiettivi di finanza pubblica contenuti nel Documento di Economia e Finanza 2024. L’accelerazione dell’indebitamento netto strutturale e l’aumento della spesa primaria non programmata sono imputabili in larga parte alla gestione e alla chiusura improvvisa della misura.

A differenza di altri strumenti anticiclici, il Superbonus non ha creato margini per future politiche espansive: ha drenato spazio fiscale, generando rigidità che ora impongono tagli o nuove entrate per rientrare negli obiettivi europei.

Effetti inflattivi, settoriali e sulla sicurezza sul lavoro

Le tensioni inflattive indotte dal Superbonus nel comparto edilizio italiano hanno avuto pochi paragoni nel contesto europeo. Secondo il rapporto Gli immobili in Italia 2023, i prezzi dei materiali da costruzione e degli impianti sono cresciuti in media del 40% tra il 2019 e il 2022, una dinamica anomala rispetto agli altri paesi UE e non riconducibile alla sola crisi energetica globale.

L’aumento incontrollato della domanda ha provocato colli di bottiglia, scarsità di materiali, speculazione nei listini e aumento degli ordini anche per imprese prive di capacità produttiva adeguata. Come documentato dalla Banca d’Italia e dall’UPB, circa metà dell’aumento dei costi edilizi nel triennio è attribuibile direttamente alla misura.

Questo surriscaldamento ha avuto anche un costo umano. I dati INAIL mostrano un’impennata degli infortuni sul lavoro nel settore costruzioni, che ha superato i livelli pre-pandemia già nel 2022. Pur tenendo conto dell’effetto base del 2020-2021 legato al Covid, l’aumento degli incidenti nel 2022 e 2023 appare strutturale e correlato all’espansione disordinata del comparto. L’urgenza di completare i cantieri entro le scadenze fiscali, unita alla pressione sul personale e alla frammentazione dei subappalti, ha aumentato i rischi e ridotto la qualità della supervisione.

Questi effetti collaterali – inflazione settoriale, carenza di manodopera qualificata, incremento degli infortuni – si sono sommati a una dinamica distorsiva che ha reso più onerosi anche gli interventi edilizi ordinari, non incentivati. L’effetto netto è stato un peggioramento dell’efficienza allocativa e un peggioramento della sicurezza complessiva nei cantieri.

Effetti redistributivi e distributivi

La distribuzione dei benefici del Superbonus è stata iniqua e marcatamente regressiva. Secondo i dati del rapporto Gli immobili in Italia 2023, oltre il 50% della spesa totale per il Superbonus è stata assorbita da immobili situati in aree a più alto valore catastale, prevalentemente di proprietà di famiglie con redditi medio-alti o alti. In molte città, gli immobili di categoria A1 (abitazioni signorili) e A8-A9 (ville e castelli) hanno beneficiato di detrazioni tra le più alte pro capite.

L’effetto regressivo è duplice e sistemico. Da un lato, i proprietari di immobili di pregio hanno ricevuto i maggiori vantaggi fiscali, potendo attivare interventi più costosi e capienti. Dall’altro, i cittadini che non hanno potuto accedere alla misura – inquilini, giovani senza patrimonio immobiliare, proprietari con redditi troppo bassi per sostenere le spese iniziali o abitanti in condomìni disfunzionali – sono stati esclusi dai benefici diretti, ma hanno comunque finanziato la misura attraverso la fiscalità generale.

Si è dunque prodotta una redistribuzione inversa: dalle fasce meno abbienti verso quelle più agiate. L’assenza di criteri selettivi (come tetti ISEE o limiti di valore dell’immobile) ha reso la misura strutturalmente iniqua. Come evidenziato anche dall’OCPI e da diverse analisi di microdati fiscali, il Superbonus ha rafforzato le disuguaglianze patrimoniali preesistenti, generando un effetto di trasferimento netto di risorse pubbliche verso l’alto della scala sociale.

Questa dinamica è aggravata dal fatto che il bonus ha riguardato in modo prevalente immobili unifamiliari o villette, soprattutto nei primi anni di attuazione, mentre gli interventi condominiali – più rilevanti per l’edilizia popolare e la coesione urbana – hanno scontato ritardi e ostacoli amministrativi maggiori. Il risultato finale è stato un aumento della polarizzazione tra chi ha potuto ristrutturare interamente la propria abitazione a spese dello Stato e chi non ha ricevuto nulla, ma ne sopporta comunque i costi.

Impatti di lungo termine e rallentamento economico

La fine della misura ha prodotto un effetto recessivo netto. Secondo l’UPB, il valore aggiunto del settore costruzioni calerà del -1,0% nel 2024. Ma l’impatto reale sarà più ampio, considerando i crediti incagliati, i licenziamenti e le conseguenze su tutta la filiera. Il blocco della cessione dei crediti ha paralizzato la liquidità di migliaia di imprese, innescando una crisi finanziaria che in molti casi ha portato alla sospensione dei cantieri o al fallimento.

Il Superbonus ha creato un’espansione artificiale e instabile del settore edilizio. Molte imprese hanno assunto e investito sulla base di una domanda drogata dall’incentivo fiscale, espandendosi rapidamente senza una base sostenibile. Con la sua fine, si è verificata una contrazione speculare: mancati pagamenti, crollo degli ordinativi, contenziosi giudiziari e incertezza normativa.

Secondo i dati di CNA Costruzioni e Ance, numerose micro e piccole imprese edili hanno accumulato crediti non liquidabili, rimanendo esposte a rischio default. Le conseguenze sono evidenti anche sul piano occupazionale, con la perdita di posti di lavoro e un aumento della precarietà nel comparto. Le difficoltà si estendono lungo tutta la catena: progettisti, fornitori, tecnici, consulenti.

Il ciclo economico attivato si è risolto in uno shock transitorio mal progettato, con una breve espansione seguita da una recessione simmetrica e un elevato costo finanziario. La lezione più evidente è che politiche espansive non strutturate, prive di selettività e prospettiva industriale, generano instabilità più che crescita duratura. In questo senso, il Superbonus si configura come un esempio paradigmatico di stimolo pro-ciclico sbilanciato, con impatti gravi nel medio periodo sulla sostenibilità dell’intero settore.

Conclusioni

Contrariamente alla rappresentazione del Fatto Quotidiano, il Rapporto sulla politica di bilancio 2025 dell’UPB e numerose fonti indipendenti (QEF n. 903 della Banca d’Italia, Gli immobili in Italia 2023, OCPI, lavoce.info) mostrano che il Superbonus è stato caratterizzato da inefficienza economica, effetti regressivi, inflazione settoriale e un’eredità fiscale pesantissima.

Questa misura non è un modello da imitare, ma un caso scuola di come l’emergenza può essere usata per giustificare interventi populisti, con benefici di breve periodo e costi che ci accompagneranno per decenni.

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