Questo è il monito che arriva dagli abitanti di Gaza e che riassume le proteste scoppiate contro Hamas, iniziate il 25 marzo 2025 e propagatesi in varie aree della Striscia di Gaza, che hanno raccolto centinaia, ed in alcuni casi migliaia, di manifestanti. Questa improvvisa ondata di contestazioni è però tutt’altro che un fenomeno inedito nella storia del popolo palestinese.
Già nel 2010 varie proteste erano scoppiate per criticare le ingerenze di Hamas nel processo e nelle tempistiche di voto dell’Autorità Palestinese (2). In particolare, le delegazioni di Fatah e Hamas avevano lasciato trasparire divergenze sulle modalità con cui perseguire la causa palestinese, divergenze che hanno spesso inficiato la buona riuscita dei negoziati a causa della differente visione sui confini dello Stato Palestinese. L’ANP guidata da Fatah ha sempre mirato a compromessi che cercassero di ristabilire i confini del 1967 (3), mentre Hamas, che non è parte dell’ANP, ha perennemente rifiutato qualsiasi proposta non in linea con la Prefazione e l’Art. 7 dello Statuto del Movimento di Resistenza Islamico (Hamas), datato 18 agosto 1988 (4).
A seguito delle proteste “We want electricity” del 12 gennaio 2017, il 12 ottobre 2017 un accordo di conciliazione tra l’ANP e Hamas ha portato al parziale trasferimento del governo di Gaza dal comitato amministrativo di Hamas all’esecutivo dell’Autorità Nazionale Palestinese con la consegna all’ANP della gestione finanziaria dei valichi (5). Eppure, nonostante questo accordo, Hamas tutt’oggi mantiene un controllo autoritario significativo sul territorio.
Nel 2019 ulteriori proteste hanno riguardato gli abitanti della Striscia di Gaza. Sotto lo slogan “We want to live”, il movimento popolare giovanile ha rappresentato una delle più significative espressioni di dissenso popolare contro il governo di Hamas (6), nonostante le forze di sicurezza siano spesso intervenute a disperderli, arrestando almeno mille manifestanti, come indicato dalla Commissione Indipendente per i Diritti Umani (7).
Questa situazione è stata ulteriormente esacerbata dalla crisi economica e dal blackout del 2023. Le città di Gaza City e Khan Younis hanno conosciuto le proteste più accese contro la cattiva gestione della situazione economica e occupazionale di Hamas. Durante le proteste sono stati denunciati gli alti standard di vita dei leader di Hamas all’estero ed è emersa la volontà di cambiamento della popolazione di Gaza. Piuttosto sorprendentemente, queste proteste avevano avuto origine da un account anonimo su Instagram dal nome di “Al-Virus Al-Sakher” che con 160,000 followers era riuscito a mobilitare un numero considerevole di persone.
Le proteste contro Hamas iniziate lo scorso marzo rappresentano pertanto l’ultimo anello di una lunga catena di contestazioni, ma si contraddistinguono perché scaturite dalla crescente esasperazione dovuta alla guerra in corso con Israele iniziata il 7 ottobre 2023 e soprattutto dall’insufficiente protezione della popolazione palestinese da parte di Hamas contro la distruzione e la violenza perpetrate dalle forze israeliane (8). Come riportato da varie fonti, migliaia di manifestanti nelle città di Beit Lahia (9), Jabalia (10), Khan Yunis, Deir al-Balah e Gaza si sono radunati nei campi profughi al grido di “Vogliamo mangiare”, “Abbasso Hamas” oppure “Hamas out” (11). A causa del mancato raggiungimento di un cessate il fuoco, le proteste sono proseguite senza dar cenno di fermarsi e varie famiglie influenti della società palestinese hanno inviato un messaggio univoco di ribellione nei confronti di Hamas (12).
Anche l’Autorità Nazionale Palestinese è intervenuta sulla questione quando il 2 Aprile ha esortato Hamas a “dare priorità agli interessi del popolo Palestinese”. Allo stesso tempo, l’ANP ha rifiutato la proposta dell’“Asse Morag” proposta da Netanyahu mantenendo un tono di sfida riguardo al rifiuto da parte di Israele di passare alla fase 2 del cessate il fuoco concordato con Hamas (13).
Diverse persone hanno iniziato a fare resistenza passiva evitando così di provocare oltre misura le forze di Hamas. A Gaza alcune testate giornalistiche locali hanno iniziato ad etichettare i manifestanti più attivi come spie finanziate da Israele. Con questo pretesto, alcuni militanti di Hamas hanno eliminato i soggetti ritenuti più sovversivi. Ciò che emerge è la paura del popolo palestinese, che si palesa sempre più nello scegliere se manifestare per un cessate il fuoco oppure per un governo di transizione nella Striscia di Gaza. Per ora la seconda opzione rimane meno allettante a causa del rischio di trovarsi senza forze politiche determinanti in uno scenario post-Hamas (14).
L’opinione dei palestinesi sulla loro leadership politica
Le recenti proteste si differenziano anche perché segnano una svolta significativa e imprevista nella Striscia, dove la popolarità di Hamas era cresciuta in seguito all’incursione israeliana. Le manifestazioni in corso a Gaza sembrano dunque riportare a galla quei sentimenti di disaffezione che la popolazione palestinese ha sempre nutrito nei confronti dei suoi leader, incapaci di far fronte anche solo ai bisogni primari della popolazione.
Sebbene sia spesso complicato ricavare in quest'area dati circa le posizioni dell’opinione pubblica, una ricerca degna di nota è quella condotta dall’Arab Barometer, in partnership con il Palestinian Center for Policy and Survey Research, che rivela la scarsa fiducia dei Gazawi nei confronti del governo guidato da Hamas. Le interviste prese in considerazione sono state condotte tra il 28 settembre e il 6 ottobre, pochissimi giorni prima del famigerato attacco ai kibbutzim del 7 ottobre.
I risultati del sondaggio sono inequivocabili. Prima dell’inasprirsi del conflitto tra Israele e Palestina, il 44% degli intervistati non aveva alcuna fiducia in Hamas, mentre il 23% dichiarava di averne poca. Il governo dei fondamentalisti islamici era inoltre visto dalla popolazione come largamente (34%) o mediamente (38%) corrotto. Messi di fronte alla possibilità di nuove elezioni presidenziali, solo il 24% sosteneva di voler votare per il leader di Hamas, Ismail Haniyeh (15).
L’operazione militare israeliana ha parzialmente mutato il quadro. L’efferatezza con cui il governo israeliano ha lanciato l’assalto nella Striscia di Gaza ha miracolosamente resuscitato i consensi e le simpatie per il gruppo islamico. Un nuovo sondaggio condotto alla fine di maggio 2024 mostrava chiaramente che, sebbene il dato fosse in calo, più della metà degli abitanti di Gaza intervistati consideravano corretta la decisione di effettuare l’offensiva del 7 ottobre. Ancora, il 64% dei rispondenti riteneva che Hamas si fosse comportata bene nel corso della guerra e, di fronte all’eventualità di nuove elezioni, il 38% dei gazawi avrebbe votato per Hamas, contro il 24% in favore di Fatah, il partito dell’attuale impopolare Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas.
Dopo decine di migliaia di morti e la devastazione di gran parte del territorio, gli abitanti di Gaza non hanno più potuto tollerare una prosecuzione del conflitto e, pur continuando ad attribuire ad Israele le condizioni misere in cui versano, non hanno esitato a scaricare la loro rabbia anche su Hamas, rea di opprimere la Striscia da troppi anni, di non avere davvero a cuore il benessere e la salvezza del popolo palestinese, al contrario sacrificandolo alla causa dell’eliminazione di Israele. Per la prima volta dal 7 ottobre, si sono levate voci per contestare la leadership di Hamas, con messaggi molto forti che hanno addirittura evocato un cambio di regime: “Quando è troppo è troppo. Avete governato abbastanza a lungo; date una possibilità ad altri e lasciate che vengano” (16).
Aiutare Hamas a fallire
È ancora troppo presto per dire se questi avvenimenti avranno un impatto concreto sul prosieguo della guerra. Alcuni esperti sostengono che Israele debba adesso capitalizzare queste proteste e mostrare contegno, assicurando assieme agli Stati Uniti la sicurezza dei civili di Gaza, 1,4 milioni dei quali sono al momento sfollati (17). Audrey Kurth Cronin, Direttore del Carnegie Mellon Institute for Strategy and Technology, nelle sue ricerche ha mappato 457 organizzazioni e campagne terroristiche degli ultimi 100 anni per comprendere in che modo i gruppi terroristici falliscano e scompaiano. L’analisi di Cronin rivela che la strategia migliore per vincere un’organizzazione come Hamas passa attraverso la perdita di consenso e la ribellione popolare.
Gli ingredienti ci sono tutti: un governo oppressivo che utilizza arresti e torture per opprimere il dissenso e la democrazia, servizi di sicurezza che minacciano i giornalisti e tracciano le persone tacciate di atti immorali, l’incapacità di migliorare le condizioni di vita dei cittadini, gli errori strategici e di calcolo, come l’assalto del 7 ottobre, perpetrato senza riuscire ad anticipare le reazioni dell’avversario. Non è un caso che, come appena evidenziato, il gruppo terrorista nel corso degli anni non abbia mai goduto di ampia popolarità e proprio per questo
“per aiutare Hamas a fallire, Israele dovrebbe fare tutto il possibile per dare ai palestinesi di Gaza la sensazione che esista un’alternativa ad Hamas e che un futuro più speranzoso sia possibile. Invece di limitare gli aiuti umanitari a un flusso ridotto, Israele dovrebbe rifornirli in quantità massicce. Invece di distruggere infrastrutture e case, Israele dovrebbe anche condividere piani per ricostruire il territorio. Invece di attuare punizioni collettive e sperare che i palestinesi alla fine incolpino Hamas, Israele dovrebbe comunicare che vede una distinzione tra i combattenti di Hamas e la stragrande maggioranza della popolazione […] (18).
Le campagne repressive di Israele hanno spesso portato a un aumento del supporto ad Hamas e ai suoi obiettivi massimalisti contro lo stato ebraico. Ora che le recenti proteste stanno determinando un’inversione di tendenza, lo scenario descritto da Kurth Cronin sembra più plausibile, anche se permangono due ostacoli apparentemente insormontabili che rendono il futuro incerto: Israele non sembra intenzionato a esercitare moderazione, con una nuova escalation e nuove offensive perpetrate dopo la rottura della tregua siglata a marzo (19), e le forze politiche alternative ad Hamas come al-Fatah godono di ancora meno supporto da parte della popolazione, rendendo ogni altra opzione difficilmente percorribile.
Voices from Gaza: Protests demand an end to war and suffering - Al Jazeera
Palestinian local elections postponed - Ynetnews
Le conseguenze della politica di Hamas nella Striscia di Gaza - CeSI
Statuto del Movimento di Resistenza Islamico (Hamas) (18 agosto 1988) - CESNUR
Striscia di Gaza: il passaggio dei poteri da Hamas all’Anp - euronews
Gaza rights groups denounce Hamas crackdown on protests - Al Jazeera
Another Brutal Crackdown by Hamas in Gaza - Human Rights Watch
“More than a human can bear”: Rapporto della Commissione d'Inchiesta Internazionale Indipendente delle Nazioni Unite sul Territorio Palestinese Occupato sulla violenza sessuale, 13 marzo 2025 - Centro di Ateneo per i Diritti Umani Antonio Papisca
Hundreds in Gaza join rare protests against Hamas rule, call for an end to the war - The Times of Israel
Hundreds join protest against Hamas in northern Gaza - The Guardian
Gazans Protest Against Hamas and War for a Second Day - The New York Times
PA breaks silence on 'anti-Hamas' protests in Gaza, says demands must be met - The New Arab
Hamas seeks to silence Gazans who criticize it over war with Israel - The Washington Post
What Palestinians really think of Hamas - Foreign Affairs
‘Enough war’: Why Gazans are protesting Hamas now - CNN
How Hamas ends - Foreign Affairs
A Gaza è di nuovo guerra aperta: Israele allarga l’offensiva di terra - Domani
