Il 30 agosto a Verona, in un ristorante del centro, è stato organizzato un incontro presentato come “serata di memoria e pace”. Al centro dell’iniziativa c’erano la strage di Beslan del 1° settembre 2004 – in cui persero la vita oltre 330 persone, tra cui 186 bambini – e la figura di Daria Dugina, figlia del “filosofo” Aleksandr Dugin, uccisa nel 2022.
L’iniziativa non è stata affatto un innocuo momento di ricordo, ma un evento organizzato da realtà note per i loro legami con il Cremlino:
- il Russkij Dom – Verona, guidato da Marina Kholodenova, in collegamento con la Russian House di Roma (Rossotrudničestvo, agenzia ufficiale di Mosca per la “cooperazione culturale” all’estero);
- il Centro Studi Suvorov, presieduto dall’ex deputato leghista Vito Comencini, figura centrale della rete filorussa in Veneto;
- l’ODV Aiutateci a salvare i bambini di Ennio Bordato, nata dopo Beslan e oggi attiva anche nel Donbas;
- Eliseo Bertolasi, presidente del Movimento Internazionale Russsofili – Italia e traduttore in italiano del libro di Darya Dugina, Ottimismo escatologico.
Questo volume è stato pubblicato nel 2023 da AGA Editrice (collana “La cultura che non si arrende”) e non si tratta di un’opera autonoma ma di una raccolta postuma di scritti e interviste di Daria, curata dal padre Aleksandr Dugin e dalla madre Natalia Melentyeva. Più che un testo filosofico, appare come un monumento familiare con cui l’ideologo del “mondo russo” eleva la figlia a “filosofa”, benché il suo contributo sia stato essenzialmente quello di farsi megafono delle tesi paterne. La postfazione del traduttore Bertolasi completa l’operazione, rafforzandone la funzione di veicolo propagandistico.
La formula dell'incontro al ristorante di Verona resta invariata, come ogni incontro propagandistico della Federazione (terroristica) Russa : usare tragedie reali per costruire una narrativa che mescola vittime e aggressori e, soprattutto, ripulisce l’immagine di Mosca.
Questi incontri, spesso poco pubblicizzati e ospitati in spazi privati, vengono poi rilanciati come legittimazione politica all'interno di istituzioni italiane ed europee.
Non è un caso che il tutto avvenga a Verona, città che da anni funge da laboratorio politico e simbolico del Cremlino in Italia, anticipando e talvolta perfino precedendo la narrativa ufficiale di Mosca.
Nel maggio 2016 il Consiglio regionale del Veneto approvò una mozione presentata dal consigliere Stefano Valdegamberi (Lega) che chiedeva, fra le altre cose, il riconoscimento della Crimea come parte della Federazione Russa e la revoca delle sanzioni UE. Si trattava di un atto politico puramente simbolico, privo di qualsiasi valore vincolante in materia di politica estera, ma il suo impatto mediatico fu notevole: la notizia venne rilanciata nella Federazione Russa come se il Veneto fosse diventato la prima istituzione occidentale ad appoggiare l’annessione.
Il quotidiano statale russo “Izvestija” scriveva con enfasi:
«Il Parlamento regionale del Veneto il 18 maggio voterà per il riconoscimento della Repubblica di Crimea come parte della Federazione Russa, per la condanna della politica dell’Unione Europea nei confronti della penisola – definita “discriminatoria e ingiusta dal punto di vista dei principi del diritto internazionale” – e per la “revoca immediata delle sanzioni anti-russe dell’UE”. In caso di esito positivo del voto, il Veneto diventerà la prima regione d’Europa a riconoscere la Repubblica di Crimea come parte della Federazione Russa. Lo stesso giorno si terrà la votazione in merito. Lo hanno comunicato a Izvestija fonti del parlamento veneto».
E ancora dichiarazioni di Stefano Valdegamberi:
«La Crimea ha il diritto all’autodeterminazione. Vogliamo creare una coalizione contro l’assurda politica dell’UE. Gli imprenditori veneti e il popolo italiano condividono le nostre aspirazioni.
L’assurdità della politica europea è confermata dai principi del doppio standard».
Pochi giorni dopo l’approvazione della mozione, Valdegamberi prese parte al Forum economico di Yalta, in Crimea occupata... Due anni più tardi, nel 2018, il Consiglio comunale di Verona – su iniziativa di Vito Comencini – ha revocato la cittadinanza onoraria al presidente ucraino Petro Poroshenko, accusandolo di violazioni dei diritti dei russofoni nel Donbass. E già dal 2020, in città, è attivo un ufficio della cosiddetta Repubblica Popolare di Donetsk, guidato da Palmerino Zoccatelli, ex animatore dell’associazione Veneto-Russia, con il sostegno di Comencini e di altri esponenti leghisti. Due anni prima che il Cremlino riconoscesse formalmente le pseudo-repubbliche separatiste, Verona aveva dunque già spalancato le proprie porte alla propaganda russa.
Le visite del sindaco di Beslan in Veneto e nelle Marche, con protocolli di amicizia e dichiarazioni “contro il terrorismo” firmate da alcuni sindaci italiani, non hanno avuto quasi alcuna eco in Italia.
Al contrario, in Russia sono diventate materiale di propaganda. L’agenzia di Stato TASS ha presentato queste firme come la “Dichiarazione di Beslan”, descrivendole come un fronte comune con l’Italia contro terrorismo, estremismo e intolleranza etnica.
La narrativa è chiara: sfruttare la memoria di una tragedia autentica per accreditare il Cremlino come vittima e baluardo della lotta al terrorismo. Ma il paradosso e strumentalizzazione sono evidenti: proprio per quella strage, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto le responsabilità dirette dello Stato (Federazione Russa), accusandolo di non aver prevenuto l’attacco nonostante informazioni precise, di aver usato armi indiscriminate e sproporzionate (cannoni, lanciagranate, lanciafiamme) e di aver condotto indagini inadeguate e manipolate per ostacolare la verità.
Così, mentre Strasburgo condannava Mosca per la morte di centinaia di bambini e genitori, la propaganda dei “russofili” italiani trasforma Beslan in un simbolo esportabile, da usare nei protocolli con comuni italiani per legittimare l’immagine del Cremlino come “difensore della pace” e “contro terrorismo”.
Questa rete ha coinvolto storicamente la Lega e i suoi rappresentanti, ma non solo. Il 28 novembre 2024, ad esempio, a firmare la dichiarazione congiunta con il sindaco di Beslan è stato un sindaco civico di area PD, Dario Luigi Tardivo (Campo San Martino). La propaganda russa ha sfruttato anche quel gesto per mostrare che “l’Italia intera”, non solo la destra, è disposta a collaborare con Mosca “contro il terrorismo”.
Infatti, è la stessa agenzia di Stato russa TASS a riportare con enfasi la “notizia da Roma”:
«Il sindaco (di Beslan) ha visitato diverse città nelle regioni del Veneto e delle Marche e in tre di esse ha firmato dichiarazioni congiunte sulla lotta al terrorismo. Questo documento viene chiamato Dichiarazione di Beslan. In esso si condannano tutte le forme di terrorismo, l’ideologia dell’estremismo e l’intolleranza etnica. Con una delle città – Piandimeleto – è stato inoltre firmato un accordo di cooperazione e amicizia. In questo modo Beslan risulta ormai collegata a quattro città italiane. In alcune città d’Italia ci sono strade e parchi intitolati alla memoria dei bambini di Beslan. “Con gli italiani abbiamo un buon contatto, ci dicono che ricordano la nostra tragedia” – ha concluso il sindaco, sottolineando che nessuno ha ostacolato la sua missione».
Una notizia marginale in Italia, trasformata dai media della Federazione Russa in una “Dichiarazione di Beslan”, presentata come un fronte comune con l’Europa contro terrorismo.
Il punto è che il 30 agosto, a soli due giorni dall’anniversario della strage di Beslan – di cui ricorrono 21 anni e i cui genitori e familiari cercano ancora la verità – a Verona, insieme al pranzo, è stato servito anche uno spettacolo propagandistico. La tragedia di Beslan – per la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto responsabilità dirette dello Stato russo – sarà d'ora in poi intrecciata con la dottrina del “mondo russo” di Aleksandr Dugin, evocata attraverso la memoria della figlia Daria, e proiettata sul Donbas come se si trattasse dello stesso “terrorismo”. Un’operazione narrativa che rovescia i ruoli proprio mentre la Federazione Russa conduce la sua aggressione su larga scala contro l’Ucraina e i tribunali internazionali documentano le deportazioni di minori ucraini e l’uso sistematico della propaganda.
La rete che parte da Verona – fatta di associazioni legate alla Russian House di Roma (Rossotrudničestvo), incontri “soft” e protocolli firmati con alcuni comuni – dimostra chiaramente come il laboratorio putiniano riesca ad agganciare non solo la Lega, ma anche amministratori fuori dall’orbita della destra, facendo strisciare il messaggio di Mosca all'interno delle nostre istituzioni locali e, soprattutto, trasformando tragedie reali in strumenti di manipolazione per confondere gli italiani “stanchi e confusi”.
Una doverosa integrazione
Il 3 settembre, davanti al Teatro dell’Arte Drammatica di Mariupol – lo stesso che la Federazione Russa ha bombardato nel 2022 uccidendo centinaia di civili, tra cui moltissimi bambini – le autorità di occupazione hanno messo in scena un “concerto-requiem contro il terrorismo”.
Un coro militare russo ha intonato la canzone “Vivere”, mentre bambini si sono esibiti in danze e acrobazie per “simbolizzare ciò che avrebbero potuto diventare i piccoli uccisi dal terrorismo”. Alla fine tutti hanno acceso candele, mentre attorno al teatro distrutto dalle bombe russe era allestita una mostra sugli attentati terroristici nella Federazione Russa, dedicata alla giornata della memoria delle vittime del terrorismo.
Questa giornata è stata istituita in memoria delle vittime della strage di Beslan del 2004, quando 334 persone morirono nell’assalto alla scuola n. 1. Vent’anni dopo, un documentario di Navalny Live Channel ricostruisce i dettagli di quel crimine di Stato, denunciando come le autorità russe rifiutarono i negoziati, mentirono sul numero degli ostaggi e lanciarono un assalto indiscriminato con armi pesanti. L’inchiesta non si è mai conclusa, e ancora oggi le madri di Beslan chiamano Putin apertamente “il boia di Beslan”.
Ed è qui che il mondo si capovolge: mentre le madri di Beslan piangono i figli, cercano ancora la verità e accusano Putin di quella strage, lo stesso “boia” – che possiamo chiamare anche “il boia di Mariupol”, ma anche di Kramatorsk, di Kyiv e di tante altre città ucraine – utilizza le immagini dei suoi crimini per inscenare a Mariupol una celebrazione di sé come paladino dell’“antiterrorismo”.
Un paradosso agghiacciante che rivela come l’impunità dei crimini di ieri apra la strada ai massacri di oggi: ovunque arrivi la mano del boia del Cremlino, soffoca la vita nel sangue e si traveste da “cultura” e “memoria” per coprire il proprio terrorismo di Stato.
E questo sarebbe solo un’altra favola di TASS, se non ci fossero in Italia complici pronti a trasformarla nella nostra realtà.
