Di queste tre variabili quella più volatile è la migrazione poiché influenzata direttamente da politiche nazionali o da eventi esterni non controllabili. La fertilità, pur non subendo variazioni improvvise, pone diverse difficoltà previsionali sul lungo termine poiché determinata da dinamiche culturali più lente. Questi modelli previsionali garantiscono scenari diversi, rispecchiando l’incertezza di dinamiche sociali complesse, fornendo al tempo stesso informazioni estremamente utili alla pianificazione di politiche e per prevedere l’andamento generale di una popolazione. Le previsioni più si proiettano nel futuro più diventano incerte creando così un’ampia forbice di scenari possibili che possono essere soggetti ad interpretazioni. Una valutazione ottimistica o una pessimistica possono portare ad azioni diverse influenzando l’agenda politica. Per questo motivo la valutazione di dinamiche culturali moderne risulta utile per una migliore interpretazione dei risultati forniti dai modelli demografici. Se le nuove generazioni vivono immersi in una cultura profondamente diversa rispetto a quella dei loro genitori questo potrebbe tradursi, nel futuro, in una maggiore o minore propensione ad avere figli. Queste dinamiche faticano ad emergere nei modelli se non quando il cambiamento appare evidente e quantificabile.
Un’ombra incombe sui modelli demografici
Abbiamo detto che le attuali previsioni demografiche si basano sul modello Cohort Component Population Projection. Il modello proietta la popolazione nel futuro partendo da dati osservati al primo gennaio dell’anno base di riferimento. Abbiamo anche già anticipato che per le stime vengono usati principalmente tre dati: i tassi di fecondità per età, la mortalità per sesso ed età ed infine il saldo migratorio. Il grado d’incertezza in questi modelli è elevato, per questo ISTAT o Eurostat utilizzano intervalli di probabilità per poter incorporare più scenari all’interno delle previsioni. Strumenti di questo tipo permettono di pianificare interventi strutturali nei sistemi di welfare nazionali, tuttavia, per via della loro incertezza, possono essere interpretati, portando di conseguenza a valutazioni e azioni diverse. I modelli, inoltre, faticano a considerare fattori non demografici che possono influenzare la crescita o la diminuzione della popolazione; variabili culturali emergenti non entrano direttamente nei modelli per via della mancanza di dati consolidati su cui poter lavorare. Diversi studi riflettono l’importanza dei cambiamenti culturali e tecnologici su variabili come i tassi di fertilità: in uno studio condotto in Brasile si è notato che le soap operas hanno contribuito al calo dei tassi di fertilità. In un altro studio condotto del 2008 in India si è visto un effetto simile dopo la diffusione della televisione. Le tecnologie, quando entrano all’interno del corpo sociale, veicolano informazioni e valori, influenzando, più o meno indirettamente, i comportamenti. Per questo motivo cercare di prevedere gli effetti di una certa tecnologia può dimostrarsi utile nell’interpretazione dei modelli demografici, soprattutto se esistono già indicatori di un qualche tipo di cambiamento.
I cambiamenti culturali
Negli ultimi decenni le società occidentali hanno assistito a diversi cambiamenti culturali e tecnologici i cui effetti si vedono principalmente sulla salute mentale delle nuove generazioni. I social media hanno cambiato la vita soprattutto dei giovani e, in base alle ultime evidenze, hanno contribuito a peggiorarne la qualità. L’uso di social media per almeno tre ore al giorno è associato a disturbi depressivi, problematiche legate all’ansia e anche a disturbi alimentari. Secondo l’ultimo report della commissione europea circa il 96 per cento dei quindicenni, nel 2022, ha usato i social, il 37 per cento per più di tre ore al giorno. I problemi sono stati esacerbati dalla pandemia e ormai sempre più studi consigliano interventi politici di tutela e prevenzione.
Se si pensa al fenomeno da un punto di vista demografico si aggiunge un ulteriore livello di complessità. Persone che hanno avuto problemi in adolescenza, infatti, tendono ad avere meno probabilità di sviluppare relazioni in età adulta e più si avanza con l’età più diventa difficile creare relazioni stabili. A destare preoccupazione concorrono altri fenomeni come il ritiro sociale, in particolare crescita in Italia. Secondo l’ultima ricerca del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) casi di estremo isolamento risultano sempre più diffusi fra gli adolescenti, senza particolari distinzioni di genere o status socio-economico. Risultano evidenti, inoltre, altri cambiamenti culturali di più ampio respiro: una crescente instabilità coniugale, crescita di coppie senza figli, una maggiore inattività sessuale delle generazioni più giovani. L’effetto è più marcato per i maschi della Generazione Z (nati dal 97’ fino al 2012); pur essendo ancora fonte di discussioni e studi, il trend appare visibile anche da studi effettuati da altri enti, come il Censis, secondo cui in Italia circa l’11 per cento delle persone dai 18 ai40 anni non ha mai avuto rapporti sessuali. Non è un caso, forse, che in questi anni si stia iniziando a parlare sulla televisione pubblica di alcuni fenomeni sociali come quello degli Incel, ovvero i celibi involontari, caratterizzati da ideologie pseudo scientifiche come la Teoria Redpill. Quest’ultima è una risposta ideologica utile a spiegare il perché di certi cambiamenti come l’aumento dei celibi involontari maschi, ascrivendone le cause a soli fattori biologici.
Considerazioni finali
Naturalmente non è detto che nei prossimi anni si registrerà un calo considerevole delle nascite, perché dipendono anche da altri fattori socio-economici, ma, ad oggi, vi sono molti indicatori che evidenziano problematiche crescenti nelle generazioni più giovani sotto l’aspetto individuale e quindi relazionale. In paesi come l’Italia dove la questione demografica è tema particolarmente problematico e che pone grosse sfide al sistema sociale, fare affidamento su interpretazioni ottimistiche potrebbe risultare imprudente. Non sarebbe la prima volta, infatti, che le previsioni di lungo termine si dimostrano più ottimistiche di quanto poi è risultato nella realtà: negli anni 90’ si ipotizzavano tassi di fertilità nettamente più alti nei decenni successivi rispetto a quelli reali.
Secondo l’ultimo report di Istat del 2025 lo scenario mediano prevede un rialzo dei tassi di fertilità da 1,18 figli per donna nel 2024 a 1,46 nel 2080. Alla luce dei ragionamenti fatti e dei problemi evidenziati uno scenario di questo tipo potrebbe essere lontano dalla realtà; se il sistema e la politica non sono pronti a far fronte ad un calo demografico più marcato l’intera società ne risentirà. Parlare e cercare soluzioni oggi per le crescenti problematiche personali potrebbe voler dire evitare e prevenire problemi più complessi fra venti o trent’anni, ovvero quando emergeranno chiaramente i comportamenti delle nuove generazioni.
Pro e contro dei modelli Cohort Component
Soap Operas and Fertility: Evidence from Brazil - American Economic Association
The Power of TV: Cable Television and Women's Status in India
Indagine Europea sull’uso dei social media
Effetti a lungo termine di problematiche mentali sulle relazioni
RECESSIONE SESSUALE: i giovani fanno sempre meno sesso?
Marco Crepaldi 2022: Il fenomeno degli Incel e la Teoria Redpill
PREVISIONI DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE E DELLE FAMIGLIE | BASE 1/1/2024 | Istat
