Definire il populismo in un contesto democratico
È sempre più importante oggi comprendere il concetto di populismo in quanto rappresenta un modo di vivere la politica che minaccia il buon funzionamento di una democrazia (1). Purtroppo, non esiste nelle scienze sociali una definizione universalmente accettata e il termine è spesso utilizzato in modo ambiguo. Questa mancanza di consenso porta a considerare il populismo come un concetto-ombrello, capace di coprire una vasta gamma di fenomeni politici diversi. Ritengo tuttavia una definizione chiara e onnicomprensiva quella di De Nardis (2023), che definisce il populismo come l’“[...] esercizio di mobilitazione delle masse da parte di un leader carismatico che mette in atto specifiche strategie di comunicazione politica per instaurare un rapporto diretto con il popolo (2)”.
Bisogna però prestare attenzione: il populismo, nelle sue forme prevalenti, non mette di per sé in discussione il principio democratico; il problema sorge laddove estremizza il principio di maggioranza a discapito di altri principi democratici (quali la tutela delle minoranze) (3).
Possiamo ora identificare i tre principali approcci al populismo nella letteratura della sociologia politica: stile comunicativo, strategia organizzativa e ideologia.
Il populismo come stile comunicativo
Una prima prospettiva interpreta il populismo come uno stile comunicativo (4). In questo senso, ci si concentra su quella strategia discorsiva utilizzata dai leader atta a costruire un legame diretto e immediato con il pubblico e ottenere consenso. Caratteristiche tipiche includono un linguaggio deliberatamente semplice, diretto, spesso enfatico, che evita il gergo politico specialistico (il c.d. “politichese”) e che tende a semplificare eccessivamente problemi complessi. L’obiettivo del leader è apparire autentico e “uno del popolo”, in contrasto con l’immagine percepita di una classe politica distante ed elitaria. Si pensi, ad esempio, a discorsi che riducono intricate questioni economiche a slogan semplici e facilmente memorizzabili, volti a suscitare una reazione emotiva piuttosto che un’analisi razionale.
Il populismo come strategia organizzativa
Un secondo approccio vede il populismo come una strategia organizzativa (5). Secondo autori come Weyland, il populismo sarebbe un modo specifico di strutturare i movimenti e i partiti politici. Al centro di questa struttura vi è un leader forte, spesso carismatico, che cerca di stabilire un rapporto diretto e non mediato con un vasto numero di seguaci, generalmente non organizzati in strutture intermedie tradizionali come i partiti di massa o i sindacati. Questa strategia si basa sulla ricerca e l’esercizio di un potere fondato su questo sostegno diretto e non istituzionalizzato. Da questa prospettiva, l’azione dei populisti è vista come prevalentemente top-down, ovvero guidata dagli obiettivi del leader personalistico, il cui agire può apparire opportunistico o persino contraddittorio poiché primariamente orientato a mantenere il supporto popolare. Un esempio potrebbe essere un leader che convoca manifestazioni o utilizza direttamente i social media per rivolgersi ai sostenitori, bypassando i canali e le strutture interne del proprio stesso partito.
Il populismo come ideologia
Una terza prospettiva definisce il populismo come un’ideologia (6). Questa visione, promossa da Mudde, lo descrive come un’“ideologia dal cuore sottile”. Ciò significa che non offre una visione completa del mondo come le ideologie tradizionali, ma si concentra su un’unica idea centrale: la società è vista come divisa in due campi omogenei e contrapposti. Da un lato, il “il popolo puro” e, dall’altro, “l’élite corrotta” (7). Da questa premessa deriva la convinzione che la politica debba essere nient’altro che la diretta espressione della volontà generale del popolo. Questo approccio si fonda su una visione dualistica della società, nella quale si può pensare a come certi movimenti politici inquadrino ogni questione come una lotta tra “la gente comune” – cioè il popolo – e “i poteri forti” o “il sistema” – cioè l’élite corrotta.
Cos’hanno in comune tutti i populismi?
Nonostante le differenze, è possibile individuare alcuni elementi comuni che caratterizzano tutti i fenomeni populisti (8).
(1) In primo luogo, nel discorso populista il popolo è l’attore principale. Esso viene costruito discorsivamente come un’entità unica e omogenea, i cui membri condividono valori e identità, minimizzando o negando le divisioni interne. Questa unità è spesso una costruzione artificiale, realizzata in parte definendo chi è “dentro” (in-group) e chi è “fuori” (out-group). Chiunque abbia opinioni diverse o sia percepito come esterno al popolo (una particolare minoranza o gli oppositori politici interni) può essere definito come un nemico piuttosto che un legittimo avversario. La logica è spesso binaria: “o sei con me, che rappresento il popolo, o sei contro di me, quindi contro il popolo”.
(2) In secondo luogo, l’élite è l’antagonista per eccellenza: questa categoria include non solo i politici, ma anche élite finanziarie, economiche, mediatiche, tecnocratiche e a volte persino accademiche o scientifiche. Sono viste (loro) come corrotte, distanti e contrarie agli interessi del popolo. Il rappresentante populista, pur ricoprendo ruoli istituzionali, tende a presentarsi come esterno o “contro” l’establishment consolidato – qui il conflitto politico non è più destra contro sinistra, ma il popolo (noi) contro il sistema (loro) (9).
(3) In terzo luogo, una caratteristica è il mito della democrazia diretta. Si tratta dell’idea per la quale un popolo omogeneo non necessiti di complicate mediazioni rappresentative e che la sua volontà possa (e debba) esprimersi direttamente, riducendo le distanze tra governanti e governati (10).
(4) In quarto luogo, il populismo si nutre e spesso amplifica la percezione di una crisi (economica, morale, sociale, culturale). Si propone come l’unica risposta radicale e strutturale a questa crisi, generata dall'élite.
(5) In quinto luogo, ogni populismo costruisce continuamente nuovi nemici, alimentando la polarizzazione. Invece di cercare il compromesso, il populismo tende a esasperare le divisioni e a identificare costantemente nuovi “nemici” per mantenere mobilitata la propria base di supporto – questo ha anche la funzione di aumentare la coesione interna al gruppo/popolo.
(6) Infine, il leader incarna la volontà del popolo e diventa il punto di riferimento indispensabile del movimento o del partito populista.
Sebbene questi elementi siano comuni, il populismo non è un fenomeno monolitico. In questo senso, le analisi distinguono principalmente tra due tipi di populismo (11). Da un lato, il populismo includente, che è generalmente associato a movimenti e partiti di sinistra e che tende a dare voce a gruppi sociali emarginati o poco rappresentati dalle élite tradizionali, promuovendo politiche di espansione del welfare (12). Dall’altro, il populismo escludente, spesso associato a movimenti e partiti di destra, che tende a discriminare tra i membri della comunità politica e gli “altri” (in particolare gli immigrati e le minoranze in generale) e che promuove politiche nazionaliste, protezioniste e spesso xenofobe. L’esclusività si manifesta nel limitare l’accesso alle risorse e all’appartenenza alla comunità a chi è percepito come “interno” o “autoctono” (13).
Le cause del populismo
Le cause del populismo sono molteplici e strettamente interconnesse (14). È ampiamente riconosciuto che uno scenario di crisi è un prerequisito necessario per l’ascesa del populismo, ma una crisi economica da sola non basta. Occorre considerare una combinazione di fattori.
(1) Il primo fattore è la crisi della rappresentanza. I cittadini percepiscono un crescente scollamento tra le proprie esigenze e l’azione dei partiti politici tradizionali, sentendosi non ascoltati e mal rappresentati. Questo genera frustrazione, disaffezione (allontanamento dalla politica) e apatia, portando alla ricerca di nuove forme di rappresentanza, spesso incarnate da leader populisti (15). Una crisi strutturale nella capacità dei canali tradizionali di rappresentare i cittadini è vista come necessaria per un’impennata populista.
(2) A ciò si aggiungono fattori economici, come l’aumento delle disuguaglianze di reddito e ricchezza, che creano tensioni sociali sfruttabili dai movimenti populisti. Crisi economiche, disoccupazione e questioni legate all’immigrazione possono alimentare specificamente la retorica (xenofoba o anti-austerità) dei diversi tipi di populismo. Il malcontento economico diventa un’arma contro l’élite percepita come responsabile o inefficiente.
(3) Anche i fattori politici giocano un ruolo. La globalizzazione, la post-industrializzazione e processi di depoliticizzazione hanno ridotto la fiducia nei partiti e nelle istituzioni tradizionali, creando uno spazio per nuovi attori politici che si pongono al di fuori di questi schemi. I nuovi conflitti sociali dovuti alla globalizzazione generano incertezza e il mutamento valoriale, per esempio la secolarizzazione, non fornisce risposte.
(4) Infine, i fattori culturali sono indispensabili: è necessaria una società in cui esista un diffuso sentimento anti-politico e una critica generalizzata verso la “casta” politica. I leader populisti sfruttano, e spesso contribuiscono a creare, questi atteggiamenti, trasformando percezioni di fallimento o malcontento in un senso di crisi sistemica che solo loro possono risolvere.
Gli effetti del populismo nelle democrazie
Il populismo, pur non negando in sé il principio democratico (inteso come potere “al” e “del” popolo), ne influenza profondamente le dinamiche.
Uno degli effetti principali è l’estremizzazione del principio di maggioranza. La logica populista tende a privilegiare la volontà (presunta e autopercepita) del popolo unitario al di sopra di altri principi democratici, come la tutela dei diritti delle minoranze. Chi si oppone alla maggioranza è visto come un nemico del popolo stesso. Questo può condurre a una democrazia illiberale o a una tirannia della maggioranza. Basandosi sull’idea che il popolo sia l’unica fonte legittima di potere e che la sua volontà prevalga su ogni altra norma, il populismo manifesta insofferenza verso i limiti e i contrappesi istituzionali e costituzionali introdotti dal costituzionalismo liberale per bilanciare il potere della maggioranza e proteggere i diritti individuali e delle minoranze. Questa insofferenza può facilmente erodere lo Stato di diritto e mettere a rischio l’uguaglianza formale garantita dalle regole costituzionali. Inoltre, le tecniche comunicative populiste, spesso basate su logiche di marketing e sondaggi d’opinione, tendono a trasformare i cittadini da attori politici attivi a spettatori o consumatori di un prodotto politico, misurati in termini di audience e soggetti a campagne di costruzione del consenso.
Conclusione
Nonostante Mudde e Kaltwasser (2020) ritengano che il populismo possa talvolta rappresentare una spinta verso la democrazia nei paesi autoritari, specie nel momento in cui il regime è più debole e mostra una vaga apertura all’opposizione, consentendole di unirsi come un “unico popolo” contro l’élite non-democratica e chiederle maggiori libertà (16), è bene aver sempre presente che nella quasi totalità dei casi si tratta di movimenti e/o partiti (17) che propendono verso un minor grado di liberalismo. Ciò accade in quanto la grande semplificazione delle questioni politiche, l’esclusione delle minoranze dal “noi che siamo il popolo”, la crescente polarizzazione, la spettacolarizzazione e la sfiducia nelle istituzioni (18) e nella scienza (19), tipiche di tutti i populismi, rappresentano un’erosione dello Stato di diritto, ovvero una tendenza a rivendicare un minor grado di libertà per la comunità nel suo insieme.
Tuttavia, il compito dello scienziato sociale è studiare, capire e descrivere i fenomeni sociali; pertanto, è assolutamente cruciale notare che l'ascesa del populismo è spesso il sintomo di una profonda e duratura crisi culturale, sociale, economica, politica e istituzionale (20) che genera sfiducia nella cittadinanza, la quale si rifugia nei meccanismi tipici dei populismi, tra cui una crisi della stessa democrazia rappresentativa (21). Solo con un’istruzione appropriata, sia per i giovani studenti che per gli adulti, che contribuisca alla creazione di cittadini la cui cultura civica è sufficientemente democratica, con l’economia in buona salute e con un sistema mediatico capace di rispondere adeguatamente alla domanda di informazione e di controllo della politica da parte dei cittadini (22), contrastando così la narrazione dei leader populisti, è possibile arginare il fenomeno: agendo sulle cause, ossia sui fattori sociali, culturali ed economici che lo generano.
