Napoli. Anni Settanta. Una città viva, contraddittoria, spaccata tra modernità e tradizione. In una notte qualsiasi, in un quartiere residenziale apparentemente tranquillo, si consuma uno degli omicidi più efferati e misteriosi della storia criminale italiana. Questa è la storia della strage di via Caravaggio. Un caso che per decenni ha tormentato investigatori, giudici e, soprattutto, un uomo: Domenico Zarrelli.
Oggi parleremo di un triplice omicidio, di una famiglia uccisa nella propria abitazione in circostanze ancora poco chiare. Le prime indagini portano a un vicino di casa, Domenico Zarrelli, che viene condannato e poi assolto. Decenni dopo, nuove analisi scientifiche fanno emergere…
Napoli. Anni Settanta. Una città viva, contraddittoria, spaccata tra modernità e tradizione. In una notte qualsiasi, in un quartiere residenziale apparentemente tranquillo, si consuma uno degli omicidi più efferati e misteriosi della storia criminale italiana. Questa è la storia della strage di via Caravaggio. Un caso che per decenni ha tormentato investigatori, giudici e, soprattutto, un uomo: Domenico Zarrelli.
Oggi parleremo di un triplice omicidio, di una famiglia uccisa nella propria abitazione in circostanze ancora poco chiare. Le prime indagini portano a un vicino di casa, Domenico Zarrelli, che viene condannato e poi assolto. Decenni dopo, nuove analisi scientifiche fanno emergere il suo DNA sulla scena del crimine. Ma il caso, tra prescrizioni, principi giuridici e prove incerte, resta senza colpevoli. Questo è il resoconto di una vicenda che ha attraversato quasi cinquant'anni di storia giudiziaria italiana.
La vicenda
La strage
La notte tra il 30 e il 31 ottobre 1975, in via Caravaggio 78, a Napoli, vengono brutalmente assassinati tre membri della famiglia Santangelo: Domenico Santangelo, la figlia Giovanna Santangelo e la seconda moglie di Domenico, Gemma Cenname. Il massacro viene scoperto l’8 novembre dalla polizia, alla quale si erano rivolti i familiari delle vittime preoccupati per l’assenza di notizie, dopo che i vigili del fuoco erano riusciti a entrare nell’abitazione. Anche il loro cane, Dick, viene trovato morto, probabilmente ucciso per evitare che abbaiasse e attirasse l'attenzione dei vicini. I corpi presentano numerose ferite da arma da taglio: i cadaveri di marito e moglie vengono rinvenuti nella vasca da bagno. La casa è a soqquadro, l'assassino ruba denaro dalla borsetta della Cenname e porta via anche la pistola di Santangelo, mai ritrovata.
Le prime indagini
Le indagini, coordinate dal pubblico ministero Alfredo Fimiani, si concentrano su Domenico Zarrelli, vicino di casa, amico di Giovanni Santangelo nonché nipote di Cenname. (Taglio in testo).
Un testimone, un sarto che abitava in via Caravaggio, tale Laudicino, afferma di aver visto Zarrelli entrare nel condominio la sera dell'omicidio. Altri vicini parlano di screzi tra Zarrelli e la famiglia Santangelo, soprattutto legati a questioni di denaro.
Sulla scena del crimine gli investigatori rilevano alcuni mozziconi di sigaretta, impronte digitali su bottiglie di whisky e brandy e impronte di scarpe impresse nel sangue. Tuttavia, nessuna di queste prove risulta compatibile con Zarrelli.
Nonostante l’assenza di un movente chiaro e di riscontri materiali, gli inquirenti procedono con l'arresto di Domenico Zarrelli il 25 marzo 1976. Il processo di primo grado si apre nell’aprile 1978 presso la Corte d’Assise di Napoli. L’accusa punta su un presunto raptus generato da dissidi economici, in particolare per un prestito negato dalla zia, Gemma Cenname. Il 9 maggio 1978, Zarrelli viene condannato all’ergastolo. La sentenza viene emessa nonostante l’assenza di prove scientifiche dirette, basandosi soprattutto su ricostruzioni psicologiche e testimonianze ritenute attendibili dalla giuria del tempo.
Il processo mediatico
I giornali dell'epoca si scatenano. "Il Mattino", "La Stampa", "Il Corriere della Sera" e numerose testate locali dedicano ampi spazi alla cronaca nera. Zarrelli viene etichettato come "Il Mostro di Via Caravaggio". Le fotografie del volto di Zarrelli campeggiano in prima pagina e le descrizioni lo dipingono come un soggetto violento, ossessivo, capace di una furia omicida improvvisa. La narrazione giornalistica si concentra sulla presunta ossessione per la nuora della vittima e sulle sue stranezze comportamentali. Il processo si svolge in un clima fortemente influenzato dall’opinione pubblica. La pressione mediatica contribuisce alla rapidità della condanna in primo grado.
Negli anni successivi però, grazie al lavoro meticoloso dei nuovi legali di Zarrelli, emergono molteplici incongruenze: le testimonianze del portiere si rivelano imprecise, alcune prove risultano indebolite da vizi procedurali e la presunta lite con la famiglia Santangelo appare meno rilevante di quanto inizialmente ipotizzato.
Una perizia psichiatrica smentisce l’idea di un profilo psicologico violento. Inoltre, ulteriori indagini escludono che Zarrelli avesse un movente economico o passionale forte. E così il 6 marzo 1981 la Corte d’Assise d’Appello di Napoli assolve Domenico Zarrelli per insufficienza di prove.
A seguito del ricorso della Procura, la Cassazione dispone un nuovo processo; Zarrelli viene nuovamente assolto con formula piena il 9 gennaio 1984 dalla Corte d’Assise d’Appello di Potenza.
Il 18 marzo 1985, la Suprema Corte conferma l’assoluzione con formula piena. La sentenza, non cancella però il marchio infamante. Parte della stampa, ancora negli anni successivi, continua a riferirsi a lui come al "presunto assassino di via Caravaggio". Zarrelli, assolto dopo dieci anni, e dopo aver passato in carcere ben 1825 giorni, riceve un risarcimento di oltre un milione di euro per ingiusta detenzione. Ma la vicenda non finisce qui.
La riapertura del caso nel 2011
Nell'ottobre 2011 il procuratore aggiunto presso la procura della Repubblica di Napoli Giovanni Melillo, in seguito a un esposto in cui venivano fornite informazioni utili al rinvenimento di alcuni reperti presso gli archivi del tribunale, dispone nuove analisi scientifiche tra cui quella dell'impronta genetica. A distanza di quasi quarant'anni, nel 2014, la decisione di riesaminare i reperti grazie alle nuove tecnologie sul DNA.
Vengono riesaminati oggetti sigillati da decenni: sigarette, uno strofinaccio insanguinato e altri materiali presenti sulla scena del crimine. I risultati sono clamorosi: il profilo genetico di Domenico Zarrelli viene individuato su quei reperti.
La notizia è una bomba mediatica. I principali quotidiani nazionali e locali, tra cui "Il Mattino", "La Repubblica" e "Il Corriere del Mezzogiorno", rilanciano la notizia come se fosse una nuova condanna.
La difesa di Zarrelli
L'avvocato Mario Zarrelli, nipote di una delle vittime e fratello di Domenico, denuncia l'assenza di garanzie difensive e la totale impossibilità di partecipare alle analisi. Sostiene che i reperti siano stati conservati in modo inadeguato e che la contaminazione, dopo quarant'anni, sia una possibilità concreta.
Inoltre, il principio giuridico del "ne bis in idem" vieta la riapertura di un processo per lo stesso fatto dopo un'assoluzione definitiva. La Procura, sebbene certa del DNA, è costretta ad archiviare.
Reazione dei media e dell'opinione pubblica
L'opinione pubblica si spacca nuovamente: c'è chi vede nel DNA la conferma definitiva della colpevolezza di Zarrelli, e chi invece sottolinea le carenze della prima indagine e la debolezza di un risultato ottenuto su reperti potenzialmente contaminati.
Ma cerchiamo di capire meglio.
Interrogativi aperti
Il DNA ritrovato sui reperti conservati per quasi quarant'anni è l'elemento, abbiamo detto, che ha riacceso l'attenzione mediatica e investigativa sul caso di via Caravaggio. Cosa dicono precisamente le analisi? Le analisi, commissionate dalla Procura di Napoli al laboratorio della Polizia Scientifica di Roma, hanno individuato il profilo genetico di Domenico Zarrelli su diverse evidenze: in particolare su due mozziconi di sigaretta e su un vecchio strofinaccio macchiato di sangue trovato nella cucina dell'appartamento.
Secondo la Polizia Scientifica, la possibilità di una contaminazione accidentale veniva considerata remota, ma non impossibile, vista la lunga conservazione dei reperti. Gli avvocati della difesa hanno da parte loro evidenziato che quegli oggetti erano stati manipolati decine di volte dagli investigatori degli anni Settanta, spesso senza l'utilizzo di guanti o procedure oggi ritenute fondamentali.
Un altro elemento di criticità riguarda l'assenza di tracciabilità della catena di custodia: non è mai stato certificato in modo continuo chi abbia avuto accesso ai reperti nei decenni trascorsi. Questo dettaglio ha alimentato l'ipotesi di contaminazione postuma.
Inoltre, la comparazione genetica è stata effettuata senza contraddittorio: la difesa non ha potuto nominare un proprio perito né assistere alle operazioni di prelievo e analisi. La legge italiana consente questo tipo di procedura solo a fini investigativi, ma non per sostenere una nuova imputazione su fatti già giudicati.
Il DNA, quindi, pur essendo un elemento oggettivo, resta contestato nel suo valore probatorio.
Sul piano mediatico, la notizia ha diviso l'opinione pubblica: alcuni giornalisti hanno trattato il dato genetico come una conferma definitiva di colpevolezza, mentre altri, soprattutto nella stampa specializzata, hanno sottolineato l'inadeguatezza delle condizioni di conservazione e la complessità della catena di custodia.
Anche diversi esperti di criminologia hanno messo in guardia dall'uso improprio della prova scientifica quando non è contestualizzata da elementi indiziari solidi.
Secondo la difesa (Alfredo de Marsico, Andrea Della Pietra, Ivan Montone e Mario Zarrelli), la strage fu opera di killer professionisti. Alcuni investigatori ipotizzano una pista professionale, altri suggeriscono che l'assassino fosse qualcuno molto vicino alle vittime. Ma le prove non ci sono più. Sta di fatto che nel 2015 il caso viene definitivamente archiviato. Zarrelli, intervistato più volte, continua a proclamarsi innocente fino alla morte.
Conclusione
Il caso di via Caravaggio rimane uno dei cold case più inquietanti d’Italia. Una storia che interroga la giustizia, la scienza e l’opinione pubblica. La ricerca della verità si scontra con i limiti della legge e della tecnica. E mentre il tempo cancella tracce e ricordi, resta la domanda che da cinquant'anni non trova risposta: chi ha ucciso la famiglia Santangelo?