Un uomo, una donna, una vendetta. Un miliardo e mezzo in cambio della libertà. E poi, uno dopo l’altro, i cadaveri.
Ma se tutto inizia con un rapimento, com’è possibile che finisca con un’assoluzione definitiva?
Questa è lo storia di Giuseppe Quartuccio.
Il caso Giuseppe Quartuccio, di Laura Allevi e Lorenzo Viviani
Ci sono storie che sembrano scritte da uno sceneggiatore di noir. Uomini rispettabili, sequestri misteriosi, lettere anonime, e una catena di omicidi che si muove come un’ombra. Ma questa non è una sceneggiatura. È accaduto davvero. A Monreale, Sicilia. E ha un solo nome in cima alla lista dei sospettati: Giuseppe Quartuccio.
È il 20 luglio 1976. L’ora di cena è passata da un…
Un uomo, una donna, una vendetta. Un miliardo e mezzo in cambio della libertà. E poi, uno dopo l’altro, i cadaveri.
Ma se tutto inizia con un rapimento, com’è possibile che finisca con un’assoluzione definitiva?
Questa è lo storia di Giuseppe Quartuccio.
Il caso Giuseppe Quartuccio, di Laura Allevi e Lorenzo Viviani
Ci sono storie che sembrano scritte da uno sceneggiatore di noir. Uomini rispettabili, sequestri misteriosi, lettere anonime, e una catena di omicidi che si muove come un’ombra. Ma questa non è una sceneggiatura. È accaduto davvero. A Monreale, Sicilia. E ha un solo nome in cima alla lista dei sospettati: Giuseppe Quartuccio.
È il 20 luglio 1976. L’ora di cena è passata da un pezzo.
Monreale dorme, ma in una villetta c’è ancora la luce accesa.
Giuseppe Quartuccio, 66 anni, costruttore, benestante, è a casa con la giovane moglie, Grazia Mandalà.
Lei sta poco bene. È già a letto.
Qualcuno suona al citofono. Giuseppe scende, apre la porta… e sparisce dalla scena per un momento.
Ma è una trappola.
Appena mette piede in strada, viene aggredito, legato e lasciato lì.
Chi ha orchestrato tutto non voleva lui. Cercava lei.
Un gruppo di uomini entra in casa, raggiunge la camera da letto, trascina via Grazia Mandalà ancora in camicia da notte.
Tre giorni dopo, la donna è ancora prigioniera.
Viene obbligata a scrivere una lettera al marito: chiedono un miliardo e mezzo di lire per liberarla.
Ma Giuseppe Quartuccio non paga.
O meglio, offre solo 15 milioni.
Gli inquirenti cominciano a dubitare. “Perché un marito benestante non fa nulla per salvare la moglie?”
Ma la verità è un’altra.
Quartuccio sceglie una via diversa per cercare di far liberare la moglie: non la polizia, non i soldi, ma Cosa Nostra.
Si rivolge così a Elio Ganci, gioielliere e boss mafioso locale.
Non sa, però, che Ganci è proprio uno degli organizzatori del sequestro.
Nel frattempo i giorni passano senza novità, poi il colpo di scena.
È il 28 luglio: Grazia viene liberata.
Rientra a casa con una vestaglia nuova. Nessuno ha pagato.
Gli inquirenti sospettano che un ordine deve essere arrivato da qualcuno di molto potente.
In ogni caso Grazia Mandalà è a casa. Al sicuro.
Tutto è bene quel che finisce bene?
Beh, non esattamente.
Perché una lunga scia di sangue comincia a strisciare per le strade di Monreale.
Il giorno dopo il ritorno a casa di Grazia, il primo cadavere: Francesco Renda, presunto regista del sequestro, viene trovato strangolato in un sacco di plastica. Dalla ricostruzione degli inquirenti pare che sia stato costretto a disporre la liberazione della donna sotto la minaccia di un cappio al collo.
Evidentemente aveva eseguito, ma questo non era bastato a salvarlo.
Poi, a sole due ore di distanza, tocca a Elio Ganci, il boss a cui si era rivolto Quartuccio, freddato a colpi di pistola davanti al suo negozio. Nel centro di Monreale. In pieno giorno.
E non è finita qui.
Il 10 agosto Vincenzo Schifano e Nicolò Malfattore restano uccisi in una sparatoria a Palermo.
E qualche giorno prima due pregiudicati, Vito Mangione e Salvatore Spaduzza, erano spariti nel nulla.
Il 2 settembre tocca ai fratelli di Elio Ganci, Salvatore e Filippo, uccisi nel mercato ortofrutticolo del capoluogo
Siciliano da sicari della mafia.
Una strage silenziosa, mirata, chirurgica.
Ma in che modo questi nomi, queste morti sono collegate?
Una vendetta?
Lo scopriremo presto.
Sì, perché mentre i corpi di questi uomini cadono uno dopo l'altro, le indagini hanno portato all’identificazione della villa dove Grazia è stata tenuta prigioniera.
E a una donna: Francesca Calì, proprietaria della villa.
Lei fa nomi. Dice che molte delle vittime erano coinvolte nel sequestro.
E proprio dalle sue parole nasce il sospetto:
Chi ha ordinato tutti questi omicidi?
Il 10 settembre 1976, Giuseppe Quartuccio viene arrestato.
Gli inquirenti lo accusano di essere LUI il mandante di tutte le esecuzioni.
Un uomo trasformato dal dolore in giustiziere.
Con lui finisce in carcere anche Grazia Mandalà, accusata di reticenza e favoreggiamento.
Il ritratto che emerge dai verbali è cupo: un anziano possidente accecato dalla vendetta.
Ma l’accusa ha un problema: le prove non reggono.
Così in primo grado arriva l’assoluzione. Ma la Corte d'assise di Palermo sceglie per la sentenza una formula dubitativa.
E di questo Quartuccio non si accontenta. Lui non ha ordinato l'assassinio di nessuno, e vuole che questo sia scritto a chiare lettere.
Così ricorre in appello.
Stesso esito: assolto, ma per insufficienza di prove.
Quartuccio, con Ivo Reina, il suo avvocato, ricorre in Cassazione.
Ed è in Cassazione che la verità giudiziaria si compie.
Il 15 giugno 1979, la Suprema Corte annulla la sentenza di secondo grado.
Scrive nero su bianco: Giuseppe Quartuccio non commise i fatti imputatigli.
Una moglie rapita.
Una richiesta di riscatto colossale.
Un marito che non paga.
Un fiume di sangue.
Alla fine, la giustizia lo assolve.
Ma nel frattempo, sei persone sono state assassinate, due sono scomparse.
Chi le ha volute morte e perché non è dato sapere.
Ad ogni modo, Giuseppe Quartuccio torna alla sua vita.
Ma non sarà mai più solo un “tranquillo possidente di campagna”.
Perché nella Sicilia degli anni Settanta, anche l’innocenza ha il sangue addosso.