Milano, primi anni ‘70. Facciamo un tuffo nell'ambiente della mala che si muove all'ombra della Madonnina: una rapina in banca, un colpo di pistola, uno scambio di persona. Elio Lanzani passa anni in cella, ma non ha commesso alcun crimine.
A tirarlo fuori dal carcere non fu la giustizia, ma la parola di un criminale.
Il caso Elio Lanzani, di Laura Allevi e Lorenzo Viviani
Immaginate di essere accusati di una rapina che non avete mai eseguito.
Immaginate di essere condannati solo perché qualcuno, ferito e sotto stress, dice di avervi riconosciuto.
Niente impronte, niente arma, solo la sua parola contro la vostra.
Quasi sette anni dietro le sbarre.
E ora immaginate che l’unico disposto a dire la…
Milano, primi anni ‘70. Facciamo un tuffo nell'ambiente della mala che si muove all'ombra della Madonnina: una rapina in banca, un colpo di pistola, uno scambio di persona. Elio Lanzani passa anni in cella, ma non ha commesso alcun crimine.
A tirarlo fuori dal carcere non fu la giustizia, ma la parola di un criminale.
Il caso Elio Lanzani, di Laura Allevi e Lorenzo Viviani
Immaginate di essere accusati di una rapina che non avete mai eseguito.
Immaginate di essere condannati solo perché qualcuno, ferito e sotto stress, dice di avervi riconosciuto.
Niente impronte, niente arma, solo la sua parola contro la vostra.
Quasi sette anni dietro le sbarre.
E ora immaginate che l’unico disposto a dire la verità per scagionarvi sia uno dei banditi più noti d’Italia: Renato Vallanzasca.
Questa è la storia di Elio Lanzani.
Primi anni ‘70, Milano, viale Corsica.
Agenzia 1 della Banca di Credito Milanese.
Quattro uomini armati entrano. “Fuori i soldi” intimano.
Il cassiere prova a prendere tempo.
Uno dei rapinatori spara. Il cassiere è ferito, ma sopravvive.
I banditi scappano in auto.
Pochi giorni dopo, la Squadra Mobile arresta Elio Lanzani.
21 anni, qualche piccolo precedente, una faccia che “assomiglia”.
Lo fermano mentre torna a casa con tre amici.
Elio non è l'unico sospettato, ad essere tratti in arresto sono in quattro.
Il processo di primo grado è rapido e viene celebrato dinanzi ai giudici della Corte d’Assise di Milano. Durante l’istruttoria, il cassiere ferito è stato messo a confronto con il presunto colpevole: nessun dubbio, a sparargli era stato proprio Elio Lanzani, un lampo di volto durante la rapina. Nel corso del dibattimento, il dipendente dell’agenzia rapinata conferma il riconoscimento.
Non importa che non ci siano armi, né impronte.
La Corte d’Assise di Milano condanna Lanzani a 15 anni.
L’avvocato difensore, Luciano Pezzotta di Bergamo, fa ricorso.
In Appello la pena scende a 9 anni.
A questo punto resta solo una possibilità, ricorrere in Cassazione, ma la Suprema Corte rigetta il ricorso.
Il caso è chiuso.
O perlomeno così sembra.
Ma fermiamoci un attimo e facciamo un passo indietro: cerchiamo di capire dove siamo davvero.
Negli anni ’70, Milano è una delle città più violente d’Europa.
Nel 1974, secondo la Criminalpol, si registrano 1.216 rapine a banche e uffici postali solo in Lombardia.
Il metodo investigativo è semplice: fermare sospetti, mostrarli alle vittime, chiudere il caso. Niente DNA, pochi strumenti a disposizione.
Molte volte funziona. A volte no.
Per fare alcuni esempi, Pietro Valpreda viene arrestato nel 1969 per la strage di Piazza Fontana: assolto dopo anni di carcere.
Giuseppe Gulotta viene condannato nel 1976 per l’omicidio di due carabinieri ad Alcamo: assolto solo nel 2012.
Molti sospetti, molti innocenti, ma anche molti banditi.
E uno dei protagonisti assoluti della malavita meneghina è Renato Vallanzasca.
Renato Vallanzasca nasce a Milano nel 1950.
Ha otto anni quando commette il primo illecito e finisce nel carcere minorile “Beccaria”. Da quel momento è un’escalation. Nei primi anni ’70, fonda la Banda della Comasina, divenuta una delle gang più potenti di Milano, specializzata in rapine a mano armata, sequestri e omicidi.
Rivale del clan di Francis Turatello, la sua carriera è una sfilza di processi che segnano quarant'anni di storia criminale italiana.
Ma che attinenza ha Vallanzasca con il nostro caso?
Ha attinenza perché in più occasioni si era assunto la responsabilità dei reati commessi, ormai gli erano stati comminati quattro ergastoli e poi aveva un suo codice d'onore o semplicemente metteva in evidenza l'inefficienza del sistema giudiziario. E mentre Lanzani era in cella a scontare la sua pena, il bel René, come era soprannominato per il suo fascino e lo stile appariscente, la verità sulla rapina l'aveva detta in tribunale: «Ho saputo che tre ragazzi hanno confessato due o tre rapine: le rapine di Milano Due, di Pantigliate, di Seggiano. Possono averle confessate solo con le botte. Solo così possono averlo fatto. Io categoricamente posso dire che loro non c'erano, perché c'ero io. Posso mandare, per provarlo, le fascette delle banconote o la pistola del metronotte... C'è il caso di un ragazzo accusato di una rapina che ho commesso io sei anni fa. Il ragazzo si chiama Elio Lanzani ed è soprannominato "Ciarún" perché una volta faceva le danze con i coltelli. La rapina avvenne in viale Corsica. Elio non è uno stinco di santo, ma quella rapina non l'ha fatta lui, l'ho fatta io».
L’avvocato Pezzotta usa le parole di Vallanzasca per riaprire il caso, ma da sole non bastano. In poco tempo, il legale riesce a raccogliere altre indiscrezioni importanti, tra cui quella della madre di uno dei coimputati nel processo contro Lanzani, un tal Malinverni. All’avvocato la donna racconta che dopo la sentenza il figlio era tornato a casa sconvolto dicendole che avevano condannato Lanzani che era innocente e assolto lui che era colpevole.
Infine, due avvocati raccolgono la confessione scritta del vero autore.
Non fanno nomi, si appellano al vincolo del segreto professionale, ma la dinamica coincide in ogni dettaglio.
Nel 1978 la Cassazione ordina la revisione del processo.
Il 26 ottobre 1979, la Corte d’Appello di Brescia assolve Lanzani “per non aver commesso il fatto".
Il caso Lanzani insegna che un sistema giudiziario può sbagliare, anche con una sola testimonianza.
Negli anni Settanta, l’errore di riconoscimento di persona non era infrequente.
E poi c’è il paradosso: l’unico a dire la verità fu un bandito.
Vallanzasca non fu un pentito.
Non testimoniò contro la sua banda.
Disse solo: “Quello non c’entra.” Una sorta di codice d'onore, una conferma del proprio potere.
E una verità semplice, ma abbastanza forte da ribaltare una sentenza.
Elio Lanzani tornò quindi libero nell’ottobre 1979.
Nessun risarcimento poté restituirgli gli anni di carcere.
Renato Vallanzasca, invece, finì all’ergastolo per altri reati.
Un caso raro: un criminale che dice la verità quando la giustizia sbaglia.