Nel febbraio del 1847, accadde l’ultimo evento di tensione prima del fatidico ’48. Federico Guglielmo IV decise di convocare una Dieta Unita, dopo anni di agitazione durante i quali le richieste di libertà di stampa, riforma legale e controllo del bilancio si fecero sempre più forti. Fin qui tutto bene. Ciò fu fatto ignorando le obiezioni sia di Metternich sia dello zar. Non si trattava della dieta della Confederazione Germanica, ma di una dieta prussiana, convocata a Berlino con lo scopo principale di ottenere nuovi fondi per l’ampliamento della rete ferroviaria — in particolare per la costruzione della Ostbahn, la linea Berlino (capitale)-Königsberg (ex-capitale).
Il re rassicurò che si sarebbero riuniti con regolarità e che un organo ristretto, chiamato Comitato Unito (Vereinigter Ausschuss), sarebbe stato periodicamente consultato per le questioni legislative. I liberali, pur ritenendo queste concessioni insufficienti, le accolsero come un primo passo nella giusta direzione. Tuttavia, la Dieta Unita si dimostrò ben più decisa di quanto il sovrano si aspettasse. A maggioranza di due terzi, i delegati — in gran parte aristocratici, ma animati da uno spirito liberale — approvarono sì i piani del governo per la ferrovia, ma al tempo stesso posero una condizione esplicita: chiesero l’abolizione del Comitato Unito ristretto e la garanzia che la Dieta nel suo intero venisse riconvocata regolarmente, nonché pieni poteri legislativi ed una costituzione scritta.
Il re, piuttosto che cedere, reagì con fermezza: sciolse immediatamente la Dieta, preferendo lo stallo finanziario piuttosto che condividere il potere legislativo con un’assemblea rappresentativa. Questo gesto segnò un punto di svolta, rendendo evidente l’inconciliabilità tra le aspirazioni liberali del paese e l’autoritarismo di Federico Guglielmo IV. Il tentativo iniziale di compromesso si era trasformato in uno scontro diretto, preludio agli eventi rivoluzionari dell’anno successivo.
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Quando il fatidico anno 1848 giunse nei territori di lingua tedesca, i vari stati che componevano la Confederazione erano appena usciti da un difficile biennio. Negli anni 1845-1846, una carestia di patate e gravi perdite di raccolti provocarono un aumento generale dei prezzi dei generi alimentari essenziali e questo portò a rivolte sanguinose causate dalla fame non solo in Germania ma in gran parte d'Europa.
Contemporaneamente, una crisi ciclica di sovrapproduzione industriale, iniziata in Inghilterra, scosse vaste aree del continente, causando il fallimento di molte banche e la chiusura di numerose fabbriche. Per i lavoratori, gli anni 1846-1847 furono segnati da salari estremamente bassi, prezzi alti e, complessivamente, uno dei periodi peggiori del primo pauperismo industriale.
Come abbiamo visto nella scorsa puntata, liberalismo e nazionalismo si intrecciavano sempre di più senza mai sovrapporsi completamente. Eppure, furono le pressioni nazionaliste a far scoppiare un precoce ’48 in Germania, e ciò avvenne ai confini della Confederazione Germanica… un po’ come il precoce ’48 italiano scoppiò ai margini della penisola a Palermo.
I ducati di Schleswig e Holstein (corrispondenti all’odierna Danimarca meridionale e Germania settentrionale) erano governati dal re di Danimarca come feudi personali sin dal tardo Medioevo. Il trattato di Ripen del 1460 prevedeva che rimanessero "per sempre indivisi". Tuttavia, il Congresso di Vienna del 1815 decretò che l'Holstein, il ducato più a sud, sarebbe entrato a far parte della Confederazione Germanica, mentre lo Schleswig sarebbe rimasto fuori, pur continuando a essere un feudo della casa reale danese e non parte integrante della Danimarca.
Il 20 gennaio del 1848, morì Cristiano VIII re di Danimarca e nel suo testamento, scritto due anni prima, aveva preso in considerazione un'annessione completa dello Schleswig e quindi la divisione con l’Holstein. Questi voleri furono trasformati in Costituzione dal suo successore Federico VII, determinando l'annessione formale del ducato al Regno di Danimarca.
I nazionalisti danesi sostenevano che la presenza di una significativa minoranza danese nello Schleswig settentrionale giustificasse il cambiamento di status del ducato, al contrario, i nazionalisti tedeschi, forti della clausola di indivisibilità del trattato medievale e del fatto che la maggioranza della popolazione dello Schleswig fosse tedesca, insistevano affinché sia l'Holstein che lo Schleswig entrassero a far parte di una Germania unificata.
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La scintilla rivoluzionaria si accese prima a Parigi, che il 22 febbraio insorse contro re Luigi Filippo, provocando la caduta della monarchia e la nascita della seconda repubblica in soli 4 giorni. Grazie alla stampa, la notizia si diffuse in tutta Europa con una velocità mai vista prima, e solamente cinque giorni dopo la prima barricata francese, a Mannheim i liberali tedeschi già manifestarono per la libertà e l'unità nazionale. Le richieste avanzate a Mannheim furono cruciali e rappresentative di quelle che divennero note come le "richieste di Marzo".
Queste includevano: Libertà di stampa, Libertà di associazione e riunione, Processi giudiziari con giuria, L'istituzione di una milizia popolare e La convocazione di un vero parlamento nazionale tedesco, sovrano sugli stati. Il 1° marzo, una delegazione accompagnata da una vasta folla, in parte armata, si recò a Karlsruhe per presentare queste richieste al Granduca di Baden. Inizialmente il Granduca si rifiutò di negoziare, ma poi cedette formando un nuovo ministero che includeva leader liberali, i quali iniziarono a implementare gran parte delle richieste.
Quasi contemporaneamente i contadini iniziarono la propria rivolta spinti dalla fame delle carestie, quindi non ideologica, contro i padroni… e contro gli ebrei, in un contesto di antisemitismo crescente in tutto il continente, specialmente ad est. Il Baden, tra l’altro, decise di concedergli la cittadinanza per difenderli da queste rivolte, ma creò una reazione a catena, con i ceti bassi già indignati e rivoltosi e che si sollevarono ancora di più, oltraggiati dal vedere ebrei con lo status di cittadini.
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Quando arrivò marzo, tutta l'Europa era nel caos. La maggior parte dei regni tedeschi nominarono governi liberali per scongiurare il pericolo rivoluzionario. Vi furono episodi di violenza soprattutto quando i governi opposero resistenza. A Francoforte e Monaco, la folla prese d'assalto i municipi, costringendo Ludovico I di Baviera ad abdicare. Tuttavia, le confrontazioni più gravi tra il popolo e l'esercito si verificarono in Prussia e in Austria, le corone più reazionarie più potenti dell’Europa centrale.
A Vienna, studenti rivoluzionari, insieme a borghesi e lavoratori, crearono un'agitazione che portò alle dimissioni del cancelliere Metternich il 13 marzo. Metternich era visto come l'incarnazione del sistema di censura, sorveglianza e repressione. Tuttavia, i membri del nuovo governo austriaco non erano propriamente "liberali" e molti avevano già ricoperto posizioni importanti sotto il precedente cancelliere.
Non solo. Il nuovo governo austriaco propose una costituzione sul modello belga, ma questa fu ritenuta totalmente inaccettabile dai radicali, che insistevano sul fatto che una costituzione dovesse essere decisa dal popolo tramite un'assemblea costituente eletta a suffragio universale. L’Austria si doterà di una costituzione infine nell’anno successivo.
Un giorno dopo le dimissioni di Metternich, il 14 marzo, la rivoluzione arrivò a Berlino. Il re prussiano emanò in fretta e furia una legge che abrogava la censura ed avviò un iter per la creazione di una costituzione federale, che tra i vari articoli obbligava tutti gli stati di questa federazione a dotarsi di una propria costituzione. Prussia compresa. Il 18 marzo, affacciandosi dal balcone del castello reale, egli annunciò anche la cessazione della censura sulla stampa e la creazione di una guardia nazionale. La folla radunata davanti al castello accolse con entusiasmo l’annuncio, applaudendo e festeggiando.
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Tuttavia, secondo la ricostruzione più accreditata, un ordine di ritirata venne male interpretato da alcune truppe intorno alla residenza reale, che si trovarono a manovrare armi in mezzo alla folla. Un colpo di fucile partì accidentalmente, o forse per nervosismo. Questo fu subito seguito da altri colpi, alcuni sparati per errore, altri forse per autodifesa. Diversi civili furono colpiti, alcuni morirono sul colpo. La folla, sentendosi tradita, insorse per due lunghi giorni in un contesto da guerra civile.
Fortunatamente, l’equivocò si risolse piuttosto rapidamente. Federico Guglielmo IV promise ai suoi "cari sudditi berlinesi", in cambio della rimozione delle barricate, di ritirare le truppe dalle strade e dalle piazze pubbliche, confinandole in poche aree selezionate come il palazzo e l'armeria. La rimozione delle barricate fu seguita dal ritiro delle truppe, che lasciarono quasi completamente la città, andando oltre le promesse del re.
La sera del 19, il re si inchinò a capo scoperto davanti ai corpi degli oltre 200 morti trasportati dai ribelli nel cortile del palazzo, un evento che simboleggiò una vittoria per gli insorti ma furono visti come una profonda vergogna per la vecchia Prussia da parte di conservatori come il giovane Otto von Bismarck.
Federico Guglielmo IV era riuscito gestire la situazione prendendo l'iniziativa. Insieme ai principi della casa reale, a generali e ministri del governo liberale appena costituito, il re fece un tour cerimoniale attraverso Berlino indossando una fascia con i colori nero, rosso e oro del movimento per l'unificazione tedesca. Inoltre, rivolgendosi agli studenti dell'Università di Berlino, Federico Guglielmo IV non solo dichiarò il suo sostegno all'unificazione tedesca, ma la definì la sua missione personale.
La sera dello stesso giorno emanò un "Appello al mio popolo e alla nazione tedesca", esprimendo il desiderio che la seconda Dieta Unita a Francoforte venisse trasformata in un congresso temporaneo degli stati tedeschi includendo delegati di altre assemblee. Stava per nascere il Parlamento di Francoforte.
Quindi… eravamo rimasti con un ambizioso Federico Guglielmo IV che auspicava ad un congresso degli stati tedeschi dopo aver espresso il suo sostegno all'unificazione tedesca, definendola la sua missione personale.
Il processo rivoluzionario culminò il 18 maggio nell'elezione di un parlamento nazionale che si riunì nella chiesa di San Paolo (Paulskirche) a Francoforte. I delegati a Francoforte non erano inesperti di vita pubblica: su 712 parlamentari eletti, 612 erano funzionari pubblici, professori o mercanti. Il Parlamento di Francoforte si prefiggeva di scrivere una costituzione per una Germania unita e liberale, andando ben oltre la Dieta di Francoforte della Confederazione Germanica.
Sul tavolo, la questione principale: cosa si intende per Germania unita? Due sono le principali soluzioni: Grande Germania (Großdeutschland): Questa soluzione prevedeva l'inclusione dell'Austria nel nuovo stato tedesco. Molti delegati speravano che una Germania così grande sarebbe stata abbastanza forte da proteggere e in seguito assorbire le minoranze tedesche nei territori limitrofi. Tuttavia, questa idea si scontrò con le aspirazioni nazionali di polacchi e cechi a est e fu rapidamente abbandonata a ovest per timore di un conflitto con la Francia. Inoltre, l'inclusione dell'intero Impero Asburgico, con le sue numerose popolazioni non tedesche, avrebbe reso il nuovo stato un'entità multinazionale, in contrasto con l'idea di uno stato nazionale tedesco.
Piccola Germania (Kleindeutschland): Questa soluzione escludeva l'Austria e poneva la Prussia come potenza dominante nel nuovo stato tedesco, in pratica coincidente con la Confederazione Germanica. Questa visione guadagnò terreno soprattutto dopo che l'Austria, sotto la guida del principe Schwarzenberg, mostrò poca volontà di integrarsi in un sistema tedesco unificato che avrebbe potuto minare l'integrità dell'Impero Asburgico.
Per conciliare una già riluttante Austria al resto del mondo germanico, il 29 giugno fu nominato reggente lo zio dell'imperatore Ferdinando I d'Austria, l'arciduca Giovanni d'Asburgo-Lorena, considerato il più filo-liberale degli Asburgo. Il Parlamento di Francoforte tentò anche di gestire una guerra con la Danimarca per lo Schleswig-Holstein, esprimendosi con decisione a favore della loro incorporazione in una Germania unita. Tuttavia, ancora una volta, le singole grandi potenze tedesche presero per prima l’iniziativa.
La Prussia, ignorando le deliberazioni del Parlamento di Francoforte, concluse improvvisamente la guerra a sostegno dei due ducati nell'agosto 1848, e ciò la vittoria danese due anni più tardi. Alleata della Danimarca c’erano infatti tutte le principali potenze europee, tra cui la Russia zarista, storica alleata della Prussia assolutista. Federico Guglielmo IV non volle rischiare di intaccare lo status quo dell’Europa centrale.
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Alla fine del 1848 l'assemblea costituente aveva terminato i lavori riguardanti i diritti fondamentali, ma non aveva preso alcuna decisione sulla forma di governo e sul territorio del futuro stato. Inoltre, il parlamento di Francoforte inizialmente contrario all'abbandono delle ostilità contro la Danimarca votò, seppur con una maggioranza risicata, una mozione per non ostacolare più la resa della Prussia.
Tra agosto e settembre nuovi movimenti nazionalisti e repubblicani, talvolta socialisti, insorsero e le rivolte divennero sempre più dure. Ci fu anche un attentato a due parlamentari di Francoforte.
Si stava andando verso una sorta di "giugno parigino" anche in Germania, dove la rivoluzione del 1848 stava assumendo connotati sempre più marcati di lotta di classe. Dopo gli scontri di Berlino e l’escalation della protesta, si delineò in modo più netto la nascita di un vero e proprio partito conservatore, che emerse dalla fazione più rigida dei conservatori tradizionali. Questo nuovo blocco politico trasse forza dal fatto che molti liberali persero credibilità, accusati di aver appoggiato inizialmente le rivolte democratiche e socialiste, salvo poi prenderne le distanze quando il movimento si radicalizzò.
Il clima politico si fece ancor più teso con il passare dei mesi. La fine del 1848 fu tutt’altro che pacifica. In Austria l’assolutismo tornò rapidamente al potere: era stata concessa una costituzione, si, ma si trattava di un documento puramente formale, che venne comunque abrogato appena due anni dopo.
In Prussia, la situazione non fu molto diversa. Federico Guglielmo IV si rifiutò categoricamente di rinunciare al principio monarchico per grazia divina. La nuova costituzione, infatti, avrebbe implicato che il re regnasse per volontà del popolo, un’idea che egli considerava inaccettabile — non solo per sé, ma anche per i conservatori, che la vedevano come un affronto intollerabile alla corona prussiana.
Il re reagì con fermezza: stracciò il progetto costituzionale, sciolse l’Assemblea di Berlino, e nel dicembre del 1848 emanò una costituzione di sua iniziativa, senza alcun confronto parlamentare. Fu, a tutti gli effetti, una rivoluzione dall’alto.
La parte paradossale? In quella costituzione era sì previsto il suffragio universale maschile per l’elezione della camera bassa, ma il re continuava a regnare per grazia divina. Un compromesso solo apparente, che salvava le forme del parlamentarismo senza intaccare realmente l’autorità monarchica. Verso la fine dell’anno, buona parte delle conquiste di marzo, aprile e maggio erano già un ricordo lontano.
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Nonostante la svolta antinazionalista intrapresa dalla Prussia verso la fine del 1848, i liberali di tutti i territori tedeschi continuavano a guardare proprio alla Prussia come al fulcro delle speranze per il processo di unificazione. Oltre a essere lo Stato più ricco e militarmente più forte, la Prussia disponeva ora anche di una costituzione di tutto rispetto, se rapportata agli standard tedeschi dell’epoca.
Fino alla fine del 1848, tuttavia, la maggioranza dei parlamentari di Francoforte preferiva una soluzione "grande tedesca": un progetto nazionale che includesse, non tanto l’intero Impero austriaco, quanto piuttosto il solo Arciducato d’Austria, ossia la parte germanofona dell’Impero. Questa soluzione grande-tedesca, però, divenne meno popolare l’anno successivo, soprattutto dopo il fallimento dei moti rivoluzionari a Vienna e la rapida concessione, seguita dalla revoca, della costituzione austriaca.
A sostenere invece la "piccola Germania" — ovvero un'unificazione senza l'Austria — erano principalmente i moderati, i protestanti, la borghesia e, naturalmente, i filo-prussiani.
La situazione si complicò ulteriormente il 27 marzo 1849, quando i deputati del Parlamento di Francoforte, con 290 voti favorevoli e 248 astensioni, approvarono il trasferimento della corona imperiale a Federico Guglielmo IV di Prussia. Così facendo, Giovanni d’Austria rinunciava al titolo di “reggente” (per sua natura, provvisorio) a favore del primo VERO imperatore. Tuttavia, proprio il re prussiano — che solo un anno prima sembrava incline a sostenere la causa nazionalista — rifiutò il titolo di Imperatore dei tedeschi.
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Il 3 aprile 1849, Federico Guglielmo IV rifiutò ufficialmente la corona imperiale. Egli considerava la corona offerta dal parlamento come una "corona fittizia, cotta nel fango e nell'argilla" perché emanava il "sordido fetore della rivoluzione". In altre parole, la legittimazione democratica della carica imperiale lo avrebbe separato dai suoi pari, gli imperatori di Vienna e Russia e i re delle capitali europee.
Il rifiuto del re prussiano fu un colpo fatale per il Parlamento di Francoforte. Possiamo individuare almeno altre due motivazioni alla base di questo clamoroso dietrofront del re. In primo luogo, il desiderio di mantenere buoni rapporti con l’Impero austriaco, che mai avrebbe tollerato la nascita, ai propri confini, di una sorta di "Sacro Romano Impero prussiano". Era prevedibile che l'imperatore austriaco avrebbe interpretato un'accettazione di Federico Guglielmo come un atto ostile.
In secondo luogo, anche Francia e Regno Unito avrebbero potuto reagire duramente, fino a ipotizzare uno scontro armato, pur di ristabilire lo status quo sancito dal Congresso di Vienna. Proclamarsi apertamente "Imperatore dei tedeschi" avrebbe dunque comportato seri rischi di accerchiamento diplomatico e di reazioni internazionali aggressive. Dopo il rifiuto, la sinistra democratica, mai vide di buon occhio Berlino, respinse definitivamente il progetto prussiano di un'Unione tedesca.
Alla luce di ciò, viene spontaneo chiedersi se il sostegno mostrato da Federico Guglielmo IV alla causa nazionale tedesca l’anno precedente non fosse, in realtà, solo una mossa astuta per placare i disordini a Berlino e illudere un’opinione pubblica sempre più influente e pressante in senso nazionalista.
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Nel frattempo, la controrivoluzione aveva avuto successo sia in Austria che in Prussia. In Prussia, come avevamo visto, Federico Guglielmo IV decise di opporsi all'Assemblea Nazionale e di rifiutare una costituzione liberale. Il 5 dicembre 1848, il re aveva sciolto l'Assemblea Nazionale e proclamato una costituzione imposta. Meno di due anni più tardi, verrà poi sostituita con una nuova costituzione (più conservatrice), che resterà in vigore — con varie modifiche — fino alla creazione dell'Impero tedesco (1871).
L'Austria, sotto la guida del nuovo primo ministro Schwarzenberg, dissolse il parlamento di Kremsier il 7 marzo 1849 e impose una costituzione che proclamava un’ossimorica unità nazionale dell'impero asburgico. Schwarzenberg chiese inoltre che l'intero stato austriaco fosse accettato in una rinnovata Confederazione Germanica, implicitamente sostenendo la dissoluzione del Parlamento di Francoforte in favore di un ritorno alla meno ambiziosa Dieta di Francoforte del 1814. La costituzione del 1849, che già era una carta meno ambiziosa di quella proposta l’anno prima durante l’insurrezione a Vienna, fu abolita nel 1851, e il paese tornò a essere uno stato assolutista.
Senza il sostegno dei principali stati tedeschi e di fronte alla riaffermazione del potere monarchico in Austria e Prussia, il Parlamento di Francoforte perse la sua autorità e la sua rilevanza.
Come dopo il 1815, la Confederazione Germanica si adoperò per annullare gran parte delle conquiste liberali del 1848. Le riforme costituzionali nei singoli stati furono revocate e in molti casi furono promulgate nuove costituzioni molto meno liberali di quelle in vigore prima del 1848.
Solo nel Baden un regime liberale riuscì a continuare senza cambiamenti, ma anche qui si sentiva la pesante mano della Confederazione. Una legge federale del 1854 impose infine severe restrizioni alla libertà di stampa e di assemblea in tutta la Confederazione.