06 novembre 2025 | di Leonardo Adrian Della Sera
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Nel 15 giugno del 1888, Guglielmo II salì al trono dopo la morte del padre, stroncato da un tumore dopo meno di cento giorni di regno. Il giovane sovrano, allora ventiquattrenne, era l'opposto del padre e, per certi versi, anche del nonno. Reazionario, testardo, orgoglioso e amante del lusso; impulsivo, vanitoso e incline alla retorica bellicista.
Fu descritto come un "fanfarone nevrotico e sognatore romantico, un guerrafondaio militarista e un appassionato cacciatore di animali selvatici". Voleva che "ogni giorno fosse il suo compleanno" e si circondava di "sicofanti piuttosto che di consiglieri onesti". Non era in grado di lavorare in modo sistematico, trascorreva gran parte dell'anno in…
Nel 15 giugno del 1888, Guglielmo II salì al trono dopo la morte del padre, stroncato da un tumore dopo meno di cento giorni di regno. Il giovane sovrano, allora ventiquattrenne, era l'opposto del padre e, per certi versi, anche del nonno. Reazionario, testardo, orgoglioso e amante del lusso; impulsivo, vanitoso e incline alla retorica bellicista.
Fu descritto come un "fanfarone nevrotico e sognatore romantico, un guerrafondaio militarista e un appassionato cacciatore di animali selvatici". Voleva che "ogni giorno fosse il suo compleanno" e si circondava di "sicofanti piuttosto che di consiglieri onesti". Non era in grado di lavorare in modo sistematico, trascorreva gran parte dell'anno in viaggio e si alzava tardi. Il suo "radicato odio per l'Inghilterra" era dettato da un "senso di inferiorità" e dal suo "odio patologico per la madre inglese".
Nato con una malformazione al braccio e alla mano sinistra che lo rendeva parzialmente disabile, è possibile – volendo azzardare una lettura pop-freudiana – che proprio da questo handicap fisico derivasse una sorta di complesso di compensazione, alla base del suo carattere arrogante e instabile.
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Il rapporto di Guglielmo II con Bismarck fu caratterizzato da una crescente tensione e dal desiderio dell'imperatore di affermare la propria autorità: già in giovane età, il nuovo sovrano aveva espresso chiaramente il desiderio di sottrarsi all'ombra di Bismarck, che aveva 44 anni più di lui e la cui popolarità era ormai in declino. Guglielmo non tollerava che il potere esecutivo fosse nelle mani di un Cancelliere e criticava il dominio che Bismarck aveva esercitato sotto Guglielmo I, suo nonno, che, secondo lui, si era in gran parte lasciato sopraffare dal cancelliere.
Un punto di contesa importante fu la gestione dei Socialdemocratici. Guglielmo II, influenzato dalle idee del politico e teologo Adolf Stoecker, annunciò la sua intenzione di essere un "kaiser sociale", promuovendo riforme sociali e incontrando persino una delegazione di minatori in sciopero. Bismarck, il cui reazionarismo anti-parlamentare si era acuito con l’età, intendeva invece proseguire con le sue politiche repressive in completo contrasto con il kaiser. Tuttavia, gli equilibri di potere presero uno scossone pochi mesi più tardi.
Dopo la mancata proroga delle leggi antisocialiste, grazie al decisivo intervento dei liberali al Reichstag, le elezioni del 1890 indebolirono ulteriormente il cartello governativo filo-bismarckiano, facendo presagire l’ennesima crisi di governabilità che tormentava la Germania da oltre un decennio. Il cancelliere, ormai anziano ma altrettanto ostinato quanto il nuovo imperatore, restava ancorato a posizioni sempre più reazionarie e rinunciò a costruire una nuova maggioranza, forzando la mano in un braccio di ferro che minava apertamente la legittimità stessa del Reichstag come istituzione, paventando addirittura di attuare un colpo di stato contro il Parlamento se necessario!
Guglielmo II, pur potenzialmente destinato a beneficiare di un simile colpo di mano antiparlamentare, non sostenne la crociata anti-parlamentare del suo cancelliere. Quella, in effetti, era ormai diventata l’ultima battaglia personale di Bismarck: una battaglia combattuta in totale solitudine, senza neppure più degnarsi di informare il giovane imperatore, ritenuto evidentemente troppo inesperto, incapace, inadeguato.
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Il principale motivo di scontro fu, probabilmente, il rifiuto da parte dell’imperatore e dei suoi consiglieri di rinnovare il Trattato di Rassicurazione con la Russia, voluto da Bismarck per mantenere l’equilibrio tra le grandi potenze europee. La cerchia imperiale vedeva nel trattato un ostacolo alla possibilità di avvicinarsi alla Gran Bretagna e temeva che esso rendesse la Germania vulnerabile al ricatto russo. Per Guglielmo, era giunto il momento di riorientare la politica estera secondo una propria visione, meno legata al compromesso e più aperta a nuovi equilibri.
Le tensioni crebbero ulteriormente quando Bismarck si oppose all’abrogazione di un ordine di gabinetto del 1852 — emanato da Federico Guglielmo IV — che vietava ai ministri prussiani di comunicare direttamente col re senza l’autorizzazione del capo del governo: il Cancelliere. Guglielmo II interpretò questo rifiuto come un tentativo deliberato di escluderlo dal controllo sull’attività ministeriale, alimentando il sospetto che Bismarck volesse mantenere un potere assoluto, impedendo un contatto diretto tra il sovrano e i suoi collaboratori.
Va detto però che il vecchio Junker, pur contando ancora sull’appoggio dell’esercito e di una larga parte dell’aristocrazia — soprattutto prussiana — non avrebbe mai tentato un colpo di Stato. Di Bismarck si può dire tutto, ma non che fosse disposto a sfidare apertamente la monarchia come istituzione. Al massimo, sfidava l’imperatore in quanto individuo.
Nel frattempo, anche ambienti di massima rilevanza come il gabinetto militare e lo Stato Maggiore iniziarono a esercitare pressioni su Guglielmo perché si liberasse del vecchio statista. Il loro allarme si concentrava sul cosiddetto “pericolo russo”, un tema enfatizzato da rapporti allarmistici — e spesso infondati — provenienti dal Ministero degli Esteri. Era ormai palese che non solo il nuovo Imperatore, ma anche gran parte del notabilato tedesco non aveva intenzione di seguire Bismarck nel negozio di un nuovo trattato di controassicurazione con la Russia che tentava di ricucire i rapporti diplomatici logorati nell’ultimo decennio.
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Il 17 marzo 1890, il Cancelliere di ferro ricevette da Guglielmo II un invito, per nulla cortese e anzi carico d’irritazione, a rassegnare le dimissioni sia da Cancelliere del Reich che da presidente del Consiglio dei ministri prussiano. Non era tuttavia una richiesta formale. Bismarck stette al gioco.
Il confronto giunse al culmine quando il Cancelliere, fedele a una sua vecchia tattica, minacciò e poi rassegnò formalmente le dimissioni per forzare la mano al monarca. Di solito, sotto Guglielmo I, finiva che tali dimissioni venivano rifiutate e Bismarck riusciva ad ottenere ciò che voleva… Ma questa volta la manovra non ebbe l’effetto sperato: Guglielmo II, deciso a liberarsi una volta per tutte della tutela del “vecchio uomo”, colse al volo l’occasione e accettò con prontezza le dimissioni, formalizzandole il 18 marzo 1890. Due giorni dopo, il 20 marzo, fu ufficialmente sollevato da ogni incarico.
Con il congedo di Bismarck si chiudeva una stagione politica dominata dalla sua figura titanica. Se da un lato il suo allontanamento evitò alla Germania il rischio concreto di una deriva autoritaria, dall’altro lasciò in eredità un sistema istituzionale anacronistico, troppo legato a equilibri personalistici e privo di meccanismi di successione politica funzionali. I suoi successori, privi della sua autorità e della sua abilità, avrebbero faticato a gestire le complessità dell’impero, contribuendo all’instabilità che avrebbe accompagnato la Germania fino allo scoppio della Prima guerra mondiale.
Il problema di fondo era che Bismarck aveva governato così a lungo sotto Guglielmo I che, come abbiamo detto anche nei precedenti episodi, la mancata parlamentarizzazione della Germania aveva cristallizzato l’Impero attorno a due figure centrali: il Kaiser e il Cancelliere. Quando questo equilibrio si spezzò, né Bismarck né la Germania erano pronti ad affrontare un ricambio di potere: una nazione che, privata del suo pilastro politico, si ritrovò nelle mani di un giovane imperatore inetto.
La personalità totalizzante del Cancelliere di ferro aveva lasciato un vuoto impossibile da colmare — e l’impero non aveva né la struttura né la visione per affrontare la sua eredità.
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A partire dal 1890, Guglielmo II, desideroso di esercitare il potere in prima persona, si circondò rapidamente di alti ufficiali dell’esercito, ai quali finì per affidare anche incarichi politici e diplomatici per i quali non avevano né esperienza né competenze. Il primo a incarnare questo nuovo corso fu proprio il successore di Bismarck: Leo von Caprivi.
Caprivi era un soldato di professione, distintosi nelle guerre del 1866 e del 1870, ma privo di qualsiasi preparazione specifica in materia di politica interna o estera. La sua nomina a cancelliere imperiale fu il simbolo di una svolta netta rispetto all’epoca bismarckiana. La sua prima mossa significativa fu, infatti, quella di bloccare buona parte dell’agenda politica elaborata da Bismarck negli ultimi due anni del suo mandato, tra cui il Trattato di Rassicurazione con la Russia.
Questo trattato era già stato negoziato, restava solo da ratificare, ma il nuovo governo scelse deliberatamente di non farlo, provocando irritazione a Mosca. Le conseguenze non tardarono a manifestarsi: nel 1892, Francia e Russia firmarono un’alleanza militare segreta, ufficializzata due anni più tardi, primo passo verso quel riavvicinamento che, di lì a poco, avrebbe incluso anche il Regno Unito, dando vita alla Triplice Intesa.
Caprivi era ben consapevole che chiunque fosse subentrato immediatamente a Bismarck avrebbe avuto vita difficile, se non fallito in partenza. Ciononostante, accettò l’incarico – con scarso entusiasmo – e si trovò da subito nel mirino della stampa conservatrice e filo-bismarckiana, che ne demolì sistematicamente l’operato. Fu accusato, tra le altre cose, di cedere troppo facilmente agli interessi britannici nel Mediterraneo, senza ottenere nulla in cambio.
Le critiche si fecero ancor più feroci nel 1892, quando il suo governo presentò al Reichstag un disastroso progetto di bilancio: erano stati commessi gravi errori di calcolo nelle entrate previste, con cifre anche sbagliate di diversi zeri. Ne risultò una legge finanziaria gravemente deficitaria, resa ancor più impopolare da un contestuale aumento delle spese militari. Il bilancio fu inizialmente respinto dal Reichstag, e solo dopo nuove elezioni venne approvato nel 1893. Ma fu una vittoria di Pirro: la popolarità del governo Caprivi era in costante declino, in tutte le classi sociali.
In quello stesso anno, il cancelliere si scontrò anche con la nobiltà terriera prussiana, contraria all’abbassamento dei dazi doganali che avrebbe danneggiato i loro interessi agricoli. A rappresentare i Junkers nella compagine governativa vi era il presidente del Consiglio prussiano, Botho von Eulenburg, che entrò presto in rotta di collisione con Caprivi. Infatti, a differenza di Bismarck, che aveva accentrato su di sé sia la cancelleria del Reich che la presidenza del governo prussiano, a partire dal 1892 i due incarichi furono separati. Il conflitto tra i due uomini divenne ingestibile, e Guglielmo II decise infine di licenziarli entrambi.
Il nuovo cancelliere, Clodwig zu Hohenlohe, già primo ministro bavarese e governatore dell’Alsazia-Lorena, era un cattolico moderato che cercò – come molti altri dopo di lui – di riportare la Germania su una rotta più autoritaria, tentando l’ennesima offensiva antisocialista. Ma il contesto era cambiato: nel 1893 l’SPD contava ormai 44 seggi nel Reichstag, più del 10% del totale, e l’ostilità del centro-sinistra liberale impedì a Hohenlohe di far approvare qualunque legge federale repressiva. La questione fu così devoluta ai singoli stati dell’impero.
Dalla metà degli anni Novanta in poi, il nuovo cancelliere si trovò sempre più spesso costretto a gestire le conseguenze delle gaffe internazionali di Guglielmo II, che amava improvvisarsi diplomatico senza averne la minima capacità. Quando non interveniva personalmente, lasciava la politica estera nelle mani dei militari, con risultati spesso disastrosi, come vedremo, tra poco, nella seconda parte di questo episodio.
Nel 1896, la crisi del Transvaal – preludio alla seconda guerra anglo-boera – mise in luce l’isolamento crescente della Germania sulla scena internazionale. La potenza tedesca, pur in forte espansione economica, entrava in una fase di progressiva decadenza politico-istituzionale: incapace di stringere alleanze durature con le grandi potenze europee, rimase di fatto sempre più sola, fino al tragico 1914, quando il suo unico vero alleato sarà ancora e soltanto l’Austria-Ungheria.
Andiamo con ordine: nel 1881, Bismarck aveva dichiarato che non ci sarebbe stata alcuna politica coloniale finché fosse stato cancelliere, eppure, nonostante la sua iniziale riluttanza, tra il 1884 e il 1885, la Germania stabilì numerose colonie in Africa sud-occidentale, orientale, e perfino in Asia.
Inizialmente, Bismarck cercò di limitare il coinvolgimento dello Stato negli affari coloniali, con molte colonie che iniziavano come protettorati garantiti dal Reich a commercianti e avventurieri. Tuttavia, questi protettorati si scontrarono presto con altre potenze imperialiste, costringendo Bismarck a un maggiore coinvolgimento.
La Conferenza di Berlino del 1884/85, in particolare, organizzò il bacino del Congo come uno stato libero sotto il re Leopoldo II del Belgio, a vantaggio anche dei britannici. Convocata su iniziativa proprio di Bismarck, fu un momento cruciale della cosiddetta "corsa all’Africa" tra le potenze europee. Vi parteciparono ben 14 nazioni, con l’obiettivo ufficiale di regolare pacificamente le rivendicazioni europee sul continente africano ed evitare conflitti tra stati europei. Fu un punto di partenza per quella che, sotto Guglielmo II, sarebbe poi diventata una politica estera molto più assertiva e imperialista.
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Torniamo ora alla Crisi del Transvaal ed il Telegramma di Kruger. Il 29 dicembre 1895, Leander Starr Jameson, un amministratore coloniale britannico, guidò un'incursione armata nel Transvaal, una repubblica boera indipendente in Sudafrica, con l'obiettivo di rovesciare il governo del presidente Paul Kruger.
Il governo tedesco, preoccupato per i considerevoli investimenti di capitale tedesco nel Transvaal, chiese immediatamente al governo britannico se avesse approvato l'incursione, minacciando di interrompere le relazioni diplomatiche in caso affermativo. Tre giorni dopo, Berlino seppe che l'incursione non aveva avuto l’autorizzazione ufficiale britannica ed era perciò un’iniziativa di Jameson. Iniziativa che fallì.
Guglielmo II, però, contro il parere del suo ministro degli esteri, inviò un telegramma a Kruger, congratulandosi con lui per aver respinto l'invasione e per aver "mantenuto l'indipendenza del paese contro attacchi esterni". Il tutto dopo una serie di contrasti con il Regno Unito su questioni coloniali già durante la cancelleria di Caprivi.
La frase sull'indipendenza infuriò il governo e la stampa britannica, che consideravano il Transvaal nella loro sfera d'influenza. Il telegramma fu percepito come un'ingerenza gratuita negli affari dell'Impero britannico e una prova di una cospirazione tra Kruger e il governo tedesco.
Sappiamo oggi con buona certezza che il governo britannico era perfettamente a conoscenza delle intenzioni di Jameson di organizzare un colpo di mano nel Transvaal. Il fatto che non vi fosse stata un’autorizzazione ufficiale non implica affatto una vera e genuina estraneità: è più plausibile che Londra abbia concesso un tacito assenso, preferendo mantenere una posizione ambigua per non compromettere apertamente le relazioni con le altre potenze europee. Ciò dimostra quanto il Transvaal fosse ormai entrato nel raggio degli interessi strategici dell’Impero britannico.
Sta di fatto che questo incidente diplomatico mise in luce l'opportunismo ma anche l'arroganza e la superficialità della politica tedesca del nuovo Imperatore. Il Transvaal, pur essendo formalmente uno stato sovrano, non poteva concludere trattati internazionali senza l’autorizzazione britannica, in virtù di accordi siglati negli anni Ottanta. E se non fosse stato per l’intervento moderatore del cancelliere Hohenlohe, Guglielmo II avrebbe probabilmente fatto ben più di inviare un telegramma: il Kaiser, in uno slancio di ambizione imperiale, era infatti tentato dall’idea di proclamare un protettorato tedesco sull’intera regione.
Guglielmo II aveva però imparato la lezione. Nel 1899, di fronte a un imminente attacco britannico ormai apertamente sostenuto dal governo di Londra, i Boeri decisero di passare all’offensiva attaccando le colonie inglesi, dando inizio alla Seconda Guerra anglo-boera. Tuttavia, nonostante le premesse, la Germania si guardò bene dall’intervenire. Non offrì alcun appoggio militare né politico ai Boeri, preferendo mantenere una posizione di cauta neutralità, consapevole del rischio di compromettere ulteriormente i rapporti già tesi con la Gran Bretagna.
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Se i rapporti della Germania con l’estero andavano progressivamente deteriorandosi, anche al suo interno la società tedesca appariva più divisa che mai. L’SPD, ormai distante dalle vecchie ambizioni rivoluzionarie, aveva progressivamente abbandonato l’ideologia massimalista, puntando invece su forme di lotta più moderne ed efficaci. Negli ultimi dieci anni, anche grazie a un processo di industrializzazione sempre più diffuso e al crescente sostegno dei lavoratori salariati, il Partito Socialdemocratico aveva cominciato a investire con forza nello strumento dello sciopero di massa, riconoscendone l’impatto potenziale tanto sulla società quanto sull’economia tedesca, in particolare per quanto riguardava le rivendicazioni sociali.
La nuova stagione sindacale, accompagnata dall’appoggio di una parte della borghesia e di alcuni intellettuali, restituì al partito una concretezza inedita. L’SPD seppe organizzarsi in modo capillare su tutto il territorio imperiale, grazie a una struttura moderna ed efficiente, diventando ben presto un modello per le sinistre europee. Alla fine degli anni Novanta e per buona parte del primo decennio del Novecento, il socialismo tedesco fu infatti il principale punto di riferimento internazionale per chiunque guardasse a una trasformazione sociale democratica e progressista.
Nel 1898 l’SPD ottenne 56 seggi al Reichstag, saliti a 81 nel 1903. Questa crescita fu ovviamente favorita dalla cessazione, ormai nel 1890, delle leggi anti-socialiste che certamente rendevano più complicata l’organizzazione del partito. Ciononostante, Guglielmo II si rifiutò sistematicamente di intrattenere qualsiasi forma di dialogo con i socialisti, che considerava dei sudditi infedeli, quasi dei nemici interni.
Sul piano della politica estera, dopo l’incidente del Transvaal del 1896 e la definitiva presa d’atto dell’ostilità britannica, Berlino decise di investire con decisione in una flotta militare che potesse, se non eguagliare, almeno avvicinarsi alla potenza navale del Regno Unito. La Weltpolitik, ovvero la “politica mondiale”, imperialista, che era rimasta in sordina nell’ultima fase del governo Bismarck, tornò al centro delle priorità imperiali.
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Un aspetto cruciale della Weltpolitik fu il suo utilizzo come strumento per deviare le richieste di riforme politiche e costituzionali interne. L'entusiasmo per l'imperialismo e gli armamenti navali fu promosso per creare un fronte comune di sostegno al governo. Johannes von Miquel, ministro delle finanze prussiano dal 1890 al 1901, promosse una "Sammlungspolitik" (politica di raccolta) che mirava a unire i conservatori e i nazional-liberali in un cartello partitico, sostenendo tariffe protezionistiche, imperialismo e una marina forte, e opponendosi alle riforme in Prussia. Questa strategia fu ideata anche per "combattere il movimento socialdemocratico e renderlo inefficace".
Perfino intellettuali come Max Weber e Friedrich Naumann videro la Weltpolitik come un modo per scuotere la borghesia tedesca dal suo "edonismo molle" e impegnarla nella lotta per la potenza mondiale, considerandola un mezzo per l'integrazione sociale e per superare le divisioni di classe.
Le politiche navali furono l'elemento chiave e il motore della Weltpolitik. Il principale artefice di questa nuova fase fu l’ammiraglio Alfred von Tirpitz, nominato segretario di stato della marina imperiale nel 1897. Due importanti leggi navali, approvate nel 1898 e nel 1900 (nonostante l’opposizione dei socialisti e di pochi altri gruppi parlamentari), diedero l’avvio a un programma di potenziamento navale senza precedenti: la flotta fu ampliata, modernizzata e dotata di nuove tecnologie. Tirpitz puntava ad una flotta di dimensioni tale da competere con quella britannica nel Mare del Nord.
L’obiettivo principale era rendere la marina tedesca sufficientemente forte da scoraggiare qualsiasi altra potenza navale (principalmente la Gran Bretagna) dall'attaccarla. La cosiddetta e controversa “teoria del rischio”, dimostratasi fallace nella prima metà del Novecento ma efficace nella seconda metà, sottoforma di “mutua distruzione assicurata atomica”.
Le proposte di Tirpitz, vigorosamente sostenute dalla Lega Navale (Flottenverein), generarono un enorme entusiasmo tra la maggior parte della classe media tedesca. La Lega Navale, fondata nel 1897, divenne il gruppo di pressione più influente nella Germania di Guglielmo II, promuovendo una forza armata con un focus pan-tedesco anziché prussiano. Questi furono gli anni dell’esplosione del fenomeno del lobbying in Germania.
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A fine secolo, la marina tedesca aveva già ottenuto importanti successi coloniali: occupò, con l’assenso tacito della Russia, la zona cinese dello Yangtze, acquistò dalla Spagna gli arcipelaghi delle Marianne e delle Caroline e partecipò alla spartizione delle isole Samoa con gli inglesi. Questo sembrava confermare, almeno inizialmente, l’efficacia della nuova linea imperialista.
Infine, nel 1900, un episodio in Cina contribuì ad accrescere ulteriormente le tensioni internazionali: l’assassinio di un diplomatico tedesco durante la rivolta dei Boxer — fomentata anche dal comportamento arrogante e razzista di alcuni ufficiali imperiali — fornì il pretesto alla Germania per promuovere una spedizione punitiva congiunta delle potenze europee contro i ribelli. La repressione portò a nuove concessioni territoriali, vantaggi commerciali e porti in affitto a favore delle potenze occidentali, perpetuando una logica coloniale già vista fin dalle guerre dell’oppio condotte dal Regno Unito.
Tuttavia, nonostante l'entusiasmo, l'illusione che la marina potesse essere costruita senza oneri aggiuntivi sul tesoro durò solamente pochi anni. L'aumento degli armamenti, in particolare la marina, fu oggetto di dibattito anche per i costi elevati.
Il programma navale di Tirpitz fu il vero elemento che "avvelenò le relazioni tra i due paesi". La Germania esigeva il riconoscimento come potenza imperiale e il sostegno britannico alle ambizioni austro-tedesche nell'Europa centrale e sud-orientale, un prezzo che la Gran Bretagna non era disposta a pagare. I tentativi britannici di negoziare una riduzione degli armamenti navali furono respinti dalla Germania. La Germania si trovò quindi sempre più isolata, con Russia e Gran Bretagna che risolvettero le loro divergenze in materia di zone di influenza imperialista, stipulando un accordo nel 1907.
Nel frattempo, nel 1900, Hohenlohe lasciò l’incarico di cancelliere a Bernhard von Bülow, già ministro degli Esteri. Con lui, per la prima volta dai tempi di Bismarck, un vero diplomatico di carriera tornava alla guida del governo imperiale. Come il suo illustre predecessore, Bülow si impegnò fin da subito nella costruzione di una maggioranza parlamentare solida che potesse garantirgli continuità e stabilità, e proseguì la politica navale e militare della precedente amministrazione, sposando la “teoria del rischio” dell’ammiraglio Tripiz.
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