Come abbiamo visto nella scorsa puntata, la modalità in cui Prussia ed Austria si erano divisi i protettorati in Schleswig ed Holstein era incredibilmente problematica. In particolare, creava una situazione difficile per l'Austria, poiché l'Holstein si trovava "a sandwich" tra Schleswig prussiano e Prussia, e quest’ultima godeva di una serie di diritti speciali nel ducato amministrato dall'Austria. Questa convenzione conteneva già di per sé sufficienti motivi di disputa, ossia il fatto che la Prussia doveva passare attraverso l'Holstein, amministrato dagli austriaci, per raggiungere lo Schleswig.
In Holstein, i liberali, i nazionalisti e i filoprussiani invocarono apertamente l’annessione e il compimento dell’unificazione tedesca, di fatto sollecitando l’intervento delle truppe prussiane. A complicare ulteriormente la situazione, vi era il governatore austriaco del ducato, il quale manifestava simpatie per una soluzione favorevole al principe ereditario di Augustenburg, sostenendo la riunificazione dei due ducati sotto la sua guida.
Questo significava che un protettorato della corona prussiana non fosse legittimamente prussiano, minando così la posizione della Prussia. La gestione viennese di questa situazione – tanto sul piano politico quanto su quello comunicativo – risultò disastrosa, aggravata da una dura repressione delle proteste filoprussiane nel ducato. In questo contesto, Bismarck riuscì a presentarsi quasi come vittima dell’arroganza viennese, cogliendo l’occasione per rafforzare la propria posizione.
Proprio in questi mesi la Prussia si accordò con l’Italia l’8 aprile 1866, firmando un trattato di alleanza militare. Se la Prussia avesse dichiarato guerra all’Austria entro tre mesi, l’Italia si sarebbe impegnata ad attaccare l’Austria da sud. Quindi, l’Italia si impegnava ad aprire un fronte militare simultaneo in cambio della promessa che, in caso di vittoria, avrebbe ottenuto il Veneto ancora sotto il controllo austriaco.
Il momento di crisi arrivò il primo giugno del 1866, quando il governatore viennese chiese la convocazione di un'assemblea di tutti gli stati ad Altona nel Holstein per discutere di una riunificazione dello Schleswig ed Holstein sotto il duca di Augustenburg. Questa manovra violò la convenzione di Gastein e pose fine definitivamente fine alla cooperazione tra le due potenze… ma tanto Guglielmo I e Bismarck si erano già decisi a far “accadere” un incidente diplomatico per attaccare il vecchio impero rivale.
Austria e Prussia giunsero entrambe alla conclusione che la guerra era quasi inevitabile. Berlino rispose alla mossa del governatore viennese del ducato sei giorni più tardi, inviando le proprie truppe nell'Holstein, occupando il protettorato austriaco, anche in questo caso violando Gastein, nonché gli statuti della Confederazione Germanica.
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Questo scambio di mosse decisive e provocatorie, innescato dalla crescente tensione e dall'incidente di Altona, portò direttamente alla Guerra Austro-Prussiana lo stesso anno. Questa fu il culmine di una lunga rivalità tra Austria e Prussia per la supremazia in Germania.
L’Austria chiamò la Confederazione a mobilitarsi contro la Prussia. La Baviera, il Württemberg, la Sassonia, l'Hannover e altri stati minori meridionali votarono a favore dell'Austria; il Baden si astenne; gli altri si schierarono con la Prussia. Nel frattempo, la Prussia marciava verso sud, attraversando anche quegli stati che avevano preso le parti dell’Austria. Questi stati non osarono opporre praticamente alcun tipo di resistenza.
Bismarck aveva lavorato diplomaticamente per assicurarsi la neutralità di Russia e Francia. La prima era un’alleata storica di Berlino. Non solo. La Prussia non aveva preso parte alla Guerra di Crimea contro la Russia, a differenza dell’Austria. Della Francia ubriacata dai successi militari di Napoleone III si può dire, con il senno di poi, che aveva semplicemente sottovalutato la potenza di fuoco degli eserciti del Cancelliere di Ferro.
Il 20 giugno 1866, il neonato Regno d’Italia dichiarò guerra all’Austria ed il giorno successivo la Prussia fece lo stesso, accusando Vienna di aver mobilitato l’esercito federale germanico contro Berlino e di aver imposto un blocco terrestre nel Holstein, impedendo l’accesso prussiano al protettorato dello Schleswig. Quello stesso giorno, le truppe prussiane varcarono il confine e penetrarono in Boemia, aprendo il fronte settentrionale del conflitto.
Questa strategia riuscì a dividere le forze austriache, costringendole a combattere su due fronti: a nord in Boemia contro i prussiani, e a sud contro l’esercito italiano. Per Bismarck, fu la mossa decisiva per assicurarsi una vittoria rapida. Infatti, nonostante le dimensioni imponenti dell’esercito imperiale austriaco, la macchina militare prussiana – modernizzata dalle riforme di Guglielmo I e del generale von Moltke – dimostrò una superiorità netta.
Il punto culminante della guerra si raggiunse con la battaglia di Königgrätz (o Sadowa) il 3 luglio 1866, uno scontro decisivo in Boemia. La vittoria prussiana fu schiacciante, dimostrando il successo delle riforme militari e la brillantezza della pianificazione strategica. Molti degli Stati tedeschi che si erano schierati con Vienna si arresero rapidamente, spesso senza nemmeno combattere. La vittoria non solo indebolì definitivamente l’influenza austriaca sulla ormai defunta Confederazione Germanica (Bismarck l’aveva sciolta alcuni giorni prima) ma preparò il terreno per l’unificazione tedesca sotto la guida prussiana.
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Nel dopoguerra, Napoleone III agì inizialmente come mediatore, e fu concluso un armistizio. Bismarck non voleva umiliare l'Austria e mirava a creare le basi per una futura cooperazione. I termini preliminari di pace furono firmati a Nikolsburg il 26 luglio, diventando effettivi due giorni dopo, e il trattato di pace finale fu firmato a Praga il 23 agosto.
Le conseguenze della guerra furono significative:
La Confederazione Germanica fu sciolta ufficialmente il 23 agosto. Al suo posto, fu creata la Confederazione Tedesca del Nord, una nuova organizzazione sovranazionale dominata dalla Prussia, che includeva anche gli stati che si erano schierati con lei.
Gli Stati che si erano schierati apertamente con l'Austria furono severamente puniti e annessi dalla Prussia, tra cui il Regno di Hannover, parti dell'Assia elettorale e la città libera di Francoforte, che persero la loro indipendenza. Anche i ducati di Schleswig-Holstein e Nassau furono annessi, ponendo fine con la forza alla decennale questione del doppio ducato. Praticamente il 90% della superficie della nuova Confederazione era costituita dalla Prussia che, come nel 1815, aveva ottenuto quasi 100’000km2 di nuovo territorio.
Gli stati del sud della Germania rimasero per conto proprio, formando una lega indipendente senza l'Austria. La Baviera divenne lo stato leader degli “esclusi” dalla nuova Confederazione. La pace tra Prussia e Baviera fu infatti poco svantaggiosa verso quest’ultima.
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Nonostante avesse ottenuto delle vittorie sul fronte meridionale contro l’Italia, l’imperatore Francesco Giuseppe si era trovato in una posizione diplomatica difficile. Per evitare una possibile avanzata prussiana fino a Vienna (evento che alla fine non si verificò), Francesco Giuseppe aveva chiesto a Napoleone III di mediare con l’Italia in cambio del Veneto.
Ma perché il Veneto non fu consegnato direttamente all’Italia?
Il motivo fu duplice. Innanzitutto, l’alleanza tra Italia e Prussia era stata tenuta segreta, e l’Austria – che aveva sconfitto militarmente l’Italia a Custoza e a Lissa – rifiutava l’idea di dover cedere un territorio a uno Stato che riteneva sconfitto sul campo. Cedere il Veneto direttamente all’Italia sarebbe parso un riconoscimento dell'efficacia militare italiana, che Vienna non era disposta a concedere. Quindi il passaggio indiretto del Veneto all’Italia tramite la Francia servì a salvare la faccia dell’impero austriaco e, allo stesso tempo, rafforzare il ruolo di Parigi come arbitro del continente.
Con la pace firmata a Praga, la Prussia ottenne anche una vittoria diplomatica straordinaria, evitando di umiliare personalmente l’Austria. Bismarck, in effetti, si era opposto con forza all’idea – promossa da Guglielmo I – di proseguire l’offensiva fino a Vienna. Secondo alcune fonti, arrivò perfino a minacciare di gettarsi dalla finestra pur di evitare una mossa tanto sconsiderata.
Il suo calcolo era semplice quanto geniale: non bisognava distruggere l’Austria, perché in futuro avrebbe potuto tornare utile come alleato o almeno come potenza neutrale in funzione anti-francese. E in effetti ci vide lungo.
La Prussia inoltre concesse una sorta di via libera alla Francia sul Lussemburgo, lasciando intendere che Parigi avrebbe potuto espandere la sua influenza sul Granducato. Ma il Lussemburgo, come vedremo, non verrà mai annesso né dalla Germania né dalla Francia, e la questione tornerà a essere spinosa nel decennio successivo.
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La guerra segnò l'esclusione definitiva dell'Austria dalla futura Germania. L'Austria non aveva mai voluto riconoscere lo status paritario della Prussia fino alla fine della Confederazione Germanica. Sul piano interno, Austria e Ungheria raggiunsero un compromesso dopo la guerra, portando alla creazione della doppia monarchia Austro-Ungharica nel dicembre 1867.
Tornando alla guerra del 1866, sarebbe però riduttivo leggerla come un semplice conflitto fratricida tra tedeschi. Nonostante si trattasse formalmente di una guerra interna alla Confederazione Germanica, i soldati – specialmente quelli prussiani e austriaci – combattevano veri e propri nemici, non "fratelli". Le motivazioni erano profondamente politiche e strategiche, e i sentimenti nazionalisti tedeschi, seppur diffusi, non erano ancora così forti da far percepire il conflitto come una guerra civile tra connazionali.
In effetti, sia l’esercito prussiano che quello austriaco erano in larga parte immuni da quelle pulsioni nazionalistiche che pure circolavano sempre più intensamente in ambienti intellettuali e popolari. In quegli stessi anni, in Prussia si andava definendo una sorta di doppia anima politica: da un lato, un’anima internamente conservatrice, persino reazionaria, che difendeva l’ordine tradizionale e l’autorità monarchica; dall’altro, un’anima esternamente innovatrice, quasi rivoluzionaria nel suo approccio alla politica internazionale. Entrambe queste anime convivevano nella figura di Otto von Bismarck, abile a muoversi tra conservatorismo e realpolitik.
Una volta neutralizzata l’Austria senza umiliarla, per evitare fratture insanabili e mantenere una futura sponda diplomatica, era inevitabile che le tensioni si spostassero verso ovest, verso la Francia, che si aspettava una ricompensa per la propria neutralità.
Proprio per evitare attriti diretti con Napoleone III, la Prussia decise di non annettere direttamente gli Stati tedeschi a sud del Meno (come la Baviera, il Württemberg, Baden e l’Assia meridionale). Questi rimasero formalmente indipendenti, ma Bismarck non si fece sfuggire l’occasione per legarli militarmente a Berlino.
Infatti, fece loro firmare dei trattati segreti di alleanza militare, in cui si stabiliva che in caso di guerra contro la Francia, questi Stati avrebbero ceduto alla Prussia il controllo delle loro infrastrutture strategiche, in particolare le ferrovie e le vie di comunicazione.
Sistemato il fronte a sud, Bismarck cominciava a guardare verso il prossimo avversario: la Francia bonapartista. Era chiaro che il grande scontro tra le due potenze continentali era solo rimandato.
La Prussia, con la vittoria nella guerra del 1866, aveva ottenuto molto più di una semplice affermazione militare: aveva conquistato il ruolo di potenza guida nel mondo germanico. Eppure, il processo di unificazione tedesca che si sarebbe avviato da quel momento non partì immediatamente in quinta. Le diffidenze, specialmente da parte degli Stati del sud, rimanevano fortissime.
Molti governi e opinioni pubbliche al di sotto del Meno sospettavano che il nazionalismo tedesco promosso da Berlino fosse poco più di un pretesto per mascherare una brutale espansione della Prussia stessa. In effetti, le annessioni territoriali sancite dalla pace di Praga sembravano confermarlo: la Prussia aveva inglobato diversi Stati dell’ex Confederazione Germanica (come l’Hannover, l’Assia-Kassel, il Nassau e Francoforte), aumentando sensibilmente il proprio peso specifico nella regione.
All’interno della Prussia, le conseguenze politiche della guerra furono altrettanto significative. Alle elezioni successive alla vittoria, i liberali e progressisti subirono pesanti perdite, mentre i conservatori passarono da 35 a oltre 100 seggi. Un andamento già visto – e che si ripeterà – in momenti di trionfo militare, quando l'opinione pubblica tendeva a premiare le forze più legate all'ordine e all’autorità. Guarda caso le elezioni si erano tenute proprio il giorno stesso della vittoria a Königgrätz.
Nonostante l’avanzata conservatrice, una maggioranza stabile si poteva ottenere solo con l’appoggio di parte dei liberali. Ed è proprio qui che si manifestò con forza la maestria politica di Bismarck, non più solo stratega della politica estera, ma abile gestore della complessa macchina costituzionale prussiana.
Con la cosiddetta “politica del ramoscello d’ulivo”, Bismarck si rivolse direttamente al Parlamento per chiedere ufficialmente scusa per aver governato – dal 1862 in poi – senza un bilancio approvato, giustificando l’illegalità con la necessità di finanziare l’esercito. Propose una sanatoria per gli anni passati e una progressiva riduzione delle spese militari, aprendo così al compromesso con l’opposizione moderata.
Questa mossa, per quanto audace, non piacque affatto al re Guglielmo I, che la vide come un’umiliazione della corona davanti ai deputati. Anche alcuni conservatori radicali si dissociarono, accusando il cancelliere di essersi piegato al parlamentarismo. Ma Bismarck aveva fiutato il momento giusto. Ottenne il sostegno di una nuova coalizione: i moderati, i liberali governativi e i secessionisti del Partito Progressista, che si riunirono poi nel Partito Nazionale Liberale. Questa formazione sostenne Bismarck per quasi tutta la sua carriera, offrendo al governo una solida maggioranza.
Il conflitto costituzionale che aveva paralizzato la Prussia dal 1862 finì ufficialmente. Bismarck abbandonò la strategia dello scontro diretto con il Parlamento e si aprì una nuova fase di cooperazione pragmatica tra esecutivo e legislativo, in cui i liberali preferirono sacrificare le rivendicazioni sulle libertà civili in nome della stabilità e del progresso dell’unificazione nazionale.
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Nel frattempo, la nuova Confederazione Tedesca del Nord (creata nel 1867) prese forma con una Costituzione federale. Ovviamente, la Prussia ebbe un ruolo di primo piano nella stesura dello statuto istitutivo.
La struttura governativa della Confederazione prevedeva:
Un parlamento eletto (noto come Reichstag) eletto a suffragio universale, maschile egalitario.
Una camera alta (Bundesrat), composta da principi e governi.
Un esecutivo con a capo un cancelliere… guarda caso sarebbero stati Guglielmo e Bismarck.
Nonostante il suffragio democratico per il Reichstag, il suo potere era più sulla carta che nella pratica. Non aveva alcun controllo sull'esecutivo. Esercitava un controllo sul bilancio, ma questo era in gran parte privo di significato perché solo circa il 5% di tutte le spese pubbliche erano incluse in questo bilancio. La costituzione privilegiava il ramo esecutivo, che ottenne poteri molto maggiori rispetto al governo imperiale previsto dalla costituzione del 1849, ricordate? Quella della breve stagione post quarattottina.
Le elezioni per il Reichstag della Confederazione Tedesca del Nord si tennero nel febbraio 1867. I sostenitori di Bismarck (liberal-nazionali, conservatori e un piccolo numero di indipendenti e "vecchi liberali") conquistarono 180 dei 297 seggi. L'opposizione era costituita da vecchi conservatori, polacchi, liberali di sinistra e nazionalisti hannoveriani. Dopo che la costituzione fu approvata, nuove elezioni si tennero nell'agosto dello stesso anno, con scarsi cambiamenti nella posizione relativa dei partiti.
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In questa nuova realtà costituzionale, i nazional-liberali ottennero conquiste soprattutto in ambito economico, promuovendo libertà di commercio, armonizzazione dei sistemi doganali e sviluppo ferroviario. Tuttavia, le riforme sociali rimasero al palo, e temi come l’abolizione della pena di morte vennero sistematicamente ignorati.
Quanto all’unificazione con gli Stati tedeschi del Sud, la situazione sembrava bloccata. Il Baden, la Baviera, il Württemberg e l’Assia meridionale continuavano a guardare con sospetto le mire prussiane, mentre Berlino, per ragioni diplomatiche, doveva mostrarsi soddisfatta del nuovo status quo.
In particolare, la Francia di Napoleone III si sentiva ancora “creditrice” per la sua neutralità nel conflitto austro-prussiano, e continuava a chiedere compensazioni territoriali. Parigi temeva, con ragione, che un ampliamento della Confederazione del Nord a sud del Meno potesse creare un nuovo, vasto confine diretto tra la Francia e un blocco tedesco egemonizzato dalla Prussia.
All’epoca, la Francia confinava con la Prussia per meno di 100 chilometri, mentre l’ingresso di Stati come il Baden o la Baviera nella Confederazione avrebbe più che quadruplicato quella frontiera. Anche per questo motivo, i colloqui tra Francia e Prussia continuarono per mesi dopo la pace di Praga, spesso in modo segreto, nel tentativo di mantenere una fragile bilancia di potere sul continente.
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Per i successivi quattro anni, dal 1866 al 1870, l'imperatore francese, già alle prese con seri problemi interni, cercò freneticamente di riconquistare popolarità in patria ottenendo un successo diplomatico all'estero. Volse lo sguardo quindi verso il Lussemburgo. Il Granducato era formalmente indipendente, ma unito in unione personale con il re dei Paesi Bassi e presidiato da una guarnigione prussiana sin dal Congresso di Vienna del 1815 anche se non faceva parte della nuova Confederazione del Nord.
Nel 1867, Napoleone III avviò trattative segrete per acquistare il Lussemburgo dai Paesi Bassi. Il re olandese era disposto a vendere, ma la notizia dell'accordo filtrò e scatenò una reazione furiosa negli stati tedeschi, dove l'opinione pubblica – in parte sobillata da Bismarck – vide nella mossa francese una provocazione inaccettabile. Ciò avvenne nonostante la Prussia informalmente avesse tollerato una sorta di via libera francese sul granducato solo pochi mesi prima.
Il rischio di guerra divenne reale. Solo l’intervento delle potenze europee riuscì a raffreddare gli animi. Si convocò una conferenza internazionale a Londra, che portò al Trattato di Londra del maggio 1867 che sanciva la neutralità ed indipendenza del Lussemburgo ma anche il ritiro della guarnigione prussiana. Ciò pose fine alle speranze che la Prussia potesse accettare di essere il partner minore della Francia in Europa, oltre che riaccendere uno sciovinismo che avrebbe portato ad una guerra tre anni dopo.
Un ulteriore momento di tensione tra i due Paesi ci fu nel 1868, a seguito della rivoluzione spagnola che portò alla caduta della monarchia borbonica. Nel 1869, il principe Leopoldo di Hohenzollern-Sigmaringen, membro della stessa casata del re di Prussia, fu nominato come uno dei candidati alla successione della regina Isabella II, che era fuggita in Francia. Il fatto che fosse di una delle famiglie reali più importanti del continente ma di fede cattolica, a differenza della maggior parte dei protestanti Hohenzollern, lo rendevano uno dei principali pretendenti al trono di Spagna.
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Nel febbraio 1870, il primo ministro spagnolo, il maresciallo Prim, inviò una richiesta al re prussiano, Guglielmo I, per accertare se, in quanto capo della casata degli Hohenzollern, avrebbe approvato l'offerta del trono spagnolo a Leopoldo. Fin dall'inizio, il proponente più attivo della candidatura del principe fu Bismarck. Il primo ministro prussiano sapeva a cosa la Francia sarebbe andata incontro nel caso in cui la corona fosse andata al tedesco: essere circondati da Hohenzollern ad est ed ovest, un pericolosissimo dejavu del 1500, ossia di quando la Francia era attenagliata da potenze asburgiche rispettivamente in Spagna, Paesi Bassi e Sacro Romano Impero. Dal momento in cui Leopoldo si preparava a salire al trono, la guerra era nell'aria.
Se – come era prevedibile – la Francia si fosse opposta alla candidatura di Leopoldo, questo avrebbe inevitabilmente suscitato l’indignazione nazionalista dei tedeschi del Sud. Offesi dall'ingerenza di Napoleone III, gli stati meridionali avrebbero così potuto finalmente avvicinarsi alla Prussia in chiave antifrancese. Era, in fondo, l’unico modo realistico per convincere la Baviera e gli altri stati del Sud ad accettare una futura egemonia prussiana: non l’attrazione, ma il timore di un nemico esterno.
Nessun bavarese, per quanto patriottico, avrebbe altrimenti mai accettato spontaneamente di finire sotto l’egida degli Hohenzollern, e nessun sovrano bavarese avrebbe mai deposto la propria corona per offrirla a Guglielmo di Prussia.
Del resto, Bismarck era consapevole che la Prussia avrebbe potuto anche usare la candidatura di Leopoldo come merce di scambio diplomatica con la Francia: ritirare la candidatura di Leopoldo, in cambio di un totale disinteresse nei confronti di tentativi di espansione prussiana nell’Europa centrale.
Tuttavia, non risulta che ci siano stati dialoghi significativi tra Parigi e Berlino prima dell’esplosione della crisi, per cui si può dire che la possibilità e la auspicabilità di un conflitto “risolutore” andò velocemente a prendere piede, badate bene, in entrambi i Paesi.
Nell'aprile 1870, Leopoldo, messo in guardia dal re prussiano che voleva evitare uno scontro con i francesi, rifiutò l'offerta spagnola e la questione sembrò chiusa. Tuttavia, Bismarck, convinto che la guerra con la Francia fosse ormai necessaria per stabilire un Reich tedesco a guida Prussiana, fece di tutto per fargli cambiare idea. Riuscì nel suo intento a giugno. Fu attraverso il re Guglielmo I che il primo ministro spagnolo offrì ufficialmente la corona a Leopoldo. Quest’ultimo inizialmente accettò, ma poi, intimidito dalle pressioni francesi – vere e proprie minacce – fece marcia indietro. Ma ormai la miccia era accesa. Nel prossimo episodio continueremo la storia del celebre dispaccio di Ems e la guerra che portò alla nascita dell’Impero tedesco.