“Tutto in questo mondo ha il suo mattino, il suo mezzogiorno, la sua sera e la sua notte, tutto tende all'eternità... Ma il mattino comincerà di nuovo, il sole sorgerà ancora, e ci saranno nuovi popoli e nuovi regni... Esiste un processo incessante di nascita e, infine, di morte...”
— Mikhaìl Kheràskov
Oggi parleremo di un popolo che ha creduto, e in fondo forse continua a credere, che sia possibile rimandare il proprio tramonto, la propria fine. E, di come possa il nazionalismo possa cementarsi e rafforzarsi attorno alla convinzione che il giorno possa perpetuarsi all’infinito. Che la Storia abbia trovato finalmente compimento.
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Bentornati a Oltre la Storia, il podcast prodotto da Liberi…
“Tutto in questo mondo ha il suo mattino, il suo mezzogiorno, la sua sera e la sua notte, tutto tende all'eternità... Ma il mattino comincerà di nuovo, il sole sorgerà ancora, e ci saranno nuovi popoli e nuovi regni... Esiste un processo incessante di nascita e, infine, di morte...”
— Mikhaìl Kheràskov
Oggi parleremo di un popolo che ha creduto, e in fondo forse continua a credere, che sia possibile rimandare il proprio tramonto, la propria fine. E, di come possa il nazionalismo possa cementarsi e rafforzarsi attorno alla convinzione che il giorno possa perpetuarsi all’infinito. Che la Storia abbia trovato finalmente compimento.
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Bentornati a Oltre la Storia, il podcast prodotto da Liberi Oltre le Illusioni che ogni settimana analizza e discute un saggio accademico di storia. Io sono Francesco Calvi e oggi vi parlerò di From History to National Myth: Translatio Imperii in Eighteenth-Century Russia, scritto da Stephen Lessing Baehr.
Questo saggio, pubblicato nel 1978 su Russian Review, esplora il ruolo dell'Antica Roma nella costruzione del mito nazionale russo nel XVIII secolo, interpretato attraverso la lente della teoria della translatio imperii.
Partiamo con una breve definizione di questa teoria di origine medievale, che già nel nome ci pone davanti a una questione interessante: infatti, translatio in latino può significare sia "trasferimento" che "traduzione" e la lingua inglese, a differenza della nostra, restituisce la stessa ambiguità nel termine translation, su cui Baehr si diverte a giocare. In ogni caso, la teoria vede la Storia come una successione lineare di trasferimenti di potere, da un’autorità all’altra. Un esempio classico è il passaggio del potere dall’Impero Romano d’Occidente al Sacro Romano Impero. O, per quanto riguarda il nostro caso, dall’Impero Romano all’Impero Russo.
In Russia, è il monaco Filofèj di Pskov, nel XV secolo, a introdurre questa teoria con la formulazione teologica di "Mosca come Terza Roma". La sua idea era che, con la caduta della Prima Roma nel 476 e della Seconda Roma, Costantinopoli, nel 1453, Mosca dovesse ergersi come nuovo baluardo del cristianesimo. Caduto l’impero d’Oriente, infatti, la Russia si ritrovava a essere l’ultimo difensore della cristianità contro i "miscredenti" arabi.
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Con l’avvento di Pietro il Grande e Caterina II, questa teoria venne rispolverata e adattata per sostenere le crescenti ambizioni nazionalistiche e imperiali della Russia. Pietro cercò di emulare lo stile classico in molti aspetti: fondò il Senato, assunse titoli come Pater Patriae e Imperator, e creò l’Accademia Slavo-greco-latina. Ma anche scrittori e storici si diedero da fare: Michail Chulkov, Michail Popov e Vasilij Levshin scavarono nei racconti della mitologia slava per cercare comparazioni più o meno congrue con quella romana e greca. Il celebre storico Lomonòsov cercò addirittura di ricalcare nella Storia russa la periodizzazione di quella romana. Per farlo comparò i principi russi ai re di Roma, il periodo dei principati a quello della democrazia romana e ovviamente elevò i regnanti russi al rango di Cesari. D’altronde la parola zar proprio da lì viene.
In soli 30 anni, tra il 1762 e il 1796, furono tradotte nove Storie di Roma, fatto che riflette l’endemica ossessione russa per il mondo classico. In questo periodo si sentiva l'esigenza di radicare il presente in un passato glorioso come quello di Roma.
Infatti, nel punto centrale del saggio, che vi cito letteralmente, Baehr afferma che: "Le equazioni tra Russia e Roma rappresentavano sul piano culturale il più ampio quadro politico stabilito da Pietro il Grande, riflettendo il desiderio di un impero di grande importanza mondiale."
Siamo forse al culmine dell’imperialismo russo.
Dopo la morte di Pietro I, questo processo non si arrestò. Al contrario, sotto Caterina II si completò. Se Pietro contribuì a plasmare il mito nazionale russo, Caterina lo consolidò definitivamente, unendo il mito di Mosca Terza Roma con il crescente imperialismo zarista, specialmente durante i conflitti con l'Impero Ottomano. L’opposizione alla potenza turca cementò il ruolo della Russia come difensore della cristianità ortodossa. Mosca diventò la nuova Costantinopoli, e sotto Caterina, la missione dell’impero russo come protettore della fede ortodossa fu consacrata.
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Ora, vediamo le due peculiarità della translatio imperii che Baehr nota essere presenti nel contesto russo, già dai suoi primi adattamenti:
1) Equivoco storico: La comparazione che la cultura russa fa con Roma diviene gradualmente un fraintendimento. Con il passare del tempo, gli scrittori e gli intellettuali russi non fanno più dei veri riferimenti all’Antica Roma, ma a un topos idealizzato, una sorta di aetas aurea erodotea. Si tratta di un corpo immutabile, prototipo del Paradiso e della perfezione, non propriamente la Roma storica, anche nella sua narrazione più gentile.
2) Cessazione del tempo: Già Filofèj introduce l'idea che una volta trasferito l’imperium nelle mani degli zar, si fermerà il processo stesso del trasferimento. Non ci sarà una quarta Roma. Non sorgerà un altro sole perché non ci sarà più un tramonto. Sempre per riprendere Kheràskov.
Lo svolgersi hegeliano della Storia si compie dunque, per volere di Dio, con la Russia.
O almeno questo piaceva pensare ai russi di fine 1700.
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Il sogno di un grande impero appare spesso nella letteratura russa degli anni ’70 e ’80 del XVIII secolo, riflettendo le ambizioni espansionistiche di Caterina. Le sue lunghe guerre con la Turchia contribuirono a mantenere vivo il mito romano. La vittoria sugli Ottomani offrì alla Russia l’opportunità di ripristinare un impero ortodosso, consolidando il ruolo di protettrice della cristianità. Questa visione era presente anche nei trattati diplomatici firmati coi Turchi, dove i russi si assicuravano condizioni speciali per le enclave cristiane all'interno dell’Impero Ottomano.
Anche nel teatro del tempo, Roma veniva costantemente evocata. Baehr fa riferimento, ad esempio, ad un un balletto allegorico del 1770, intitolato La Russia trionfante, ed una scena nella quale un'aquila russa squarcia una luna turca. Questa scena veniva accompagnata dalle parole: "Prishèl, uvìdel, pobedìl" — la traduzione russa del famoso detto “Veni, vidi, vici”, attribuito a Cesare.
In conclusione, Baehr dimostra come il mito di Roma abbia svolto un ruolo cruciale nella costruzione dell’identità nazionale russa. La translatio imperii, utilizzata come metafora letteraria, ha trasposto i valori e gli stilemi dell'Impero Romano sulla Russia, alimentando le aspirazioni di grandezza e la visione di un futuro imperiale glorioso. Il mito di Roma è dunque stato per la Russia un potente strumento retorico, utile a costruire un'identità nazionale e imperiale. Traendo ispirazione dall'eredità classica, la Russia si proiettava come erede di un grande impero, portatrice di una missione universale e destinata a una gloriosa supremazia. Per volere di Dio e della Storia.
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Grazie per aver ascoltato questo episodio! Prima di lasciarvi, vi consigliamo un testo fondamentale per chiunque voglia approfondire il nazionalismo russo: Russian Messianism: Third Rome, Revolution, Communism and After di Peter Duncan.