Buone le arance, non è vero? Ma voi ve lo chiedete mai com’erano monotoni gli scaffali dei mercati e dei negozi uno o due secoli fa? Prima dei conservanti artificiali, dei metodi di refrigerazione, prima delle navi a carbone impiegate largamente nel commercio! Ebbene, tra la seconda metà del 1800 e l’inizio del ventesimo secolo, non solo ricchissimi ma anche la classe media poté godere per la prima volta nella storia dell’abbondanza delle merci provenienti da tutto il mondo. E se eri cittadino britannico, beh, avevi il lusso di poterti permettere tutto un ben di Dio di prodotti coloniali anche a relativo basso costo! (che tanto i lavoratori impiegati nello zucchero non li dovevi manco…
Buone le arance, non è vero? Ma voi ve lo chiedete mai com’erano monotoni gli scaffali dei mercati e dei negozi uno o due secoli fa? Prima dei conservanti artificiali, dei metodi di refrigerazione, prima delle navi a carbone impiegate largamente nel commercio! Ebbene, tra la seconda metà del 1800 e l’inizio del ventesimo secolo, non solo ricchissimi ma anche la classe media poté godere per la prima volta nella storia dell’abbondanza delle merci provenienti da tutto il mondo. E se eri cittadino britannico, beh, avevi il lusso di poterti permettere tutto un ben di Dio di prodotti coloniali anche a relativo basso costo! (che tanto i lavoratori impiegati nello zucchero non li dovevi manco pagare, eh, bei tempi).
Però, con l’avvento della prima e poi della seconda guerra mondiale, questo meccanismo si fermò temporaneamente e la frutta quella buona, quella estera, finì di colpo… e le casalinghe disperate non ci potevano credere. Ma la cosa più strana è che, completamente ignoranti in tema di commercio ed import/export, non capivano come mai, a causa della guerra, la frutta era sparita tutta!
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Ben tornati ad Oltre La Storia, il podcast prodotto da Liberi, Oltre le Illusioni che ogni lunedì, analizza e discute un articolo accademico di storia. Io sono Leo Adrian ed oggi vi parlerò di "Total War, Global Market and Local Impact: British women’s shifting food practices during the Second World War" di Natacha Chevalier, saggio del volume collettaneo “Women in Transnational History” pubblicato da Routledge nel 2016. Quest’articolo studia l’interconnessione tra il commercio mondiale e le pratiche locali, concentrandosi sull'impatto della riduzione delle importazioni alimentari sulla vita quotidiana delle donne, che tradizionalmente gestivano l'approvvigionamento e la preparazione del cibo in casa.
La ricerca di Chevalier attinge in gran parte alle testimonianze custodite nel Mass Observation Archive (MOA). Questo archivio, fondato nel 1937, raccoglie diari, interviste e questionari che offrono una ricca documentazione sulla società britannica degli anni '40 e sull'esperienza del "Fronte Interno". Le donne, nella loro funzione tradizionale di acquirenti e cuoche, furono in prima linea nell'affrontare e discutere l'impatto della guerra sul mercato locale e sulle loro pratiche alimentari. Le loro narrazioni offrono, in pratica, una "storia dal basso" della complessa relazione, appunto, tra il globale e il locale.
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Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, le pratiche e i gusti alimentari britannici erano stati plasmati da decenni di scambi commerciali globali e imperiali. Ricchi ma anche poveri, oramai, consumavano merci provenienti da tutto il mondo. Molte delle abitudini alimentari familiari negli anni '40 si erano consolidate durante l'epoca vittoriana, con lo sviluppo di una rete commerciale globalizzata a partire dalla metà del XIX secolo che influenzò profondamente il sistema alimentare britannico. Prodotti come zucchero, caffè, tè e cacao erano ampiamente consumati, per via della diminuzione dei loro prezzi grazie all’abbattimento dei costi di trasporto. Si stima, addirittura, che le importazioni rappresentassero circa il 70% dell'apporto calorico totale della popolazione britannica.
La scienza della nutrizione in espansione e le preoccupazioni sul basso tasso di natalità legarono i doveri familiari femminili al patriottismo. I movimenti di marketing pro-imperiali incoraggiarono attivamente le donne, definite "costruttrici dell'Impero" (empire builders), ad acquistare prodotti coloniali come atto di sostegno all'economia imperiale. Le donne, essendo le principali acquirenti, erano il bersaglio di queste campagne, un fatto che rafforzava il loro ruolo sociale come responsabili dell'approvvigionamento alimentare familiare. I sondaggi del Mass Observation Archive condotti prima della guerra confermarono l'importanza delle merci importate nel carrello della spesa. Frutta, specialmente arance, banane e mele, erano di indiscutibile importanza, con la maggioranza degli intervistati che acquistava arance settimanalmente.
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Lo scoppio della guerra interruppe radicalmente questa situazione. Lo spazio navale doveva essere dedicato al materiale militare, e la marina mercantile era costantemente minacciata dagli U-boat tedeschi. Di conseguenza, le importazioni alimentari dovettero essere drasticamente ridotte, con una diminuzione complessiva di circa il 50% tra il periodo 1934-1938 e il 1945. Lord Woolton, capo del Ministero dell'Alimentazione, gestì la pianificazione degli approvvigionamenti, cercando di riequilibrare l'offerta a favore della produzione locale.
Per garantire una distribuzione equa e prevenire carenze o tensioni sociali, il governo introdusse il razionamento. Questo iniziò nel gennaio 1940 con zucchero, burro, prosciutto e pancetta, espandendosi poi a carne, grassi, uova, latte, formaggio, dolciumi e cioccolato entro il luglio 1942. Il razionamento e le restrizioni ebbero un impatto severo, in particolare sulla classe media, abituata a una dieta ricca e varia di prodotti importati. Ad esempio, il consumo di uova fresche da parte della classe media si ridusse di quasi l'80%.
Le testimonianze femminili analizzate da Chevalier stabiliscono chiaramente l'impatto delle restrizioni sui consumi. Le casalinghe dovettero "fare a meno di molte cose". La carenza di zucchero, ad esempio, le portò a bere tè o caffè non zuccherati, descritti come non particolarmente gustosi nei diari. Le ricette pre-belliche vennero modificate, e la quantità di zucchero per marmellate o dolci fu drasticamente ridotta. Anche l'ospitalità fu influenzata: una di queste donne diariste consigliava agli ospiti di portare la propria saccarina per risparmiare la razione familiare, mentre un'altra offriva deliberatamente bevande diverse dal tè per lo stesso motivo.
La vera superstar della gola fu la mancanza di frutta, in particolare arance e banane: l'oggetto principale dei commenti nei diari e nei questionari. La scrittrice e diarista di Mass Observation, Naomi Mitchison, espresse vividamente queste conseguenze della limitazione del commercio globale: “Ho ancora il sapore di un'arancia in bocca. Un'altra diarista, confrontando le abitudini domestiche di pace con la situazione attuale, notò: “Avevamo molta frutta – sia in scatola che fresca – e quanto mi manca ora. Ce n'è poca in negozio e i prezzi sono proibitivi”.
L'onere della spesa e della preparazione del cibo in tempo di guerra si intensificò, richiedendo ingegno e creatività. La casalinga aveva il compito tradizionale di moderare gli effetti della crisi sulla famiglia. I diari rivelano che molte donne si auto-sacrificavano, rinunciando a determinate merci per il beneficio dei mariti (quelli che non erano andati in guerra) e dei figli. Una giovane madre descrisse il dilemma nel 1941: “Non riesco a soddisfare mio marito e ottenere grassi e proteine adeguate anche per me”. Questo auto-sacrificio dietetico era considerato un segno di maternità e cura.
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Nonostante le lamentele sulla scarsità di alimenti come tè, cioccolato e frutta, spesso prodotti coloniali, i diari di queste donne rivelano un sorprendente silenzio o disinteresse riguardo alla provenienza delle merci. Questo disinteresse o ignoranza sul ruolo del commercio globale è un tratto comune in tutti i diari esaminati, un fatto che risulta sconcertante, considerando l'ampia propaganda interbellica che legava i prodotti imperiali al patriottismo. Le diariste appartenevano spesso alle classi medie e superiori, i gruppi sociali più coinvolti nelle organizzazioni femminili e, in generale, nella vita pubblica.
Anche se le donne ricevevano regolarmente pacchi di cibo dal Canada, dagli Stati Uniti, dal Sudafrica o dall'India, nessuna concettualizzò la provenienza del prodotto ricevuto in relazione al sistema commerciale. Citando direttamente Chevalier “Mentre i prodotti imperiali e globali erano così integrati nella vita quotidiana da essere passati inosservati, le restrizioni del tempo di guerra focalizzarono l'attenzione delle casalinghe sulle difficoltà locali nel fare la spesa e preparare i pasti, anziché incoraggiarle a guardare all'esterno, alla situazione globale che stava causando la carenza di cibo.”
Questa mancanza di consapevolezza supporta l'ipotesi della sociologa Uma Kothari riguardo alla significativa ignoranza britannica sull'Impero. Un sondaggio del Mass Observation nel 1940 confermò che solo un terzo degli intervistati conosceva la differenza tra una colonia e un dominio, con una notevole differenza di genere: il 54% degli uomini contro solo il 12% delle donne. Le testimonianze indicano che, in tempo di guerra, le donne non stabilivano la correlazione tra la riduzione delle importazioni e la carenza di cibo, come se tutta quella frutta esotica arrivasse nei mercati e nelle bancarelle un po’ per magia. Sembrerebbe quindi che i prodotti dell’impero e, in generale, globali fossero così ben integrati nella vita quotidiana british da essere considerati come scontati, fondendosi con il mercato locale stesso. Le casalinghe erano, per così dire, delle clienti piuttosto distratte.
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Grazie per aver ascoltato questo episodio fino alla fine! Il consiglio di lettura di oggi è, tenetevi forte, “Fish&Chips: A History” libro del 2014 di Panikos Panayi di cui Natacha Chevalier ha scritto una review accademica, tra l’altro. La storia del cibo ed anche del commercio del cibo mi affascina molto devo dire, anche se io, a differenza delle donne britanniche del secolo scorso, me lo chiedo eccome da dove viene la roba che poi ingurgito con gusto!
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