Qual è il potenziale e quali sono i limiti delle rinnovabili?

“Qual è il potenziale e quali sono i limiti delle fonti rinnovabili?” Con questo articolo, provo a dare la mia opinione a riguardo.

Foto di Pixabay

Di cosa parliamo?

Oggi vorrei focalizzarmi sui seguenti aspetti:

  1. Quale ruolo per le rinnovabili nel mondo di domani?
  2. Quali sono le principali sfide associate ad un uso massiccio delle rinnovabili?

Per iniziare, di che tecnologie si parla quando si discute di “rinnovabili”? Tipicamente ci si riferisce a idrico, solare, eolico, biocarburanti, e geotermico. In questo articolo guarderemo a tutte queste tecnologie.

Partiamo da un dato di fatto: le rinnovabili daranno un contributo sempre maggiore alla produzione elettrica globale. E questo è dovuto principalmente a tre fattori: crollo dei prezzi, cambiamento climatico, e (per molte nazioni) dipendenza strategica dai combustibili fossili.

Questa è una buona notizia per tutti: per i “fan” come per i più dubbiosi delle energie rinnovabili – perché non ci sono dubbi sul fatto che le rinnovabili siano meglio dei combustibili fossili, sia da un punto di vista ambientale che di salute pubblica.

Ma quali sono, tra le fonti rinnovabili, quelle che stanno crescendo di più? Indubbiamente solare (primo in assoluto) e eolico. 

E perché la crescita di idroelettrico, biocarburanti, e geotermico sarà molto minore?

Discuterò i biocarburanti ed il geotermico alla fine del thread, ma per l’idroelettrico la ragiona è, banalmente, la geografia. Per poter usare l’idroelettrico, infatti, si devono avere bacini idrici idonei e, essendo una fonte energetica usata da secoli, buona parte dei siti migliori sono già in uso. 

Questo non vuol dire, però, che l’idroelettrico non ha un ruolo da giocare: produce già oggi ca. 15% dell’elettricità mondiale ed essendo programmabile fornisce (e continuerà a fornire) un servizio di stabilizzazione della rete elettrica molto importante. E questo tipo di servizio diventerà sempre più importante all’aumentare della penetrazione delle rinnovabili non programmabili (solare e eolico). 

In aggiunta, certi bacini idrici possono essere usati anche per pompaggio, una forma di stoccaggio di energia particolarmente importante (come vedremo dopo).

Ma quali sono i maggiori vantaggi di solare e eolico?

Prima di tutto il prezzo, che è crollato negli ultimi anni (da notare che l’idrico è aumentato, proprio perché i migliori siti sono già stati presi), e la modulabilità.

Se si guarda al caso del solare e delle batterie a ioni litio (delle quali parlerò in un thread apposito) il crollo dei prezzi avvenuto negli ultimi decenni è assolutamente impressionante.

Come ci siamo riusciti?

Se prendiamo il caso del solare, creare un mercato per questa tecnologia agli inizi degli anni ’10 (vedi per esempio i casi Germania e Italia) è stato importante per giustificare una serie di investimenti industriali. Un ruolo chiave è stato giocato, però, dall’Asia in generale e dalla Cina in particolare, i cui investimenti e politiche industriali degli ultimi ca. 15 anni hanno permesso di raggiungere la scala ed i livelli di prezzi odierni. Il caso batterie è un po' diverso, ma anche questo settore ha fortemente beneficiato degli investimenti e dai mercati asiatici.

Il crollo dei prezzi è estremamente positivo, ma c’è un’altra faccia di questa medaglia: la nostra completa dipendenza dalla Cina per queste tecnologie cruciali per la transizione energetica.

Ho, però, già parlato in dettaglio della nostra dipendenza strategica rispetto ai minerali e alle catene di approvigionamento associate alla transizione energetica, quindi vi rimando gli articoli (e video) associati, nel caso siate interessati:

Abbiamo abbastanza minerali per la transizione energetica?

Produzione di pannelli solari, pale eoliche e batterie: sicurezza energetica o dipendenza strategica?

Questa dipendenza rappresenta sicuramente la prima sfida (sfida 1) associata alle rinnovabili, ma non è di certo l’unica. Per capire perché, vediamo prima la direzione che stiamo prendendo:

L’immagine sopra mostra l’evoluzione della produzione elettrica da qui al 2050 in un possibile scenario per raggiungere la neutralità carbonica già nel 2050 (a livello globale, quindi parliamo di uno scenario estremamente ambizioso).

Cosa implica un tale livello di rinnovabili intermittenti?

Sfida 2: Perdita di valore e profittabilità delle rinnovabili.

Per prima cosa dobbiamo avere in mente che, all’aumentare della penetrazione delle rinnovabili, il valore aggiunto di un nuovo impianto tende a decrescere. Perché? 
Per fare un esempio semplicistico, prendiamo il caso del solare. Una volta che hai abbastanza energia solare per soddisfare tutta la domanda giornaliera, aggiungerne altro (da solo) non crea nessun valore aggiunto, in quanto produce elettricità che non viene utilizzata.

 

Nel mondo reale, la situazione è un po' più complicata, ma la perdita di valore dipende da:

  1. Profilo di produzione;
  2. Sovraccarico della rete elettrica;
  3. Taglio della produzione.

Il profilo di produzione (1) indica in che momenti della giornata/settimana/anno solare e eolico producono energia. E spesso a livello nazionale la presenza di più o meno sole e vento è correlata (più forte nel caso del solare). 

Che vuol dire?

Vuol dire che avremo dei momenti della giornata/settimana in cui buona parte degli impianti solari o eolici producono molta energia, mentre altri in cui buona parte di questi impianti ne producono poca o niente. 

Questo ci riporta all’esempio semplicistico: avremo momenti con troppa produzione e momenti con troppo poca. E da questo derivano anche i due problemi successivi:

(2) Se nei momenti di picco si produce una quantità di elettricità tale per cui non vi sono abbastanza cavi elettrici per portarla dal sito di produzione al sito di utilizzo/stoccaggio, semplicemente quell’elettricità non può essere trasportata, e quindi va buttata. Allo stesso modo, se nei momenti di picco (di produzione) vi è una sovra abbondanza di elettricità, i prezzi saranno bassi (fino ad essere nulli o negativi - ovvero ti pago per usare l’elettricità), rendendo conveniente “tagliare” (3) la produzione (i.e., non immettere nella rete l’energia prodotta). 

Questi sono problemi seri, perché una cosa che dobbiamo tenere a mente è che le rinnovabili potranno raggiungere livelli di penetrazione molto elevati se e solo se restano economicamente convenienti.

In altre parole: se non facciamo soldi con le rinnovabili rischiamo di non andare lontano. Va detto che, al momento, la decrescita di valore è stata più che bilanciata dalla decrescita dei costi, rendendo le rinnovabili assolutamente competitive. 

La domanda è quanto a lungo questo possa continuare, sapendo che la diminuzione del valore potrebbe decrescere molto velocemente per penetrazioni di rinnovabili molto elevate, mentre il prezzo delle rinnovabili, essendo già molto basso ed avendo delle catene di approvvigionamento rischiose (almeno dalla nostra prospettiva), potrebbe diminuire di meno o addirittura aumentare (diminuendo la profittabilità delle rinnovabili).

Per esempio, tra il 2021 ed il 2022 si è registrato un aumento dei prezzi delle rinnovabili rispetto al pre-Covid, principalmente a causa di maggiori costi per materie prime, trasporto (politica Covid 0 in Cina), e disequilibri nella catena di approvvigionamento.

Come si possono mitigare questi problemi? Principalmente in due modi: una più vasta rete elettrica (intra e inter nazionale) e stoccaggio.

Vediamo che sfide portano questi due.

Sfida 3: La rete elettrica.

Una rete elettrica più vasta e distribuita può adempiere a due scopi: 

  1. Evitare (o almeno ridurre) il sovraccarico sulla rete elettrica;
  2. Ridistribuire i picchi di produzione tra diverse regioni/nazioni.

Il primo punto è auto esplicativo: se la rete elettrica in una data zona non riesce a soddisfare i picchi di produzione, ampliarla permette di trasportarne una maggiore quantità, riducendo il rischio di sovraccarico e aumentando il valore delle rinnovabili in quell’area.

Questo ha, però, un costo (nessuna infrastruttura è gratis, a maggior ragione se usata per una durata di tempo limitata – e.g., solo durante i picchi di produzione), quindi si deve trovare un compromesso tra il valore aggiunto delle rinnovabili e il costo infrastrutturale. A questo si aggiunge il fatto che, ovviamente, passare da una produzione elettrica centralizzata (e.g., impianti a combustibili fossili, tipicamente non troppo lontani dalle città) ad una più distribuita (rinnovabili) implica già di per sé la necessità di ampliare notevolmente le reti elettriche.

Ma la necessità di una rete elettrica più vasta porta con sé altre tre sfide, ed in particolare:

  1. Gestione dei NIMBY;
  2. Velocizzazione delle autorizzazioni;
  3. Maggiore digitalizzazione (della rete nel suo complesso, compresi i siti di consumo, tra cui anche le nostre case).

Il problema dei NIMBY (not in my backyard) e delle lentezze burocratiche si riflette in tempi per istallazioni di rete elettrica semplicemente non congrui con la transizione energetica – e se non ce ne occupiamo questo aspetto da solo potrebbe seriamente limitare la velocità della transizione.

La necessità di maggiore digitalizzazione riflette, invece, la necessità di una maggiore flessibilità dal lato della domanda, in maniera tale da adattarsi alle variazioni di produzione elettrica. Questo implica, per esempio, avere un sistema di compensazioni per aziende che interrompono la produzione in momenti di picchi di domanda o di bassa produzione, e contatori nelle nostre case che, in funzione della domanda/offerta, indichino quando è più conveniente (meno caro) consumare elettricità, in maniera tale da modulare i consumi di conseguenza.

Ma oltre agli investimenti richiesti, una maggiore digitalizzazione implica anche una maggiore attenzione alla cyber security: forme di guerra ibrida e attacchi hacker, come quelli portati avanti da stati come la Russia, non possono e non devono essere sottovalutati, soprattutto se si parla di infrastrutture strategiche come la produzione e la distribuzione di elettricità.

Sfida 4: Stoccaggio.

C’è poco da girarci intorno, per raggiungere i livelli di flessibilità richiesti da alti shares di rinnovabili abbiamo bisogno di capacità di stoccaggio (molto) superiore rispetto a quella odierna (che viene principalmente dall’idroelettrico). Con “stoccaggio” in realtà ci si riferisce ad una serie di applicazioni: dall’arbitraggio (stoccare elettricità quando è più economica per rivenderla quando è più cara), al rispondere ad uno sbilanciamento tra produzione e domanda (su diverse scale temporali) e al ripristino della rete (blackout).

Role

Application

Description

 

Energy arbitrage

Buy electricity at low prices and sell it at high prices

 

Primary response

Respond to sudden frequency variations (< 102 s)

 

Secondary response

Respond to anticipated and unexpected demand/offer mismatch (> 102 s)

System operation

Tertiary response

Substitute primary and secondary response during prolonged system stress (> 102 s)

 

Peaker replacement

Ensure sufficient generation capacity during peak demand (> 105 s)

 

Black start

Restore power after blackout 

 

Seasonal storage

Compensate long-term supply disruption or seasonal variability 

Network operation

Transmission/distribution Investment deferral

Reducing the need for investment on T&D

 

Congestion management

Reduce the risk of infrastructure overloading (too much production to be transported)

 

Bill management

Optimize power purchase (e.g., maximize PV self-consumption)

Consumption

Power quality

Protect equipment during short-duration power loss

 

Power reliability

Cover temporal lack of power

Le diverse tecnologie per lo stoccaggio andrebbero quindi comparate in funzione dell’applicazione di interesse. Qui, per semplicità, considererò 4 scale temporali: 

  1. Risposta immediata (secondi);
  2. Giornaliero;
  3. Settimanale;
  4. Stagionale.

La risposta immediata è tipicamente necessaria per mantenere la rete elettrica stabile (50 Hz in EU) dopo un’improvvisa riduzione di offerta o un improvviso aumento della domanda. Questo serve a far guadagnare qualche secondo prezioso per riallineare domanda e offerta, evitando un blackout.

Ad oggi, un ruolo importante in questo senso è giocato dalle turbine delle centrali idroelettriche, nucleari, o fossili che, ruotando alla frequenza di equilibrio (50 Hz) si oppongono (per inerzia) ad un repentino cambio di frequenza, rallentandolo e facendo guadagnare qualche secondo di tempo.

Il numero di queste turbine, però, diminuirà nei prossimi anni (meno centrali fossili), il che implica dover installare sistemi di stoccaggio inerziale appositi (aventi solo questa funzione) o sostituirli con batterie o supercapacitori (un altro tipo di sistema elettrochimico).

Passando a scale temporali un po' più lunghe, le batterie a ioni litio saranno probabilmente chiave per la stabilizzazione della rete elettrica – ma questo non vuole dire che possano risolvere da sole tutti i nostri problemi, né che sia economico farlo. Vediamo perché con qualche scenario (estremamente semplificato) per i casi di stoccaggio giornaliero, settimanale e stagionale.

Assunzioni: costo dell‘energia elettrica di 30 centesimi $/kWh (che è già alto) e di 100 $/kWh per batterie a ioni litio (basso ma raggiungibile) con una vita utile di 10 anni.

Il costo in bolletta è calcolato come costo della batteria per kWh diviso per il numero di utilizzi (quindi senza considerare perdita di energia, ritorno sull’investimento ed i costi di gestione, che ovviamente aumenterebbero ulteriormente i costi). 

Scenario 1: Il costo della batteria sarebbe 100$/kWh diviso 10*365 (10 anni*numero giorni). Circa 3 centesimi $/kWh. Questi si sommerebbero ai 30 centesimi del costo di produzione, ovvero un aumento nell’ordine del 10%. Non banale, ma gestibile.

Scenario 2: In prima approssimazione possiamo assumere un costo 7 volte rispetto al caso giornaliero (usate 7 volte meno spesso), ma questo implica che la batteria possa essere mantenuta ad alti livelli di carica per periodi prolungati (che è tendenzialmente poco realistico, come discuterò in più dettagli fra poco).

Scenario 3: Qui le cose si fanno veramente difficili. Anche considerando un periodo di vita delle batterie di 50 anni, questo vorrebbe dire solamente 50 cariche/scariche. Ovvero 2$ da aggiungere agli 0.3$ per kWh o, in altre parole, un aumento di >600%. Insostenibile per le economie moderne, per non parlare delle economie più deboli. 

Ma l’assunzione maggiore, in tutto ciò, è considerare che le batterie al litio possano stoccare elettricità per settimane/mesi senza effetti collaterali. Per capire dove stia il problema, si devono menzionare due aspetti:

  1. Self-discharge;
  2. Degradazione ad alti livelli di carica.

Stoccare elettricità in una batteria, come tutto, non ha un’efficienza del 100%. Ma, soprattutto, una parte dell’energia si perde nel tempo (self-discharge), e nel caso delle batterie questo sarebbe sufficiente a metterle fuori gioco per lo stoccaggio stagionale. Inoltre, le batterie a ioni litio non si mantengono particolarmente bene ad alti livelli di carica, perché questi portano ad un aumento delle reazioni (elettro)chimiche collaterali ed indesiderate che degradano la batteria. In altre parole: mantenere alti livelli di carica per settimane/mesi farebbe crollare il tempo di vita delle batterie a ioni litio (se si parla di batterie molto diverse, come le redox-flow, le cose possono cambiare – ma di questo parleremo una prossima volta).

Questi scenari sono chiaramente estremamente semplicistici e, ovviamente, dovremmo stoccare sola una parte dell’energia necessaria per le nostre attività, non la totalità. Ma qui sta la chiave: lo stoccaggio di energia è caro, e diventa sempre più caro all’aumentare del tempo per cui è necessario stoccare questa energia. Di conseguenza, dobbiamo cercare di minimizzarne la necessità, e non vedere lo stoccaggio come la soluzione che ci libererà da tutti i mali.

Inciso: Reti elettriche più vaste e maggiore flessibilità dal lato dell’offerta servono proprio a questo, ma anche in queste condizioni avremo bisogno di molti sistemi di stoccaggio per raggiungere shares molto elevati (> 50-60%) di solare + eolico. 

Ma adesso guardiamo ad un modello più complicato/rappresentativo rispetto a quello discusso sopra, cercando di capire quali tecnologie di stoccaggio hanno più senso per quali applicazioni, e cosa questo implichi a livello di costi (https://www.storage-lab.com/levelized-cost-of-storage). 

Ad oggi, la tecnologia di stoccaggio dominante rimane l’idrico, ed in particolare il pumped hydro (PHES), ovvero 2 bacini a diversa altitudine dove si pompa acqua dal bacino più basso a quello più alto per stoccare energia, e vice versa per usarla. I principali svantaggi sono che necessita di siti adatti per poterlo implementare (quindi siamo limitati dalla geografia) e che può avere un impatto notevole sulla biodiversità locale.

Lo stoccaggio di aria compressa (CAES), per esempio sottoterra, è anch’esso competitivo per stoccaggio stagionale ma, come per il caso del pompaggio idrico, anche il CAES dipende dalla “geografia”: o hai dei siti adatti, o non li hai.

Le batterie a ioni litio stanno invece rapidamente diventando sempre più competitive per stoccaggio a breve-media durata. Per stoccaggio di più lunga durata, l’idrogeno potrebbe diventare sempre più importante, ma qui ci sono molti ma, tra cui:

  1. C’è idrogeno e idrogeno (grigio, blu, verde, viola – il colore dipende dal tipo di energia usata per produrlo, anche se in realtà quel che conta veramente sono le emissioni associate);
  2. L’idrogeno pulito (verde, viola, forse blu) è ancora oggi ad una scala minuscola (1% della produzione odierna) e lo scale-up porta delle incognite non da poco; 
  3. L’idrogeno ha diverse sfide fisico chimiche (densità energetica bassa, difficoltà di stoccaggio e trasporto).

In generale, ho l’impressione che l’idrogeno stia diventando il nostro nuovo (in realtà anche vecchio, sotto certi aspetti) “proiettile d’argento” della transizione, ma dubito fortemente che lo sarà (ha il potenziale per avere un ruolo importante, ma ha anche limiti non da poco – ma riparleremo di H2 in un thread dedicato).

Ma competitivo non vuol dire economico. Anche ai livelli di prezzo del 2040 (https://doi.org/10.1016/j.joule.2018.12.008) se anche solo l’1% dei nostri fabbisogni elettrici fosse soddisfatto dallo stoccaggio stagionale solamente questo farebbe aumentare il costo medio dell’elettricità (per l’intero anno) da 50 a 70 $/MWh – ovvero un bel +40% (valore da prendere con precauzione visto che si parla di previsioni di costo da qui al 2040, ma dà una buona idea di quanto lo stoccaggio stagionale possa essere oneroso, dato che il costo delle infrastrutture/tecnologie necessarie è spalmato su pochissimi utilizzi).

Questo diventa particolarmente problematico quando si considerano altri 2 fattori:

  1. La necessità (ed il valore) dello stoccaggio aumenta tanto più è sbilanciata la produzione tra solare ed eolico (che possono, in parte, compensarsi a vicenda), e soprattutto con “eccessi” di solare (e.g., doi.org/10.1016/j.apenergy.2020.115390).
  2. A livello mondiale, buona parte della capacità aggiunta nei prossimi anni sarà solare (terza immagine del thread).

Guardando al caso Italia, noi abbiamo tanto sole ma non così tanto vento (una cosa che ci potrebbe aiutare qui è l’offshore wind galleggiante) - il che potrebbe causare la necessità di tantissimo stoccaggio (e quindi costi molto alti).

Inciso: Nello studio citato al punto 1 (https://doi.org/10.1016/j.apenergy.2020.115390, ed in particolare in Figura 7) ci si riferisce a 4h di stoccaggio (usando batterie), quindi non è direttamente applicabile al caso dello stoccaggio stagionale. Permette, però, di rendere bene l’idea (i.e., il solare produce molta più elettricità in estate che in inverno, aumentando il bisogno di stoccaggio se usato da solo o in maniera fortemente maggioritaria).

Sfida 5: Il meteo.

Un paradosso che non riesco a togliermi dalla testa è che solare e eolico sono chiave per combattere il cambiamento climatico, ma sono, al contempo, dipendenti dal clima (e quindi dal suo cambiamento).

Mi spiego meglio con un esempio.
Il cambiamento climatico ed il riscaldamento degli oceani possono portare, tra le altre cose, al cambiamento dei venti, e la posizione delle pale eoliche viene scelta per avere maggior vento (ed il più costante) possibile. Cosa succede, quindi, se la direzione/forza dei venti cambia significativamente? Onestamente non so quantificarne l’impatto potenziale (spero sia molto basso, e se dovessi scommettere punterei su questo), ma non riesco a togliermi dalla testa che, durante una fase di cambiamento climatico, dipendere per >50% da fonti di elettricità che dipendono dal meteo potrebbe portare dei rischi inattesi.

Consumo del suolo

In ultimo ci sarebbe la sfida legata al consumo del suolo, a cui si aggiunge la sfida dei NIMBY, ma anche di chi si oppone a infrastrutture “rinnovabili” in zone a rischio biodiversità o perché impattano popolazioni indigene, posizioni che (al contrario dei NIMBY puri e duri) hanno anche le loro ragioni, per quanto poi si debba trovare un compromesso.

In tutta onestà, il maggior uso di suolo da parte delle rinnovabili può essere un problema a livello locale (e non va sottovalutato), ma dubito lo sia più di tanto a livello globale - mangiare anche solo un pò meno di carne compenserebbe abbondantemente per tutte le rinnovabili che ci servono, basti guardare agli ordini di grandezza di “build-up area” (città, infrastrutture, etc.) e “grazing” (pastorizia) riportati nel grafico sotto.

Biocarburanti

Prima di concludere (dai che ci sei quasi!), un rapido giro su biocarburanti e geotermico.

I biocarburanti hanno tre sfide principali davanti a sé, che sono:

  1. Emissioni – minori delle fonti fossili tradizionali, ma non trascurabili;
  2. Costi;
  3. Sostenibilità su larga scala.

Le emissioni derivano principalmente dal processo di coltivazione delle piante e dalla loro trasformazione (l’unica parte veramente CO2-free è la combustione del biocarburante finale, visto che in principio quella CO2 è stata prima assorbita dalla pianta).

Per quanto riguarda i costi, ad oggi rimangono circa il doppio (EU e USA) rispetto ai combustibili fossili, il che, ovviamente, ne limita molto l’utilizzo.

Il problema sostenibilità deriva invece dalla possibile competizione tra produzione agricola per usi alimentari e per biocarburanti. L’uso di piante commestibili per la produzione di biocarburanti è sempre più limitato e regolamentato, mentre si cerca di incentivare l’uso di scarti, che permettono anche di ridurre le emissioni, visto che si salta lo step di produzione della biomassa.  

Al momento, però, la produzione da scarti è poco sotto il 10% della produzione globale. È data in crescita, ma ci si avvicina già pericolosamente ai limiti raggiungibili con gli scarti comunemente usati (olii esausti e grassi animali). Aumentare questa percentuale richiederà, quindi, di investire in impianti industriali capaci di usare diversi tipi di biomassa da scarti, come per esempio residui forestali.

Inciso: Nella figura a destra la percentuale per il 2021 sembra essere intorno al 6%, ma nel testo originale della IEA si fa riferimento al 9%, che mi sembra più coerente coi valori assoluti riportati nella figura a sinistra (motivo per cui ho preso questo valore come riferimento).

La difficoltà nel trovare abbastanza rifiuti adatti diventa particolarmente importante quando si guarda alla quantità di biocarburante di cui avremo potenzialmente bisogno in futuro. 

Nello scenario “Net Zero Emission by 2050” della IEA, infatti, si parla di ca. 100 EJ - circa 25 volte la produzione del 2021. E tutti i report della IPCC propongo valori anche più elevati (fino a 300 EJ).  Un altro modo per rendersi conto della scala di cui parliamo è comparare la produzione di biocarburanti per applicazione nel trasporto aereo rispetto alla domanda odierna (qualcosa come lo 0.2%). 

 

Giusto per essere chiari, il trasporto aereo è sicuramente il tipo di trasporto più difficile da decarbonizzare e, se si riesce a far calare significativamente i prezzi e ad aumentare in maniera sostenibile la produzione, i biocarburanti sono sicuramente tra le nostre opzioni migliori.

Geotermico

Infine, il geotermico. Una domanda che viene fatta spesso è perché non se ne discuta di più, nonostante il vantaggio (come l’idroelettrico) di essere programmabile. Le ragioni principali, a mio avviso, sono:

  1. Scala
  2. Siti disponibili
  3. Rischi sismici
  4. (Potenziali) emissioni

Il geotermico oggi ha, molto semplicemente, una scala trascurabile (se si guardano a casi singoli come l’Islanda le cose possono cambiare di molto) rispetto alla produzione elettrica globale – ed in particolare circa lo 0.1%.

I siti (potenzialmente) disponibili non sono poi così pochi, anche se non sono distribuiti equamente. Il problema è che non tutti questi siti si possono usare, ma l’utilizzabilità dipende fortemente dal tipo di terreno, dalla profondità del sito, e da possibili rischi sismici (si guardi, per esempio, al caso di Staufen, in Germania).

Infine, le emissioni. Queste derivano dalla costruzione del sito e dal funzionamento dello stesso (e.g., CO2 disciolta nel bacino geotermico che viene rilasciata durante l’utilizzo dell’impianto geotermico).

Ma di quante emissioni parliamo?

Il report della IPCC del 2014 riporta un valore mediano di 38 g CO2eq /GWh. Bene, basso, no? Si, il valore è basso (circa come idroelettrico) ma c’è un grosso ma.

Nella letteratura vi è una grossa discrepanza di valori, e pare che le emissioni effettive dipendano moltissimo dal sito, dalla tecnologia usata, e dal fatto che le emissioni siano state effettivamente misurate o solo calcolate. Guardiamo al caso dell’Islanda. Le emissioni oggi sono abbastanza basse, ma guardando ai dati storici si vede che negli ultimi 40 anni sono state nient’affatto trascurabili. Ma l’Islanda è un caso particolare, no?

Sì, l’Islanda è un caso particolare. Infatti, oggi, i siti islandesi emettono molto meno di altre fonti geotermiche. Se guardiamo al caso italiano, invece, si possono raggiungere valori estremamente alti, addirittura nello stesso ordine di grandezza dei combustibili fossili.

Premesso che questi valori hanno stupito anche me, questa discrepanza pare dipendere molto del sito geografico, dalla tecnologia usata, e del metodo di misurazione/calcolo, il che indica che il geotermico ha senso solo in certe località e solo se fatto in un certo modo.

Viste queste problematiche, e vista la sua scala attuale (0.1%, e avremo bisogno di molta più elettricità in futuro), dubito che il geotermico possa giocare un ruolo particolarmente significativo nella transizione energetica globale (ma sarei felice di sbagliarmi). 
 

Conclusioni

In conclusione, le rinnovabili hanno sicuramente un enorme ruolo da giocare nella transizione energetica, ognuna con un diverso contributo. Non vanno, però, né glorificate per i loro vantaggi, né demonizzate per le sfide che portano. 

Credere che il semplice fatto che il costo di solare e eolico sia crollato negli ultimi 2 decenni renda la transizione una semplice “questione di volontà” è sbagliato. Come è (profondamente) sbagliato basare la retorica ambientale sull’idea che se nel 2050 (o addirittura 2030) non abbiamo azzerato le emissioni allora siamo spacciati.

È sbagliato perché crea fratture sociali e generazionali.

È sbagliato perché causa reazioni negative e non propositive, e la mia più grossa paura è che molti giovani, fra qualche anno, vedano la transizione come fallita solo perché non procede come gliel’hanno raccontata. L’urgenza della transizione è indubbia, e va affrontata in maniera rapida, collaborativa e decisa – e senza veti su una data tecnologia solo perché non è la mia preferita. Ma anche senza illusioni, perché sarà una sfida difficilissima.

Fortunatamente, le sfide difficili sono anche le più interessanti.

Fonti per le immagini

IEA (https://www.iea.org/).

IRENA (https://www.irena.org/)

Elements Visual Capitalist (https://elements.visualcapitalist.com/).

Our World in Data (https://ourworldindata.org/)

Millstein et al. Solar and wind grid system value in the United States: The effect of transmission congestion, generation profiles, and curtailment. Joule 5, 1749-1775 (2021). https://doi.org/10.1016/j.joule.2021.05.009

World Bank Group (https://www.worldbank.org/en/home)

ESMAP (https://www.esmap.org/)

NREL (https://www.nrel.gov/)

G. Coro & E. Trumpy, Predicting geographical suitability of geothermal power plants,

Journal of Cleaner Production 267, 121874 (2020).

All images were reprinted with permission.

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