Letture immoderate: consigli della redazione (aprile 2024)

Bentornati al nostro appuntamento periodico con i consigli di lettura... immoderati!

La paura e la ragione, di Timothy Snyder

In molti ci sentiamo spaesati di fronte al vacillare delle democrazie occidentali. Eppure, c'è chi questa crisi l'aveva vista arrivare da lontano. Purtroppo i nostri media non danno uno spazio adeguato a chi è davvero esperto di storia e politica dei paesi dell'Est Europa e della Russia. Uno di questi è senz'altro Timothy Snyder, che sugli studi storici su Polonia, Russia e dintorni ha costruito una brillante carriera. Soprattutto, Snyder è un autore che dimostra un'intelligenza pronta, acuta, trasparente; le sue interpretazioni dei moti sociali e politici a est di Berlino sono allo stesso tempo una rivelazione e l'evidenza di qualcosa che in realtà era già da tempo sotto i nostri occhi, ma che non siamo stati capaci di leggere.

Nel 2018, Snyder diede alle stampe "The Road to Unfreedom", che Rizzoli portò in Italia l'anno stesso con il titolo meno evocativo di "La paura e la ragione". Il volume è un'indagine anatomica estremamente dettagliata nelle viscere del neozarismo di Putin, a partire dalle sue origini storiche, rintracciate nella filosofia fascio-zarista di Ivan Il'in, passando per i travagliati sviluppi ideologici e i sommovimenti della destra profonda russa durante gli anni dell'Unione Sovietica, e fino ai giorni nostri, con un Vladislav Surkov allora non ancora congedato. Chi lesse questo libro appena uscì, fu meno sorpreso di tanti altri nell'assistere all'esplosione del conflitto ucraino nel 2022. Leggerlo con il senno di poi può essere ancora più istruttivo. Il volume contiene anche una parte di estremo interesse sul populismo trumpiano e su quanto abbia in comune, e quanto poco ci sia a dividerlo, rispetto al neozarismo di Putin. A partire da un'idea di società fondata sulle disuguaglianze sociali, l'oligarchia economica, la cleptocrazia, la repressione del dissenso, nel nome di quella che Surkov chiamò "democrazia sovrana", ma che sarebbe più corretto identificare con l'inquietante spettro della "democrazia totalitaria" già profetizzata dai politologi in tutto il mondo, e che di democratico ha soltanto il nome.

Costanza Savaia

 

Coscienza. Che Cosa è, di Daniel Dennett

Che cos’è la coscienza? Abbiamo gli strumenti necessari per rispondere a questa domanda? Dennett decide di sfidare i concetti cui siamo abituati fare uso quando ci riferiamo alla nostra mente per fornire una molteplicità di nuove metafore capaci da un lato di rendere giustizia alla complessità del nostro inconscio, dall'altro di offrire una spiegazione genuinamente materialista e monistica al dilemma.

L'anima è un bagaglio metafisico superfluo; qualcosa di molto simile possiamo dire al nostro sé. Non esiste nessun Autore Centrale che coordina in autonomia le nostre azioni e i nostri atti linguistici. Non c'è un Teatro Cartesiano dentro al nostro cervello dove le figure che immaginiamo sono proiettate. Per Dennett la nostra mente è un software in gran parte selezionato attraverso un processo di evoluzione culturale che gira su un hardware biologico. Il nostro cervello è equiparato, con le dovute differenze, a quello di un calcolatore informatico. Siamo quelle che Dennett chiama “macchine joyceane” e le conseguenze di ciò sono significative: forse implementare una macchina di questo tipo su una struttura di silicio funzionalmente equivalente alla nostra struttura biologica potrebbe permettere di sviluppare una coscienza in un soggetto non umano.

Attraversando una fitta foresta di esperimenti mentali, osservazioni empiriche, argomenti e controargomenti filosofici Dennett arriva a proporre una grande e dolorosa ipotesi: la nostra introspezione non è una descrizione accurata di quello che succede nella nostra mente ma è un'operazione di continua teorizzazione, c'è una profonda differenza tra ciò che è e ciò che soltanto sembra essere.

Lorenzo Bodellini

 

Eretici, di Gilbert Keith Chesterton

C’è stata un’epoca in cui tutto quello che gli uomini desideravano era essere nel giusto. Ognuno dibatteva per avere ragione, ognuno avocava a sé soltanto il possesso della verità. Ognuno insomma pretendeva di essere ortodosso: a sbagliare erano sempre gli altri, gli eretici. Ma quando nel 1905 Chesterton pubblica per la prima volta ‘Heretics’, una raccolta di saggi di carattere filosofico e morale, le cose sono ormai cambiate. Lo scrittore si accorge adesso che «è sempre meno importante essere nel giusto» e che la filosofia di un uomo, le sue idee sulla vita e sulla morte, su Dio e sull’universo, sono di colpo diventate irrilevanti; ogni fede o convinzione è considerata dai relativisti una dogmatica anticaglia.

Chesterton decide pertanto di nuotare in controtendenza. Con una prosa divertente e affilata “il re dei paradossi” passa al vaglio le filosofie egemoniche del suo tempo, saltando dalle opere di Kipling a quelle di Shaw, dagli scritti di H. G. Wells a quelli dei superomisti d’inizio Novecento, giungendo alla sorprendente conclusione che «il mondo moderno è pieno di uomini così saldamente ancorati ai loro dogmi da non sapere neanche che sono dogmi». Leggere o rileggere Chesterton, oggi, in tempi altrettanto relativisti, significa perciò riaffermare la centralità che le idee possiedono nel plasmare la vita di ciascuno di noi. In particolar modo di chi alle idee dice di non credere.

Davide Membrini

 

Vi avverto che vivo per l’ultima volta, di Paolo Nori

Paolo Nori dice sempre che a lui piacciono due cose che fanno piangere. Una è la letteratura russa, l’altra sono le partite del Parma. Per concordare, dopo aver letto questo romanzo, non mi rimane che recuperare una partita del Parma.

Il romanzo racconta la vita di Anna Achmatova, una poetessa russa nata a Odessa nel 1889 e morta a Mosca nel 1966. La vita dell’Achmatova è incredibile, a pensarci, per quanto triste eppure impressionante. In primo piano c’è una donna austera, forte, fragile e sensibile e, sullo sfondo, la Rivoluzione, due guerre mondiali, morte e repressione. È molto difficile raccontare la protagonista del romanzo e, forse, l’idea geniale di Paolo Nori è stata quella di chiamare il libro con una frase presa da una poesia dell’Achmatova. Ecco, Anna Achmatova è quella donna che ci ha avvertiti che lei avrebbe vissuto per l’ultima volta.

Nel romanzo, tuttavia, vi sono molteplici storie mescolate e incastrate l’una con l’altra. Oltre all’Achmatova c’è il futurismo russo, c’è Velimir Chlebnikov, c’è Stalin, ci sono Parma e Bologna, c’è Paolo Nori, c’è la guerra in Ucraina, c’è la Russia, c’è l’Italia e ci siamo anche tutti noi lettori. Una finestra sul passato, una finestra sul presente e, in mezzo, la figura statuaria di Anna Achmatova con la sua poesia.

Qualcuno di famoso una volta disse che leggere poesia in traduzione è come fare la doccia con l’impermeabile. Paolo Nori ci risponde, e mostra, che con l’Achmatova anche con l’impermeabile ci si può inzuppare dalla testa ai piedi.

Gabriele Giancola

 

The Identity Trap, di Yascha Mounk

"The identity trap" è un saggio molto utile per capire gli sviluppi culturali degli ultimi anni in particolare per quel che riguarda la società americana. In questo periodo, si è fatta strada una chiave interpretativa della realtà, sfociante in un attivismo politico di discreto successo, che enfatizza caratteristiche superficiali delle persone per catalogarle in gruppi, i quali si distinguono tra di loro per la loro capacità di esercitare potere sugli altri. Da qui, esce un quadro di oppressi e oppressori con chiare implicazioni politiche che hanno più di una volta portato a esiti raccapriccianti. Le regole imposte durante il covid di prioritizzare nella cura le persone in base alla loro appartenenza razziale, o il reddito di cittadinanza offerto dalla città di San Francisco solo alle persone trans, sono esempi, secondo l’autore, di degenerazione di queste idee. Eppure, vanno viste come logiche conclusioni di un certo modo di vedere il mondo.

Mounk delinea le correnti intellettuali alla base di questa concezione della realtà sociale. Analizza in maniera onesta le idee che si sono susseguite, riconciliando le apparenti contraddizioni interne. Il saggio poi si sviluppa in un’analisi costruttiva, argomentando come valori più tradizionali che portano a interagire con gli altri senza tenere conto di caratteristiche identitarie superficiali possano essere la chiave per una convivenza pacifica e prospera per tutti.

Filippo Massari

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