Un appello per la pace in Ucraina, riletto.

Qualche giorno fa 11 persone hanno lanciato su Avvenire un appello per la pace in Ucraina. L’appello è stato raccolto immediatamente da La Verità e dal Fatto Quotidiano, forse anche da altri quotidiani. 

Vorremmo commentarlo assumendo – forse per carita’ di patria – che le intenzioni dei firmatari siano le stesse nostre, ovvero di arrivare ad una pace giusta e duratura del conflitto Russo-Ucraino. Fatte salve queste intenzioni, dunque, diventa giocoforza rilevare come l’appello contenga diversi errori storici e fattuali, oltre ad implicare (forse contrariamente alle intenzioni dei firmatari) sull’ipotesi di una resa sia dell’Ucraina che dell’Unione Europea all’imperialismo russo.

Esaminiamo l’appello seguendo, punto per punto, le sei proposte avanzate dai suoi estensori.

1. Neutralità di un’Ucraina che entri nell’Unione Europea, ma non nella NATO.

Questa proposta fa riferimento ad una promessa verbale rivolta a Gorbaciov dall’allora Segretario di Stato USA, James Baker, a proposito del ruolo nella NATO della Germania riunificata. Era l’ottobre 1990 e, le date sono importanti, Unione Sovietica e Patto di Varsavia erano ancora in piedi. Com’è ovvio non si discuteva di allargamento della NATO ad est, dato che i paesi ad est di Berlino era ancora nel  patto di Varsavia (che verrà sciolto solo il 1 luglio 1991), bensì della rassicurazione che non ci sarebbero state forze armate diverse da quelle tedesche nei territori dell’ex DDR. 

La “Russia di Gorbaciov” non è mai esistita; la Comunità degli Stati Indipendenti arriverà solo l’8 dicembre 1991, un anno dopo, quando i rappresentanti di Russia, Bielorussia e Ucraina si incontrarono a  Belavežskaja Pušča per dichiarare la dissoluzione dell’Unione Sovietica.

Tantomeno si poteva in quell’occasione parlare di Ucraina, dato che, come abbiamo visto Kiev era ancora uno degli stati URSS prima e CSI dopo.

Questo per quanto riguarda il supposto “impegno”, che mai andò oltre la singola battuta (riportata nei resoconti stenografici dell’incontro in question) di Baker alla quale nessun accordo fece seguito. Occorre oggi aggiungere la seguente osservazione: se l’Ucraina entra a pieno titolo nella UE la sua difesa da aggressioni esterne viene garantita dalla clausola di mutua difesa dell'UE — articolo 42.7 del trattato di Lisbona — che è stata approvata nel 2007 ed è in vigore dal 2009. Essa afferma che "se un paese dell'UE è vittima di un'aggressione armata sul suo territorio, gli altri paesi dell'UE hanno l'obbligo di aiutarlo e assisterlo con tutti i mezzi in loro potere". Poiché, dopo l’entrata nella NATO di Finlandia e Svezia, tutti i paesi UE sono parte integrante della NATO la conclusione segue logicamente: l’Ucraina nella UE implica, di fatto, che l’Ucraina sia protetta anche dalla NATO a causa del combinato disposto dell’articolo appena citato e dell’articolo 5 del trattato di creazione della NATO, datato 1949.

2. Concordato riconoscimento dello status de facto della Crimea, tradizionalmente russa e illegalmente “donata” da Kruscev alla Repubblica Sovietica Ucraina.

In questo secondo punto c’è un implicito riconoscimento delle posizioni russe. E’ vero che la Crimea fu donata da Kruscev all’Ucraina nel 1954, ma che quella donazione fosse illegale è un’opinione. Il passaggio fu sottoposto all’approvazione del Soviet Supremo russo e accettato dal Soviet Supremo ucraino secondo le procedure in vigore nell’URSS. A definirlo illegale furono Putin e Gorbaciov nel 2014 in concomitanza dell’annessione unilaterale e del referendum. L’OCSE dichiarò illegittimo quel referendum, il Consiglio di sicurezza dell’ONU si espresse contro la validità con voto contrario di Russia e astensione della Cina, l’assemblea delle Nazioni Unite votò una risoluzione che dichiarò il referendum non valido con il voto favorevole di 100 membri, 58 astenuti e 11 contrari. 

Sullo stato “de facto” della Crimea, seguendo la logica dei firmatari dell’appello, non si comprende perché questo stato debba essere quello post 1954 (o post 2014) e non, ad esempio, quello ante 1954 in cui la Crimea formava una Repubblica Socialista Autonoma. In altre parole l’appello pone un inizio della storia in modo arbitrario.
Sulla storia di USSR, Ucraina, Crimea si veda anche il video che il nostro Giovanni Federico realizzò qualche mese fa con il prof. Andrea Graziosi.

3. Autonomia delle Regioni russofone di Lugansk e Donetsk entro l’Ucraina secondo i Trattati di Minsk, con reali garanzie europee o in alternativa referendum popolari sotto la supervisione dell’Onu.

Anche questa è una concessione a Putin. Il 5 settembre 2014 fu firmato il Protocollo di Minsk che imponeva il cessate il fuoco fra forze ucraine e separatisti (e militari russi) delle due regioni del Donbass. Kiev avrebbe dovuto concedere maggior autonomia alle due oblast in cambio del rispetto dei confini e del cessate il fuoco. Dopo la firma del Protocollo scoppiò la battaglia dell’aeroporto di Donec’k.

Quel protocollo dunque non fu rispettato e si arrivò al Minsk II. In quest’altro protocollo, firmato anche da Francia e Germania, l’Ucraina avrebbe dovuto concedere uno status speciale alle due regioni. Kiev ha sempre sostenuto che il mancato accoglimento in costituzione dell’autonomia concordata a Minsk dipenda dal mancato rispetto da parte della Russia del ritiro di truppe e mercenari. Non solo, la Russia ha sempre perseguito, e mai negato (anzi rivendicato), una politica di riconoscimento “de facto” della cittadinanza russa, con tanto di rilascio di passaporti, ai cittadini delle due regioni occupate.

A questi fatti, pregressi, va aggiunta una considerazione realistica della situazione attuale: quando ed in quali condizioni sarebbe legittimo e “veritiero” un referendum in quelle regioni? Dopo gli otto anni di guerra, sostenuta da forze russe, e’ arrivata l’occupazione vera e propria di questi 8 mesi. Gli sfollamenti, le deportazioni, le violenze, i rapimenti documentati dagli organi internazionali. Dei sei milioni circa di residenti originali dei due oblast quanti rimangono oggi in quelle aree? Cosa sarebbe necessario fare per far ritornare gli originali abitanti nelle loro case, come ristabilire una condizione di vita normale che possa rendere il voto referendario libero e legittimo? Queste domande i firmatari dell’appello non se le pongono, eppure sembra ovvio che solo dopo un vera pacificazione, dopo il ritiro completo delle truppe russe ed il ritorno dei cittadini ad una vita pacifica un referendum diventerebbe libero e legittimo. 

4. Definizione dello status amministrativo degli altri territori contesi del Donbass per gestire il melting pot russo-ucraino che nella storia di quelle Regioni si è dato ed eventualmente con la creazione di un ente paritario russo-ucraino che gestisca le ricchezze minerarie di quelle zone nel loro reciproco interesse

Questo punto è velleitario oltre che, platealmente, un invito alla cessione, all’aggressore, delle risorse del paese aggredito. Non si capisce come un territorio conteso militarmente e, secondo il diritto internazionale, appartenente all‘ Ucraina possa condividere con un Paese militarmente occupante le ricchezze minerarie. In altre parole l’appello chiede da una parte che l’Ucraina rinunci ad una parte di quanto le spetta e dall’altro autorizza le mire economiche dell’invasore. Forzando un po’ il paragone è come se si autorizzasse l’Austria a tassare come proprio il reddito prodotto nell’Alto Adige.

5. Simmetrica de-escalation delle sanzioni europee e internazionali e dell’impegno militare russo nella regione

Ennesima concessione a Putin: in cambio di una riduzione dello “impegno” (guai a chiamarlo “invasione) militare russo (di quanto, come, con quali truppe o armamenti?) l’Europa e gli altri Stati che hanno approvato sanzioni contro la Russia dovrebbero ridurne la portata. La proposta cozza prima contro lo stato di fatto e poi contro la logica. Lo stato di fatto è che la Russia è un Paese invasore che ha violato il diritto internazionale; la logica dice invece che storicamente Putin non ha mai rispettato gli accordi presi e le promesse fatte. Durante la visita del segretario generale delle Nazioni Unite a Kiev, il giorno dopo l’analoga visita a Mosca, la capitale Ucraina fu bombardata; dopo aver promesso, durante il vertice di Istanbul, l’accesso ai corridoi umanitari da Kherson, l’esercito russo li bombardò.

Forse si potrà procedere un giorno alla riduzione delle sanzioni ma certo non simmetricamente e certo non prima che la Russia diventi un paese affidabile. Abbiamo sbagliato per vent’anni facendo credito alla Russia ed entrando in amichevoli rapporti commerciali con il suo regime dittatoriale, il risultato è stato fallimentare. Questo richiede non solo la pace in Ucraina ed il ritiro delle truppe russe ma anche una convincente dimostrazione che il governo russo non ha più mire sull’Ucraina e sui suoi territori.

6. Piano internazionale di ricostruzione dell’Ucraina

Questo punto può andar bene ma con un caveat: la Russia, dopo aver raso al suolo intere città, bombardato quartieri civili, università, scuole, fabbriche, parteciperebbe alla ricostruzione pagando i danni di guerra?

Anche qui la questione è semplicissima: davvero vogliamo fare finta non sia successo niente? Davvero riteniamo che la Russia non debba essere ritenuta responsabile per le enormi sofferenze e distruzioni causate in questi otto mesi? Davvero vogliamo sancire una nuova regola del diritto internazionale: se invadi un paese senza altro motivo che le tue mire imperialistiche, se lo distruggi, se massacri i civili, se violenti, deporti ed uccidi poi basta che tu firmi un armistizio e ti ritiri, in parte, dai territori occupati perché la comunità internazionale faccia finta di nulla, ti condoni ogni responsabilità e risolva il tutto in base all’italico “chi ha dato (bombe sulla testa altrui) ha dato, chi ha avuto (bombe in casa) ha avuto ...”?

 

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