Fallimento Lockdown

Piero Stanig, professore in Scienze Politiche all’Università Bocconi di Milano, e Gianmarco Daniele, economista di formazione, discutono insieme a Michele Boldrin del loro nuovo libro “Fallimento Lockdown. Come una politica senza idee ci ha privati della libertà senza proteggerci dal virus”.

Nel libro viene presentato il lavoro di ricerca svolto dai due accademici e attraverso il quale cercano di dare una valutazione politica delle risposte delle varie nazioni alla pandemia. Durante la loro indagine è stata fondamentale l’analisi dei piani pandemici dei paesi avanzati, la loro comprensione e il loro confronto. Il rischio di pandemia era infatti considerato alto e preventivato già da molto tempo.

Da una prima lettura è interessante osservare come i piani fossero genericamente strutturati molto bene (in particolare quello britannico e quello australiano), seppur diversi tra loro: si era cercato di capire i costi e i benefici delle policy attuabili e si raccomandavano diversi tipi di risposte in relazione alla gravità e alla fase della pandemia. In questi programmi erano presenti riflessioni sulle varie politiche, sia in termini organizzativi che in termini di risposta da parte della popolazione. È interessante notare come, ad esempio, in nessun piano fossero contemplati né lockdown, né coprifuoco, considerati infatti impraticabili ed inattuabili.

Come fa notare il professor Boldrin l’Italia non è stata l’unica nazione ad ignorare di fatto il piano pandemico. Secondo Stanig abbiamo inizialmente minimizzato il rischio, pensando che l’arrivo della pandemia in Europa fosse un pericolo remoto e, di conseguenza, prima dell’ultima settimana di febbraio è stato fatto molto poco, fino a quando non c’è stata pressione su alcuni ospedali lombardi. Speranza racconta nel suo libro, prontamente ritirato dal commercio, come, da marzo 2020, abbiano navigato sostanzialmente a vista e stessero improvvisando. Questo atteggiamento è difficilmente giustificabile appurato che, in realtà, un manuale d’istruzioni c’era e che sebbene non fosse perfetto, era utilizzabile e scritto in maniera razionale.

Il fatto che tutti abbiano seguito la linea di Speranza ci può far pensare che sia un atteggiamento politico di gestione della pandemia venuto in mente da subito a tutti, ma, sempre secondo il ragionamento di Stanig, in questo caso non c’è bisogno di scomodare la malafede. Fin dall’inizio c’è stata molta confusione e, una volta che il governo inizia ad utilizzare determinati poteri senza misurare la proporzionalità delle risposte, è difficile tornare indietro. Tutt’oggi non riusciamo a ragionare in termini di costi e di benefici.

Inizialmente avevamo pensato ad un lockdown locale, prosegue Daniele, e probabilmente se non fosse stata la Lombardia il luogo nel quale sono stati rilevati i primi casi di contagio avremmo seguito quella strada, come in Cina con Wuhan. È sorprendente pensare che l’unico altro precedente di lockdown nella storia, oltre a quello cinese appena citato, risale alla Sierra Leone ed è avvenuto qualche anno fa a causa dell’ebola. Durò soltanto pochi giorni a causa delle protese degli organi internazionali e dei governi occidentali poiché tale misura venne ritenuta liberticida e controproducente, in quanto rompeva il rapporto di fiducia tra i pazienti e il sistema sanitario.

Dal punto di vista mediatico, la scelta degli esperti scelti per condurre il dibattito pubblico si è rivelata sbagliata, non essendosi quest’ultimi dimostratosi all’altezza. Dal punto di vista di economia politica, ovvero di incentivi elettorali, i politici sono invece portati a proteggersi e a voler dare l’impressione di fare tutto il possibile anche in termini di costi e di sacrifici, in modo da poter dire, nel caso in cui le misure non funzionino, che non potevano fare nulla di più e da poter scaricare sui cittadini l’eventuale responsabilità. Queste politiche sono state poi copiate dai paesi vicini in un gioco al ribasso.

Secondo Boldrin c’è anche un elemento di “sunspot equilibrium” (per il quale, in economia, s’intende una variabile casuale che non incide sulle variabili fondamentali). I politici provano a lanciare un certo numero di segnali e di informazioni e se queste coinvolgono e convincono i cittadini strutturano le politiche seguendo quei punti di partenza. Viene allora da chiedersi come mai da aprile/maggio non si sia razionalizzato il dibattito, affrontando ad esempio il problema della RSA, argomento ben presente nei piani pandemici. Se vogliamo essere minimalisti, una risposta può implicare che avremmo dovuto investire in interventi molto più mirati e complicati, anche in termini di gestione del personale.

Dai dati disponibili (soprattutto di altre nazioni) appare evidente come tra un terzo e la metà dei morti della prima ondata pandemica provengano proprio dalle RSA. Perché allora nessuno se n’è occupato e il fenomeno non ha fatto così scandalo, visto il sensazionalismo che si sviluppa sui giornali dietro a certi tipi di notizie?

Secondo Daniele sulle responsabilità dei media c’è molto da dire, in primis riguardo all’incompetenza di gran parte dei giornalisti, osservando come molti di loro non sappiano infatti leggere letteratura scientifica. C’è poi un discorso di polarizzazione del dibattito, secondo il quale ci sono due schieramenti opposti: da un lato i cattivi, come Trump e Bolsonaro, i quali si lasciano andare ad improbabili esternazioni sull’esistenza o meno del covid, e dall’altro i buoni, secondo i quali era consentita qualsiasi politica pur di evitare la presunta tragedia. I media si sono chiaramente schierati con i secondi, accettando qualsiasi misura anti covid a prescindere da efficacia, costi e benefici. In generale, sia da parte dei media che da parte della politica c’è stato un atteggiamento moralizzante nei confronti della situazione pandemica e questo è ben visibile dall’utilizzo del “sacrificio” e della “paura” come retorica per combattere il covid. Spesso gli scandali sono funzionali perché aumentano gli ascolti, ed è dunque utile alimentare certi tipi di notizie anche quando in realtà le cose vanno bene.

I media si sono occupati principalmente di vendere una narrazione. Ma allora perché nessuno ha raccontato la storia opposta? Secondo Stanig lo scandalo contrario avrebbe messo in difficoltà l’impianto organizzativo e la retorica portati avanti dal governo. Tornare indietro su queste politiche avrebbe avuto un costo elettorale altissimo, prosegue Daniele, ma anche andare avanti con politiche inutili ha un grande costo dal punto di vista economico.

È naturale domandarsi come mai la pandemia abbia assunto una dimensione politica. Sicuramente in parte è successo per caso, ma in parte è anche dovuto alla coincidenza con alcuni tipi di politiche e con alcune visioni del mondo. Speranza dice chiaramente, nel già citato libro, che è un’occasione per riportare un’egemonia di (una certa) sinistra. Gli USA stavano, dall’altra parte, vivendo ancora il fenomeno Trump.

Daniele da un tipo di lettura politica che si discosta un po’ dal binomio sinistra-lockdown e destra-negazionismo. L’economista ne fa infatti una questione di mainstream-populismo. Si tratta certamente di un populismo di destra, ma è il mainstream che ha risposto alle posizioni di Trump e di Bolsonaro. Si è evitato di affrontare la complessità, poiché il dibattito pubblico non è stato ritenuto pronto, preferendo piuttosto costruire una narrazione, con gli scienziati mandati spesso in TV a fare politica, senza che si limitassero a raccontare i fatti. Gli scienziati avrebbero potuto occuparsi solamente di raccontare come stavano le cose, lasciando poi al politico la scelta su cosa fare e l’onere di giustificarlo in modo più o meno razionale ai propri elettori.

Boldrin continua poi spiegando come il mondo avesse bisogno di eroismo, e l’Italia non fa eccezione. C’era una spontanea domanda di unificazione nazionale eroica e il sistema politico gli è andato subito incontro. L’ondata emotiva ha superato il concetto dell’analisi costi-benefici e ciò ci porta ad una riflessione sulle élite intellettuali occidentali: aldilà dei bei discorsi, sono davvero così deboli?

Un elemento importante, secondo Daniele, è rappresentato dalla scarsa comprensione da parte di quest’ultime della statistica e dei numeri. Laddove non arriva l’ideologia di destra e di sinistra ci sarebbe bisogno di strumenti per la comprensione della complessità, ma le élite rimangono invece vittime della paura creata dal sistema mediatico e governativo. Attraverso questo tipo di comunicazione si è infatti instaurato un altissimo consenso verso certi tipi di misure, come lockdown o green pass. Il pericolo è che in futuro queste politiche possano poi essere estese ad altri ambiti.

Altro tema trattato riguarda la fiducia negli esperti. Secondo Stanig gli avvenimenti del 2016 (come il referendum su Brexit e la vittoria di Trump) hanno portato le aspettative nei confronti degli esperti da parte dell’opinione pubblica ai minimi storici, mentre adesso è nuovamente aumentata, portando la maggioranza dei cittadini a pensare che la politica debba farsi da parte per lasciare le decisioni agli esperti. È evidente come una così elevata fiducia in un sistema tecnocratico non sia salutare per il buon funzionamento del sistema democratico, ciò che ne deriva è infatti che la maggior parte delle persone è portata a pensare che non ci sia bisogno di conflitto politico nelle scelte, poiché le decisioni dovrebbero essere prese da tecnici. Per Boldrin invece la fiducia degli italiani negli esperti non è affatto cambiata, ma è solo cambiata la narrativa che il sistema mediatico propone e sotto alla quale non corrisponde un mutato comportamento da parte della popolazione.

In ultimo, viene da chiedersi come mai dopo il maggio del 2020 non sia stata fatta alcuna riflessione su una possibile gestione alternativa della pandemia, ma siano invece stati ripetuti gli stessi errori nell’inverno 2020/2021. Si poteva rendere conveniente, anche politicamente, un approccio più razionale. C’era infatti lo spazio per farlo secondo quanto afferma Boldrin. Oggi assistiamo invece in Italia ad una tensione tra gruppi sociali a fronte di un alleggerimento di alcune misure: da un lato possiamo leggere nel fronte “no-green pass” un sentimento di esasperazione, seppur irrazionale e non gestito, dall’altro vediamo come si sia alla continua ricerca del disastro e del proseguimento della pandemia. Ciò è in buona parte spiegabile con la “rottura dell’argine” avvenuto nel marzo 2020, in cui lo stato ha acquisito una serie di poteri che prima non aveva e si è imposta una nuova normalità che sarà riluttante ad abbandonare. I no-green pass, nella dinamica del consenso, assumono la stessa valenza dei migranti per la destra qualche anno fa. Da ciò deriva una domanda diffusa, condivisa da destra e sinistra, di capri espiatori e di nemici del popolo. Il corpo sociale italiano e non solo percepisce i problemi e il declino verso il quale sta andando incontro, ma è incapace di mettere in moto un processo di comprensione delle cause, ed agisce cercando un nemico interno o una malattia sulla quale scaricare le colpe.

In ciò può essere riassunta la fragilità della democrazia liberale: una volta rotta non è facile da aggiustare.

Questi ultimi due anni possono avere una lettura ottimistica o una più pessimistica. La prima vede la pandemia come una brutta parentesi che non lascerà grandi tracce e verrà gradualmente dimenticata con il tempo, la seconda lettura vede invece uno strascicarsi della situazione e, una volta abituati al coprifuoco e a misure simili, sarà difficile tornare indietro.

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