Il costo del salario minimo: chi paga davvero?

Who Pays for the Minimum Wage?

Autori: Peter Harasztosi, Attila Lindner

LINK PAPER

Quando si aumenta un costo a carico delle imprese, è fondamentale considerare quanta parte di tale incremento verrà trasferito sui consumatori. Prendiamo ad esempio l’aumento della tassazione sulle imprese, che modifica gli incentivi alla produzione poiché una parte dei profitti che prima era di competenza dei proprietari dell’aziende viene acquisita dallo Stato. Poiché la tassazione si applica anche ai concorrenti, un'azienda potrebbe ragionevolmente presumere che tutte le altre aziende si trovino nella stessa situazione e decidere di non rinunciare a una parte dei profitti, ma di aumentare il prezzo dei propri prodotti assumendo che si comporteranno in modo analogo anche i concorrenti. In questo modo, l’onere aggiuntivo derivante dalla modifica nella tassazione viene ripartito tra produttori e consumatori. Pertanto, non possiamo immaginare un contesto in cui la tassazione sulle imprese non venga assorbita almeno in parte anche dai consumatori.

Per portare un esempio, possiamo già osservare diversi controfattuali (realtà alternative) che coesistono nelle nostre economie di mercato. Prendiamo due settori con un numero simile di consumatori, ad esempio televisori e telecomandi, e assegniamo costi di produzione più elevati a un'impresa rispetto all'altra. In tal caso, anche con gli stessi consumatori, una delle due aziende dovrà stabilire prezzi più alti a causa dei costi di produzione maggiori. Il margine di prezzo maggiore rispetto ai costi deriva dall'interazione con i concorrenti nel corso di molti periodi di produzione. Meno concorrenza porta le imprese a potersi permettere di aumentare i propri profitti a scapito dei consumatori.

Il salario minimo, così come la tassazione, aumenta i costi di produzione. Al momento di registrare i profitti, entrambi hanno un impatto negativo misurabile. Tuttavia, il salario minimo ha un effetto particolarmente significativo su un fattore specifico, ovvero il lavoro, mentre la tassazione standard sui profitti o sui redditi da lavoro e da capitale non impone un costo maggiore su un singolo fattore. Analizziamo chi paga per il salario minimo utilizzando uno  studio di Harasztosi e  Lindner del 2009.

Questo studio analizza come le imprese abbiano reagito a un aumento permanente del salario minimo in Ungheria. Vengono utilizzati i dati delle dichiarazioni delle imprese presso l'Agenzia delle Entrate ungherese.

Si osserva che gli effetti della riforma sono stati negativi e significativi nel corso dei quattro anni successivi all'implementazione. Si è verificato un effetto negativo del 10%, ovvero un lavoratore su dieci è stato licenziato a causa dell'aumento del salario minimo dal 35% del salario mediano del 2000 (pari a 6.289) al 55% del salario mediano negli anni successivi (pari a 9.822). Se consideriamo i dati dell'OCSE, osserviamo che il salario mediano è aumentato da 17.969 dollari nel 2000 a 28.475 dollari nel 2023. Una crescita così significativa dell'inflazione e dei salari non è banale, poiché il salario minimo, essendo un valore fisso, potrebbe diventare relativamente basso rispetto alla crescita salariale e all'inflazione nel periodo precedente alla riforma. Infatti, già dopo 4 anni, il salario minimo rappresenta il 50% del salario mediano. Tuttavia, sono stati apportati successivi aggiustamenti per mantenere un livello attorno al 45%. Nel frattempo, l'Italia ha registrato una diminuzione del salario mediano da 45.290 a 44.893 dollari. In Italia, essendo un paese con una crescita salariale negativa, un salario minimo diventerebbe sempre più restrittivo di anno in anno.

Tornando al nostro oggetto di studio, possiamo quindi affermare che l'elasticità del salario minimo in Ungheria è abbastanza significativa anche dopo 4 anni dalla riforma. Per ogni aumento del 20% del salario minimo (circa 300 euro in più al mese nel caso ungherese analizzato), si registra una diminuzione dell'occupazione del 10%.

Tuttavia, dobbiamo considerare che il salario minimo ha avuto un impatto particolarmente positivo sui lavoratori marginali, che come abbiamo già detto sono quelli che ci interessano di più. Infatti, si osserva che i salari per questo tipo di lavoratori sono cresciuti del 54% in più rispetto ai lavoratori non esposti. Pertanto, l'elasticità va ridimensionata al ribasso, poiché si tratta del rapporto tra i lavoratori licenziati e quelli che hanno visto un aumento salariale grazie alla riforma. Nel caso di questi lavoratori marginali, un aumento del 20% del salario minimo (300 euro) si traduce in una diminuzione dell'occupazione del 3.7%. La crescita economica aiuta quindi a ridurre gli effetti del salario minimo, sia per l'effetto relativo descritto in precedenza, sia perché una crescita basata sulla sostituzione del capitale con il lavoro porta alla creazione di un maggiore valore aggiunto che deve necessariamente tradursi in investimenti o consumo, generando così nuovi posti di lavoro. La dinamica del valore aggiunto non può essere ignorata in questo contesto. Perché gli utili possano essere effettivamente sfruttati dalla gestione aziendale, devono essere investiti o destinati al consumo, altrimenti è come se quegli utili non fossero stati realizzati. Il costo opportunità dei capitalisti implica la creazione di nuovi posti di lavoro nel periodo successivo alla sostituzione con il capitale di certe occupazioni.

Si osserva inoltre che i ricavi delle imprese soggette al salario minimo sono aumentati, mentre gli utili sono diminuiti. I ricavi possono aumentare in due modi: attraverso l'aumento dei prezzi o la riduzione delle quantità. È facile capire perché l'aumento dei prezzi influisca sui ricavi, ma la riduzione delle quantità potrebbe sembrare più controintuitiva. La riduzione delle quantità ha due effetti positivi sui ricavi. Innanzitutto, la quantità di beni sul mercato diminuisce, specialmente se si prevede che i concorrenti che affrontano lo stesso aumento dei costi facciano lo stesso, causando così un aumento dei prezzi per quel bene. Inoltre, riducendo le quantità prodotte, si riduce anche il costo assoluto sostenuto, poiché è necessario produrre meno quantità (risparmiando così sul lavoro, che è meno fisso del capitale). Analizzando il rapporto tra la riduzione degli utili e l'aumento dei ricavi, si stima che il 75% dell'aumento del salario minimo sia stato pagato dai consumatori e il 25% dalle imprese.

Per comprendere meglio questa stima, dobbiamo immaginare che l'aumento del salario minimo rappresenti un costo per le aziende, che non può essere misurato direttamente. Tuttavia, possiamo osservare come le imprese soggette al salario minimo abbiano aumentato i loro ricavi nonostante la riduzione degli utili. Pertanto, attribuiamo l'aumento dei ricavi come costo sostenuto dai consumatori, sia attraverso l'aumento dei prezzi che la riduzione delle quantità, mentre la riduzione degli utili rappresenta il costo sostenuto dalle imprese. Il rapporto ci indica quindi che, per ogni euro di utili persi dalle imprese a causa del salario minimo, i consumatori hanno dovuto pagare 3 euro, per un costo totale di 4 euro, diviso al 75% per i consumatori e al 25% dalle imprese.

A conferma di questa visione, gli effetti sulla disoccupazione sono stati maggiori nelle industrie in cui è più difficile trasferire i costi salariali ai consumatori. Questo tipo di imprese potrebbero avere clienti sensibili (elastici) alle variazioni dei prezzi o potrebbero operare in un mercato altamente concorrenziale. In entrambi i casi, le imprese sono incentivate ad assorbire una quota maggiore del costo, a scapito dei propri utili, ma allo stesso tempo devono licenziare più lavoratori per mantenere la redditività, avendo limitate possibilità di aumentare i ricavi.

Inoltre, va riconosciuto agli autori di questo studio il merito di avere presentato una stima supportata da un modello che razionalizza quanto descritto finora. Il modello adotta un'ottica di concorrenza monopolistica, in cui un numero limitato di grandi imprese compete tra loro. Alcune imprese competono con altre che non hanno subito l'aumento dei costi salariali, ad esempio nel caso di competizione sui mercati internazionali in cui l'aumento del salario minimo vale solo per una singola impresa, mentre altre imprese competono con aziende che hanno registrato un aumento dei costi. Si osserva che le imprese che competono sui mercati internazionali devono ridurre l'occupazione in misura maggiore, poiché non possono contare sulla trasmissione dei costi ai consumatori, dato che i concorrenti non sono soggetti all'aumento del salario minimo.

In conclusione, dobbiamo considerare che l’effetto del salario minimo si ripercuote

  • in misura minore sul numero degli occupati (che si riduce) quando una parte del costo può essere trasferita sui consumatori e
  • maggiore perdita di occupazione quando il costo non può essere trasferito ai consumatori con la stessa facilità.
Indietro
  • Condividi