Simboli, narrazioni e anti-pragmatismo: il vero fallimento della sinistra

Crogiolandosi nella ricerca di simboli, la sinistra perde di vista i problemi concreti, preferendo evadere dalla realtà e distrarsi da soluzioni pragmatiche che costituirebbero intanto dei buoni punti di partenza.

Carl Ridderstråle, CC BY-SA 4.0 , via Wikimedia Commons
  • Vedere la guerra in Ucraina come lo scontro tra una visione occidentale del mondo, con il suo imperialismo americano, e un modello di vita alternativo e anti-capitalista, piuttosto che come un’aggressione ingiustificata e disumana che va condannata già per quello che è.
  • Pensare le proteste in Iran come simbolico superamento del reazionarismo e dello strapotere delle istituzioni religiose nel mondo, piuttosto che come una tangibile emancipazione delle donne e una richiesta di libertà individuali dalla coercizione politica.
  • Inventare nemici metafisici e invisibili come il Patriarcato, il Privilegio e il Capitalismo, piuttosto che ammettere i concreti problemi di genere, di estrazione economica, di appartenenza etnica e di occupazione che esistono e vanno affrontati con pragmatismo, attenzione e risolutezza.
  • Dipingere Greta Thunberg come l’araldo della giustizia climatica, piuttosto che sviluppare una concreta governance politica ed economica contro il climate change, un problema quantomai urgente e pressante.
  • Seguire una conferenza di Eddie Marcucci per confidare emotivamente in un’ideale rivoluzione confederalista democratica, ennesimo epigono di un socialismo utopico, piuttosto che sostenere la causa curda perché rappresenta l’autodeterminazione di un popolo ingiustamente vessato.

Ecco il vero fallimento della sinistra: distrarsi dalla realtà per ricercare disperatamente dei simboli che fungano da guida, perdendo di vista gli obiettivi concreti. I problemi esistono, ma ci sono soluzioni e soluzioni. La sinistra moderna, quella new left che la French Theory ha contribuito a costruire, non solo ha il vizio di costruire narrazioni distorte della realtà per fondare filosoficamente le sue battaglie (tra l’altro, tendenzialmente giuste), ma annega nella strenua ricerca di simboli, massimi sistemi, astrazioni, guide o individui a cui aggrapparsi per sopravvivere.

Anders Hellberg, CC BY-SA 4.0 , via Wikimedia Commons

Simbolizzare, tuttavia, vuol dire discostarsi dal dato di realtà e allontanarsi da quello che dovrebbe essere il focus principale della politica: il policy making, che si fa con competenza tecnica, visione, progettualità, compromessi, dialogo e idee concrete. In questo era molto meglio la sinistra pre-sessantottina che, pur avendo comunque questi difetti, almeno si batteva molto più nel concreto per i diritti sociali, senza inserire così invadentemente storytelling culturali per giustificarli. La giustezza di alcune battaglie non necessita per forza di inventare mondi e storie fantastiche, ma si può trarre razionalmente dai dati reali: come detto prima, i problemi esistono, ma ci sono soluzioni e soluzioni.

Costantemente in una fase ribellione giovanile in cui si ripudiano i doveri ma si pretendono sempre più diritti, a sinistra lo sport preferito è lamentarsi di un presente in continua evoluzione, senza mai osservarne anche i lati positivi. Quasi come se questa sinistra persistesse, senza volerla abbandonare mai, in un’eterna adolescenza, in questa cullante gioventù in cui vuole continuare a sognare senza compromessi, a sperare nelle utopie più sfrenate, nei mondi più ideali, mettendo così il simbolo davanti al significato, al referente, a ciò a cui rinvia il simbolo stesso. Di base, però, dovrebbe essere il contrario: focus su un problema reale da cui, successivamente, deriva la simbolizzazione. Ad esempio agire culturalmente per cambiare il pensiero aspettando che il linguaggio muti, nel caso lo faccia, spontaneamente, piuttosto che pretendere di cambiare il linguaggio per cambiare il pensiero.

La ricerca di simboli è non solo una distrazione, ma anche il motivo del blocco sostanziale di molta sinistra nel mondo. Mentre si cerca ogni settimana un nuovo nome per urlare sui social “la sinistra riparta da” (ammettendo implicitamente che adesso è ferma a domandarsi tra sé e sé che ruolo occupare e quale sia il suo senso nell’oggi), basterebbe distogliere il pensiero dalle fantasie interiori e tornare al concreto, il proverbiale scontro con la realtà, per darsi una direzione guardando ai tangibili ed effettivi problemi del mondo. E il problema non è neanche semplicemente la ricerca di simboli, quanto l’allontanamento dai problemi, il suo utilizzo da scudo per non affrontare la realtà, anzi ignorandola temporaneamente, chiudendo gli occhi per fantasticare mentre il mondo va avanti nel bene e nel male.

Allora il problema è l’evasione dai problemi reali e non la ricerca dei simboli, osserverà qualcuno: beh, ni. Perché cercare dei simboli è una delle prassi più comuni del discorso politico e non è in sé negativa, anzi: servono anche i simboli per portare avanti visioni, messaggi e prospettive, sia in senso esoterico (segno che rinvia ad altro contenuto) che in senso etico (azioni, individui o comportamenti virtuosi come guida). Il problema è usare i simboli come scusa per evadere e mettere letteralmente in pausa la ricerca di soluzioni concrete.

Per avanzare proposte e policy, non è necessario costruire narrazioni e trovare simboli che diano un senso escatologico, soteriologico o metafisico a delle battaglie giuste. Basta individuare i motivi per cui sono giuste nella deontologia e nel consequenzialismo, cioè nei principi e nei loro effetti (implicazioni ed esternalità) sulla realtà. Dopodiché, ma solo successivamente, si possono aggiungere ulteriori layer interpretativi ed ermeneutici. Ma innanzitutto le motivazioni devono essere pragmatiche, perché i problemi esistono, ma ci sono soluzioni e soluzioni. L’importante non è presumere di avere quelle giuste, ma essere genuinamente disposti a cercarle anche rischiando di essere contraddetti, e applicarle anche scendendo a compromessi necessari.

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