La libertà di parola nei college americani

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Il 5 Dicembre nel Congresso americano si è tenuta una sessione legata alla problematica della crescita dell’antisemitismo nei college statunitensi. Dallo scoppio della guerra in Gaza, infatti gli istituti di istruzione superiore sono stati teatro di numerose manifestazioni in sostegno della Palestina dove non di rado si sono potuti ascoltare discorsi inquietantemente simpatetici non solo verso la popolazione civile vittima di bombardamenti, ma anche verso il terrorismo di matrice islamista che il 7 Ottobre ha aggiunto alla sua già estesa lista di eccidi il massacro di centinaia e centinaia di civili inermi tra cui i ragazzi del “Nova Music Festival”. A tale fenomeno si sono aggiunti i vari casi di giovani ripresi mentre strappavano poster degli ostaggi israeliani e di docenti che hanno pubblicamente appoggiato l’attacco o colpevolizzato i propri studenti di fede ebraica.

In questo clima fortemente teso e polarizzato, le presidentesse delle prestigiose università di Harvard, della Pennsylvania e del Massachusetts Institute of Technology sono state chiamate a conferire sulle misure da loro promosse per ridurre la propagazione di simili eventi. 

Il briefing è durato cinque ore, ma bastano tre minuti e mezzo a riassumere lo stato della situazione. Ovvero quando, ad una domanda specifica della rappresentante repubblicana Elise Stefanik “Invocare il genocidio degli ebrei viola le regole di condotta del suo campus?”, ciascuna delle tre esaminate ha messo in chiaro che potrebbe non rientrare nei casi.

A seguito della tempesta mediatica conseguente, la presidentessa dell’università della Pennsylvania si è dimessa pochi giorni dopo chiedendo scusa per le sue dichiarazioni. Al contrario la presidentessa di Harvard Claudine Gay, prima donna nera a ricoprire la carica, ha cercato di difendere le sue dichiarazioni sostenuta da una parte del corpo docenti finché anche lei ha dovuto capitolare dopo che la sua reputazione era stata ulteriormente macchiata da numerose denunce per plagio.

Prima di dimettersi, Gay si era giustificata spiegando di stare semplicemente tutelando la libertà di espressione nei campus che, in quanto templi del sapere, devono saper accettare anche le posizioni più orribili e nocive per poterle dibattere. Una idea teoricamente in linea con il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti e che però contrasta con la realtà effettiva dei college americani.

Già da diversi anni la "Foundation for Individual Rights in Education” (FIRE) che si occupa di monitorare le violazioni del “Free Speech” nei college colloca sia Harvard che la Penn State tra gli ultimi posti per quanto riguarda la tolleranza verso le opinioni ritenute non conformi all’indirizzo politico ultra-progressista ormai dominante negli istituti. La University of Pennsylvania è arrivata al penultimo posto nel recente rapporto annuale di FIRE. Dal 2014 il numero complessivo di docenti licenziati per aver espresso idee e condotto studi che sembravano contraddire determinati mantra del movimento wokecome è capitato a Carole Hooven ha raggiunto quasi il doppio di quelli che persero il lavoro durante il Maccartismo.

Appurato questo, qual è dunque la vera ragione dietro l’ambiguità mostrata dalle tre dirigenti durante la sessione? Una risposta potrebbe averla fornita proprio Harvard in una ricerca da loro pubblicata la settimana successiva e che aveva come oggetto i suoi iscritti. Alla domanda “Ritieni che gli ebrei siano una classe di oppressori e dovrebbero essere trattati come oppressori o si tratta di falsa ideologia?” la fascia più giovane, i ragazzi tra i 18 e i 24 anni, ha dichiarato di essere d’accordo per il 67% con l’accusa. La Generazione Z è anche l’unica con una maggioranza, seppur ristretta al 53%, favorevole a non sanzionare gli appelli allo sterminio degli ebrei pur essendo allo stesso tempo la più propensa a censurare discorsi d’odio verso tutte le altre minoranze.

Ma allora cosa ha fatto sì che una nazione costruita anche grazie all’impegno ed al genio di migliaia di profughi ebrei scappati dalle persecuzioni in Europa (si elenchino così di sfuggita nomi come Rockefeller, Goldman, Sachs e Morgan solo perché i più orecchiabili in una lista molto più vasta) stia generando una élite culturale che confonde la critica verso le politiche della destra israeliana con l’avversione verso una categoria etnica-religiosa?

Greg Lukianoff, già autore del saggio “The Coddling of the American Mind”, ha ulteriormente approfondito la questione in “The Cancelling of the American Mind” scritto insieme alla giornalista Rikki Schlott. Le università americane hanno smesso da anni di essere competitive ed il loro apparato burocratico ha raggiunto proporzioni elefantiache godendo di sussidi federali incondizionati. Di conseguenza le tasse dei college americani sono tra le più elevate nel settore e, a dispetto delle migliaia di dollari di debiti che gli studenti accumulano per poter frequentare le lezioni, le università più prestigiose restano appannaggio dei giovani provenienti da nidi facoltosi che si attestano generalmente su posizioni ultra-liberal e che possono far pesare le proprie decisioni proprio in virtù del potere delle loro famiglie.

Questo processo contribuisce a trasformare i campus in bolle ideologiche autoreferenziali solitamente avulse dai bisogni e i pensieri del resto del paese, in particolare delle campagne dove ormai la popolazione vota massicciamente per i repubblicani. Questa situazione contribuisce ad alimentare la radicalizzazione che la politica americana sta’ vivendo nel suo periodo più recente, schiacciandola tra un populismo di destra reazionario che può seriamente aprire le porte all’autoritarismo alle prossime elezioni e una sinistra puramente distruttiva che per il suo odio verso tutto ciò che è in qualche modo assimilabile con l’Occidente e lo status quo è in grado di fraternizzare con la furia cieca del fondamentalismo religioso.

Occorreranno anni per sanare la frattura e proprio per questo servirà invertire la rotta il prima possibile, rendendo di nuovo i college accessibili a persone di estrazione e idee diverse. Solo con il confronto civile e costante è possibile creare ambienti seriamente comprensivi ed una società aperta.

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