Il Piano del governo per il Recovery Fund

Da ieri sta circolando la bozza del PNRR che giustifica l’utilizzo di Next Generation Eu e ne misura l’impatto su Pil e occupazione. Una passo avanti rispetto alle linee guida già pubblicate il mese scorso e ben più di un passo avanti rispetto all’elenco di 533 progetti arrivati sul tavolo del governo in settembre che verrà ricordato più per le spontanee risate che aveva generato che per la sua consistenza.

Chi si aspettava qualcosa che somigliasse a progetti di utilizzo delle risorse resterà ancora una volta deluso. Il documento altro non è che una bozza di linee guida redatta in modo più analitico della precedente in cui al di là di definire più puntualmente le aree di intervento non c’è molto.

Vengono più che altro individuate le priorità e gli ambiti d’intervento che recepiscono, come era necessario, le Country Specific Recommendations della Commissione.

Il piano destina le risorse, ridefinite in agosto per un ammontare di 193 miliardi (elevabili di 3) per il RFF e 13,5 per React EU, a digitalizzazione (48,7) transizione verde (74,3) infrastrutture (27,7) istruzione e ricerca (19,2) parità di genere (17,1) salute (9).

Come detto mancano i progetti, ma ci sono le strutture governative di presentazione, intermediazione e monitoraggio dei piani che passano da Mef, Mise, Ministero delle politiche europee e Presidenza del consiglio cui fanno capo gli esperti e i commissari speciali.  La sovrastruttura burocratica quest’ultima che avrà il compito principale di snellire la burocrazia.

La prima e forse più importante sfida sarà proprio sull’efficienza di questa struttura che dovrà garantire non soltanto la coerenza dei progetti con gli obiettivi fissati dalla Commissione UE, ma anche l’attuazione dei programmi di spesa nei ristretti tempi stabiliti. Ricordiamo che uno dei vincoli imposti è quello che prevede una spesa per il primo biennio pieno del RF del 70% del totale delle risorse assegnate. Per un Paese che ha un track record negativo come il nostro nell’utilizzo dei fondi europei è senza dubbio la scommessa più difficile.

Il Piano dovrà essere coerente anche con gli obiettivi di crescita individuati dal governo. Qui emergono alcuni fattori di dubbio. Il differenziale di crescita che dovrebbe essere generato dal Piano va dallo 0,3 del 2021 al 2,3 del 2026. A livello macroregionale il governo intende dare attuazione al Piano per il Sud presentato a febbraio 2020, quando la pandemia non era ancora arrivata, che prevedeva la destinazione al mezzogiorno del 34% delle risorse. Il RF secondo il modello del MEF dovrebbe assicurare una crescita aggiuntiva del PIL del mezzogiorno del 4,1 già nel 2021 con una crescita dell’occupazione del 3%. 

Obiettivi ambiziosi e a nostro giudizio molto sovrastimati. Prima di tutto nella bozza manca una descrizione dello scenario base; in secondo luogo è difficile pensare che i 100 miliardi aggiuntivi dell’intervento per il mezzogiorno possano produrre in tempi così rapidi un aumento della crescita di queste dimensioni.

Sempre a proposito di Mezzogiorno un capitolo a parte va dedicato all’intenzione del governo di utilizzare i fondi di React EU (che sono una implementazione dei fondi strutturali e di coesione) a copertura degli sgravi fiscali, contributivi e alla creazione di ZES (zone economiche speciali). In altre parole con soldi europei si pensa di fare misure fiscali per una determinata zona. L’accettazione di una tale misura da parte della Commissione non è impossibile ma neanche scontata. Prima di tutto potrebbe non essere gradita ai partner europei perché si tratta di norme fiscali di solito sotto la sfera di competenza nazionale; poi perché gli effetti sulla crescita (vero obiettivo di tutti gli aiuti europei) sono difficilmente verificabili ex ante. Infine, partendo l’Italia da un piano di debolezza negoziale per via delle divisioni all’interno del governo e degli appetiti del suo personale politico espressi nelle forme più sciatte (es. cancellazione del debito), non sarà facile far digerire questo trasferimento fiscale dai Paesi del Nord Europa ad un’area regionale.

Un altro focus va aperto sulla sanità.

Il governo confida di utilizzare 9 miliardi per la salute, equamente divisi fra sanità di prossimità e digitalizzazione. Nulla sull’emergenza Covid, che resta sfumata sullo sfondo, e nulla sul potenziamento di un sistema che, si legge nella premessa del documento, è intrinsecamente debole rispetto alla media europea sia per quanto riguarda il personale medico e paramedico che per quanto riguarda la sua spesa su PIL.

L’ostinato e stupido ostracismo del Movimento 5 Stelle verso il MES ha sin qui prodotto che il Sistema Sanitario Nazionale non verrà potenziato, che i livelli e la qualità di assistenza resteranno sostanzialmente inalterati e che non saranno coperte, come potevano essere, le spese aggiuntive dovute al contenimento degli effetti della pandemia. Ricordiamocene quando fra un paio d’anni qualche politico lamenterà i tagli alla sanità. Questa volta quei tagli hanno un nome e un cognome.

 

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