Gli effetti del salario minimo nel lungo periodo

Minimum Wage Effects in the Longer Run
David Neumark and Olena Nizalova, 2007

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Are There Long-Run Effects of the Minimum Wage?
Isaac Sorkin, 2015

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Negli articoli precedenti di questa serie dedicata al salario minimo abbiamo sempre parlato sempre parlato degli effetti di breve periodo. I motivi principali riguardano il fatto che la maggioranza degli effetti di questa misura di policy sono piĂą evidenti nel breve termine, mentre nel lungo vengono a sovrapporsi ad altri tipi di aggiustamento e risultano piĂą complicati da misurare.

Quando misuriamo la disoccupazione, possiamo osservare di quanto un aumento del salario minimo causi un licenziamento maggiore del previsto nei lavoratori osservati. Al di lĂ  di questo aggiustamento sembra non esserci molto altro da dire, visto che i lavoratori licenziati proseguiranno nella loro ricerca di un nuovo posto di lavoro, e i lavoratori che restano vengono invece vengono pagati al di sopra del salario minimo.

Tuttavia è possibile chiedersi cosa sarebbe successo se i lavoratori non fossero stati licenziati, e quali effetti si sarebbero avuti negli anni a venire. Utilizzeremo due paper per questo studio: uno di Sorkin del 2015 e uno di Neumark e Nizalova del 2007.

L’effetto di lungo periodo sull’occupazione ipotizzato da Sorkin (2015) non è più solo quello del licenziamento immediato, ma anche il successivo fenomeno della sostituzione del lavoro con del capitale. Se riprendiamo l’esempio di McDonald’s fatto nel primo articolo[inserire link], possiamo pensare ai touchpad che adesso automatizzano parte del lavoro che prima facevano dei lavoratori umani. L’attrattività del lavoro rispetto al capitale si può misurare misurando il rapporto tra produzione e costo sia del lavoro che del capitale. Se il lavoro aumenta di costo senza che sia giustificato da un aumento della produttività pari all’aumento del costo del lavoro, allora il capitale diventerà più conveniente impiegare del capitale. Inoltre, man mano che si impiega una quantità maggiore di capitale i miglioramenti nella tecnologia fanno crescere ulteriormente la convenienza.

Bisogna quindi osservare con un modello che tiene in conto di queste proporzioni per poter rappresentare la sostituzione che si viene a creare tra questi due fattori di produzione. Ovvero osservare il bilanciamento tra un maggiore sviluppo del capitale tramite investimenti, e l’effetto che avrebbe sui lavoratori a livello di investimento in capitale umano.

Nel paper di Sorkin, (2015) vediamo la rappresentazione di questo rapporto tra lavoro e capitale.

In questo modello “putty-clay”, che tradotto in italiano significa “stucco-argilla”, l’investimento in capitale viene scelto ad inizio di ogni periodo di produzione (fase argilla). Quando questo investimento si solidifica (fase stucco) il lavoro non può più essere cambiato e si deve aspettare che il capitale diventi obsoleto per decidere un nuovo ammontare da investire. In questo modo il lavoro ci mette del tempo per aggiustarsi, nei casi appunto di aumento del costo del lavoro ci vorrebbe del tempo per assumere nuovi lavoratori anche nel caso di una espansione, visto che l’investimento è solidificato.

In questo modello l’effetto negativo di lungo periodo viene contrastato in 3 diversi scenari.

Innanzitutto dall’inflazione, che azzera l’effetto di lungo periodo di un salario minimo che spesso è nominale. Anche con un aumento previsto ad intervalli regolari, il datore di lavoro aggiusta il suo investimento tenendo in considerazione questo aumento. L’effetto di lungo periodo quindi ritorna ad essere il solito effetto di breve periodo misurato nei paper precedenti, in quanto il datore di lavoro tiene in considerazione il costo che ha il nuovo lavoratore all’inizio di ogni periodo di investimento, ma tiene anche in conto il costo opportunità che avrebbe non assumere un lavoratore quando i prezzi del prodotto aumentassero e non ci sarebbe la possibilità di estendere la produzione.

Randomizzando l’aumento del salario si ha comunque un valore atteso di questo aumento, rendendo quindi la scelta uguale a quella precedente, dove la maggiore incertezza si riduce a programmare sulle aspettative invece che su un aumento certo. Un investimento in capitale inoltre aumenta la produttività, il che viene assorbito dal lavoratore tramite un salario più alto nel periodo successivo.

Questo studio è importante nel caratterizzare teoricamente l’assenza di effetti di lungo periodo.

La teoria è utile perché permette di tenere in considerazione fenomeni e interazioni che sono difficili da misurare con dei dati.

Per testare se il modello ha preso in considerazione tutti i fattori necessari è possibile impiegare un modello econometrico. Infatti se non è possibile provare direttamente con i dati la teoria, visto che i fenomeni tenuti in considerazione come le aspettative di aumenti dei salari sono difficili da misurare azienda per azienda, si può almeno vedere se in aggregato ha degli effetti come quelli predetti dalla teoria o se invece i dati vadano in senso opposto.

Essere esposti al salario minimo in giovane etĂ  non ha solo, come abbiamo visto, un maggiore tasso di licenziamento, ma potrebbe anche avere dei problemi a livello di esperienza mancata.

Lo studio di Neumark and Nizalova del  2007 conferma questa idea, trovando che l’esposizione ad un salario minimo piĂą alto nell’etĂ  fra i 20-24 anni riduce i salari in etĂ  adulta del 2.3%. Lo studio controlla per le altre politiche lavorative attuate in quel periodo, e anche il salario di inizio, che può causare appunto un salario minimo piĂą alto per una produttivitĂ  pre esistente.

Bisogna quindi tenere in considerazione non solo le decisioni razionali di una azienda, ma anche dell’effetto di lungo periodo che una disoccupazione giovanile può avere nel lavoratore. Non è infatti un caso che i laureati durante una recessione (Schwandt, 2019) abbiano una penalità sul salario nel lungo periodo simile a quella osservata in questo paper.

Essere disoccupati da giovani può portare ad accettare lavori per cui si è meno qualificati, da cui si impara meno, o che quindi non portino a scatti di carriera promettenti. Questo fenomeno può portare ad entrare in una traiettoria salariale che resterà perennemente in difetto comparata ad una realtà alternativa in cui la disoccupazione giovanile non era così alta. Gli effetti sulla salute conseguenti a questo evento mostrano come gli effetti di lungo periodo della disoccupazione giovanile esistano e debbano essere tenuti in considerazione nella valutazione di queste riforme.

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